Storia di un burattino

C’era una volta da qualche parte in un tempo sospeso, un luogo strano dove tutti i burattini si ammassavano. La credenza più accreditata era che qualche falegname li avesse dimenticati per sbaglio o per noia. Alcuni erano d’accordo sul fatto che il falegname fosse fuggito con una fata di nome Turchina e in valigia, tutti quei fantocci di legno non ci stavano. Molti credevano che quello era un negozio di burattini che aveva chiuso i battenti dopo che i burattinai si erano messi a fare politica. In pochi credevano che quel luogo fosse stregato, ma lo stesso i più ne rimanevano a distanza.  Tra gli uomini si favellava assai su quel casolare, ma nessuno sapeva che fosse stracolmo di burattini. La verità era che una fata stralunata e assai distratta avesse combinato un pastrocchio. Aveva letto la favola di Pinocchio e voleva a tutti i costi imitare le gesta della grande fata azzurra (che poi non si è capito se fosse davvero azzurra, turchina, color carta da zucchero o cobalto, ma di certo era una gran fata). Quello che riuscì a quella fata assurda non fu certo eguagliare le gesta della fata azzurra. Riuscì solamente ad ammucchiare burattini. Quello che lei però non sapeva è che avendoli sparpagliati ovunque questi si erano anche impregnati di tutta la polvere (magica ovviamente) che ricopriva come una coperta qualsiasi oggetto della sua casa ( lei era l’inquilina del casolare nel bosco tanto chiaccherato). Tutta quella polvere incantata aveva causato un fatto strano. Di notte e quando lei non vedeva tutti questi burattini prendevano vita e facevano gran festa fino al mattino. La fata era ignara di tutto perché (appunto) dormiva o era altrove, mentre ciò accadeva.

Durante una di quelle feste uno dei burattini stufo di quel baccano e dei balli sfrenati a tempo di tamburi, che di notte in notte divenivano alla fine stucchevoli, aveva preso la porta di casa uscendo alla luce della luna. Aveva bisogno di riposare le orecchie, anche se non le aveva. Una volta all’aria aperta si era guardato in giro e poi aveva sollevato gli occhietti (che erano due puntini) verso la luna piena. Si sentì piccolo piccolo al cospetto di tanta bellezza e in tutta la sua piccola altezza decise che desiderava fortemente diventare un bambino vero. Iniziò a camminare e lungo la strada incontrò un gatto nero. Pensò che senza alcun dubbio apparteneva ad una strega ( visto che era nero), così allungò il passo. Il gatto però rotolo’ sulla pancia stiracchiandosi sornione e gli disse mollemente :” Ero un burattino come te, ma la fata pasticciona nel tentativo di farmi diventare un bambino vero mi ha tramutato in gatto. Adesso, siccome sono nero e tutti sono convinti che sono un gatto di strega, tutti mi evitano , ma posso saltare sugli alberi e ronfare pigramente.”

Il burattino con un pochino di timore riguardo il destino di quel gatto proseguì a camminare risoluto, finché seduto su una panchina incontrò un uomo baffuto pietrificato. Lo sguardo di pietra scrutava un punto indistinto nello spazio. Non parlava ovviamente, perciò il butìrattino dedusse che un maleficio lo avesse colpito. Con terrore ipotizzò che (cosa più ovvia!) la fata sbadata avesse combinato un altro dei suoi pasticci cercando di tramutare in bambino un burattino.

Sempre più rabbuiato, ma comunque determinato, il burattino  proseguì e vicino ad una girandola che girava al contrario vide una cesta e visto che la stanchezza lo stava prendendo decise di entrarvi e addormentarsi. Era comoda e da li accolse il sonno rimirando la luna ancora alta nel cielo stellato.

Con le prime luci dell’alba il burattino aprì i suoi piccoli occhietti a puntino e vide un meraviglioso castello ergersi di fronte a lui, sul cucuzzolo di una montagna parecchio aguzza. Si alzò e iniziò a camminare con la velocità che le sue gambette di legno gli permettevano. Una volta davanti al portone trovò delle teste impagliate e decisamente inquietanti. Sembravano essere appartenute a degli gnomi antipatici a cui avevano fatto assaggiare del peperoncino messicano nell’attimo subito prima che spirassero. Non avevano volti rilassati , ma contratti e imbruttiti da alcune ragnatele impolverate. Il burattino nel vederle fece svariati passi indietro e cadde. Urtò un sasso e fece rumore. Dieci occhi si aprirono contemporaneamente. Nove in realtà perché una delle facce era un mini ciclope. Otto se consideriamo che a una faccia mancava un occhio. Insomma (per farla breve) una quantità ragguardevole di sguardi s’incrociarono e si fissarono per un tempo dilatato. Ad un tratto le facce presero a ridere in maniera incontenibile e parecchio sguaiata, lasciando il burattino stordito. Sgranò gli occhietti (per quanto sia possibile con due puntini) e strisciò ancora più indietro.

  • Non preoccuparti, qui dentro ci vive un Troll dall’alito fetido e non ama compagnia… – prese a raccontare una delle facce. Quella da ciclope di preciso.
  • … ma se ha l’alito fetido!- lo interruppe una faccia. Quella con un occhio solo (perché uno lo aveva perso) , ma con un olfatto sopraffino.
  • Non basta!E’ talmente solitario che ha messo noi alla porta.-
  • Ma noi siamo facce! Che vuoi che facciamo?- proruppe una delle facce. Una a caso.
  • Bhè parecchio brutte direi!- concluse la faccia da ciclope.

