Il caffè ha un potere romantico in sé, perché cuce insieme le vite in qualche maniera. Odore di caffè. Aroma di caffè. Il profumo del caffè che si attorciglia nell’aria e solletica le narici ed i sensi incorniciando attimi.

Il caffè gorgoglia la mattina ridestano nella testa antichi, caldi ricordi. Spolvera le meningi riportando a galla quei momenti dell’infanzia in cui i rumori sommessi del nuovo mattino  destavano come una carezza. Con essi, il profumo del caffè trasportato dall’aria fino alla tua stanza, fino al tuo letto e fino al tuo naso. Ancora non lo bevevi , ma ne riconoscevi già l’odore e in esso già ricamavi dolci ricordi olfattivi. La moca sui fornelli che borbottava e il suono del liquido caldo che gorgogliava e poi cadeva fumante nelle tazze dei tuoi genitori che, ancora giovani e con i capelli arruffati dal sonno si siedevano intorno a quel minuscolo tavolo colmo di biscotti e fette biscottate. Nella tua tazzona col naso, solo latte e cioccolato , ma nell’aria quel profumo unico che avvolgeva tutto come un morbidoso piumone. Più che parlare si sbiascicava stroppicciandosi gli occhi e di quel momento non avevi coscienza piena, perché fuggivi a giocare almeno un momento prima che l’ultimo biscotto finisse nella pancia.

Nel tempo il caffè accompagna. C’è chi inizia presto a berne, c’è chi come me inizia verso i diciotto anni. Gli anni dell’università e di quei caffè mischiati al latte, che si prendevano almeno quattro volte in una giornata di studio e che erano una scusa per una pausa veloce. Sistematicamente la pausa veloce si tramutava in un’ora di chiacchere e l’ultimo della giornata a volte, per magia diventava un aperitivo. I caffè scandivano un tempo di vita leggera che riempiva le giornate di spensieratezza. “ Pausa caffè?” era più per la pausa, per la compagnia, per passare il tempo ridendo o parlando di tutto, ma anche di nulla. Prima o dopo un esame; a volte durante uno scritto, dal termos che ne conteneva di annacquato; a volte uno di troppo per restare svegli a studiare tutta la notte e addormentarsi presto per berne un altro e poi dire che eri nervosa. I momenti condivisi e i ricordi di quei caffè si intrecciano, non per la bevanda in sè, ma per ciò che essi incorniciano. I rumori del bar, con quel tintinnare di cucchiaini nelle tazzine piccole, grandi, di vetro, lunghe, corte, con il latte, senza latte, schiumato, freddo, caldo, schiumato, al vetro, macchiato, senza zucchero, con zucchero di canna, con panna, corretto, con il cornetto, col pasticcino, senza cornetto. Tanti tipi di caffè ed un milione di attimi di vita. Il vociare delle persone che passano: alcuni si fermano al bancone sole e scrutando i paraggi bevono il loro caffè con mille variazioni e poi svaniscono tra la folla, seguendo un filo di fretta invisibile; altri entrano insieme ridendo , scambiandosi pacche sulle spalle e riempiendo l’aria di quei sorrisi ingombranti e pieni che sembrano saltellare sulle parole dei molti; certi entrano in coppia e litigano per chi paga; molti entrano perché è la prima volta che s’incontrano e devono attendere per un appuntamento o magari loro hanno un appuntamento e si sorridono studiandosi da dietro la tazzina fumante fingendo di soffiare per nascondere la noia, la gioia, la delusione, il desiderio o la curiosità; alcuni non lo prendono neanche il caffè , ma condividono solo la compagnia; c’è chi preferisce il thè, un cioccolato, una centrifuga, un succo di frutta insieme alla compagnia, ma anche solo per addolcire la bocca. Intorno al caffè si dipanano vite e momenti di pausa.

A pensarci bene è nei momenti di pausa che viviamo davvero, perché sono i momenti in cui rallentiamo, ci concediamo uno sfuggente attimo di morbidezza, facciamo ciò che ci piace e ci permettiamo di pensare, fare , provare, incontrare o condividere una bevanda. Magari un caffè!