Iniziarono di nuovo a ridere contemporaneamente. Improvvisamente si fermarono e puntarono tutti gli occhi che avevano a disposizione verso il piccolo esserino di legno.

  • E tu chi sei ?- chiese una delle facce nel mezzo. Quella che fra tutte probabilmente era la più brutta.
  • Un bu-bu-bu-raaaaat-t-t-t-t-t-i-no!- rispose balbettando il burattino.
  • Un bu-bu? – Chiese la faccia da ciclope.
  • No … che hai capito… un raaaatttto!- lo apostrofò la faccia al centro. Quella davvero brutta.
  • Io penso che abbia farfugliato Burro!-
  • Io ho sentito Tino con troppe T!- imbrottò la faccia con un occhio solo perché lo aveva perduto.
  • Forse Budino? – chiese un’altra faccia. Quella brutta davvero.
  • Nooooneeeee… ! Ha detto Catino!-

Il battibecco andò avanti per un po’ finchè il burattino stufò si alzò e urlò:- Bastaaaaaaaaaaaaa! Sono un BU-RAT-TI-NO! Non sono Tino, Catino, Ratto, Rattino, Bu-bu, e neanche settete! Sono un burattino di legno e non di burro!

Le facce rimasero mute a osservarlo. Di nuovo un numero ragguardevole di sguardi che s’incrociavano e si studiavano con più risolutezza della prima volta per il solito tempo dilatato. Alla fine e d’improvviso le facce ripresero a ridere sguaiatamente e senza fermarsi.

Il burattino incrociò le braccia legnose e prese a battere il piede a terra.

  • Hai vinto Burattino!- disse ancora ridendo la faccia ciclope.
  • Due volte per la precisione!- sottolineò la faccia al centro. Quella davvero brutta.
  • Vinto cosa?- Chiese il burattino confuso e anche un po’ innervosito.
  • La gara a chi ride prima!-
  • La gara cosa?- chiese ancora il burattino sempre più contrariato.
  • A chi resiste di più senza ridere!- rispose seria la faccia piccola.
  • E quindi?- domandò ancora il burattino.
  • Quindi adesso puoi chiedere quello che vuoi e noi ti rispondiamo!
  • Porrei entrare nel castello!-
  • EEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEMMMMMMMMM …….NO!- dissero in coro con tono canzonatorio.
  • Perché?-
  • Perche’ noi il nostro lavoro lo facciamo bene, poi arrotondiamo dando consigli ai passanti!- risposero in coro le facce orrende.
  • Vuoi un consiglio? – chiese la faccia a ciclope.
  • Si!- rispose speranzoso il burattino-
  • Vai via da qui che è meglio!- risposero in coro le facce riprendendo a ridere sguaiatamente.
  • Mha!…- cercò di controbbattere il burattino.
  • Mha … ma hai altri consigli da chiedere?-
  • Si… veramente!-
  • Ok… andando via non voltarti indietro! E’ meglio!-

A quel punto il burattino avendo compreso di trovarsi al Castello dei folli e non su un semplice castello sul cucuzzolo aguzzo di una montagna qualsiasi, girò i tacchi sbuffando e riprese il sentiero dal quale era arrivato. Il rumore fragoroso delle risa lo seguì per parecchi passi e precisamente fino al crocevia. Li si fermò e si mise seduto vicino al cestino che la notte prima lo aveva ospitato per la notte.

Sul cartello che troneggiava in mezzo alle sei strade che da li si dipanavano ( probabilmente altre sei storie da scoprire) trovò appollaiate 3 civette. Lo fissavano silenziose e con gli occhi socchiusi ( perché essendo animali notturni dovrebbero dormire di giorno). Il burattino dopo aver avuto a che fare con le facce di certo non temeva qui tre rapaci accecati. Espose il suo problema e queste gli dissero che per diventare un bambino avrebbe dovuto chiedere alla fata pasticciona. Solo lei poteva districare la matassa di guai causati dalla sua sbadataggine.

Mesto e sconfitto il burattino torno’ indietro e proprio seduta vicino al gatto nero trovò la fata pasticciona che si limava le unghie annoiata. Lo sguardo’ avvicinarsi in silenzio e poi appena le fu di fronte  disse mollemente:- Cosa desideri mio caro?-

-Che tutti i burattini diventino bambini veri!- rispose il burattino prontamente.

-Tutti i burattini!- sussulto’ la fata.

Non se lo aspettava. Era convinta che ci fossero solo due, forse tre burattini in giro. Di certo non poteva immaginare che invece aveva dato vita ad una vera e propria comunità danzante. Comunque rispose dicendo:-La tua è una buona azione! Tu cosa desideri?-

Il burattino guardò il gatto e poi ripensò alla statua di pietra e guardando la fata disse :-Io vorrei essere un gatto!-.

Ci piace pensare che la fata riuscì nell’intento, ma alla fine al burattino gli toccò fare la parte di un mulo nano a macchie viola e verdi (quindi anche assai strano),  mentre  tutti i burattini miagolarono felici e sornioni per tutta la vita.

La fata pasticciona ora fa granite in riva al mare.

E sono tutti davvero felici e contenti!

Su quella foresta si inventarono innumerevoli favole che raccontavano di case fatate, gatti magici e un mulo a macchie che raglia canzoni stonate.

Le facce continuano a dare utili consigli ai passanti.