Il tempo passa e le pieghe del tempo, a volte trasformano la frase: “Ci prendiamo un caffè uno di questi giorni”. Capita quando la frase è seguita da un: “Hai ancora il mio numero?” e per cortesia non rispondi che lo hai cancellato non ricordi quando , ma che hai perso tutti i numeri e si è smarrito per caso. Lo memorizzi, ma sai che non comporrai mai quella sequenza, perché quel pezzo di vita è passato. Una vecchia amica, una collega di un lavoro di venti anni fa, persone che sono passate e con le quali hai condiviso una vacanza, una gita, una cena, un periodo e che la vita semplicemente ha condotto in una direzione differente. Estranei nel presente di un passato condiviso. La vita. Semplicemente questo, a volte. In questo caso il caffè diventa come quella vecchia foto che si ritrova in fondo ad uno scatolone. La guardi con la mente, ripercorri quel momento e sorridi. Una semplice fotografia in un bar d’estate. Con se porta l’afa dell’estate, la musica e gli aromi. Succede anche che la bevanda condivisa si intrecci di imbarazzanti silenzi e schiarimenti di voce. Sono quei caffè che prendi con persone con cui hai riso tantissimo in passato o hai vissuto periodi lunghi di uscite, esperienze e quotidianità, ma che (delle quali ?) non ritrovi più il filo di quel linguaggio che un tempo vi legava. Senza troppi fronzoli, lo scorrere del tempo e lo stratificarsi di eventi hanno corroso quel filo e si ridiventa estranei. La nostalgia guardando una vecchia foto forse ci spinge verso quel passato. Forse se si si chiama passato ci sarà un ovvio motivo. Crescendo si cambia. Si tratta solo di vite. Nulla più o di meno. In questo caso il caffè prende il sapore di un gentile commiato. Il bicchiere della staffa! L’ultimo caffè insieme. E se poi si tratta di uno spritz non è comunque per la bevanda. Un ultimo brindisi a tutti quelli condivisi in un tempo andato.

Più cresci e più il caffè assume la forma di una parentesi di piacevole lentezza. I tempi si accorciano e le chiacchere si compattano a quei due sorsi. Rigiri lo stecchino di plastica nel mini bicchierino e rubi due risate al tempo del lavoro. Cinque minuti di pausa. “Dai oggi tocca a me!”, “No tu lo hai offerto ieri!”, “Vabbè io vado. Il solito vero?”, Vado a prendere un caffè, tu vuoi qualcosa?”. Sempre la stessa danza tutti i giorni. Il caffè in questo caso diventa una vera gentilezza e seppur quello della macchinetta nel corridoio fa davvero pietà, lo bevi lo stesso, perché è più per quei cinque minuti, per il piacere del gesto gentile donato o ricevuto, per la risata, che per la bevanda in sé.

Ci sono anche i caffè presi per pura diplomazia che sanno di carta vetrata, anche se presi nel miglior bar del mondo o vengono tritati espressamente dai coltivatori colombiani a mano. Sono quei caffè che a nessuno andrebbe di prendere. E’ quel caffè che conclude un momento difficile o noioso di lavoro o che accompagna incontri pesanti. Sa di mattone. Punto. E’ freddo, anche se te lo servissero a temperatura lavica ed è riempito di parole vuote o troppo pesanti per essere filtrate dalla leggerezza. In questo caso persino il tintinnare dei cucchiaini nelle varie tazze diventerebbe denso, rimbombante. Un caffè che non vedi l’ora di finire. Lo butti giù senza avvertire nulla, pur di andartene.  Capita. Anche in questi casi può essere semplicemente la vita o magari una brutta giornata a lavoro o magari quella persona era proprio sgradevole portava con sé ricordi e parole tristi e perché senza risposta. Un caffè non riuscito. Può succedere. Anche la vita ha i suoi amari, persino con lo zucchero.

Poi ci sono i caffè del cuore che rubi alla corsa contro il tempo quotidiano e che ti ritagli con un’amica per raccontarti in pillole tante cose. A volte, se sei fortunata/o riesci a berlo persino alla fine di un pasto, il caffè. In quel caso, anche se sa di piedi e non lo bevi ci ridi su preferendo un bel sorso d’acqua per concludere. In questo caso è un caffè dolcissimo, perché appartiene al tempo leggero dell’amicizia. Concentrato, perché si tratta di un ritaglio colorato. Comunque non ha importanza il saporaccio del caffè, perché ciò che resta dona gioia e lascia più di un sorriso. Una carezza formato tazzina che ti accompagna per tutto il giorno.

Per accogliere un ospite in casa si offre un caffè e quando vai a trovare qualcuno ti viene offerto. Non ha importanza se verrà accettato, perché è più per il gesto gentile. A fine pasto quando ciò che resta di una bella giornata tra amici, le tazzine del caffè sono sempre le ultime ad andar via. Rimangono sempre lì, tra fazzoletti appallottolati e bicchieri sparsi. Le vedi far capolino da dietro le brocche d’acqua e di vino mezze vuote o vicino al cesto del pane ricolmo di molliche. Raccontano anche loro un passaggio, un momento di vita e in esse restano le parole, i sorrisi e la bellezza dello stare insieme. Il condividere.

Poi c’è quel caffè offerto dalle manine dolci di tuo figlio o figlia che lo prepara nelle tazzine giocattolo con la terra e le foglie e tu bevi con gusto e rumorosamente, perché è il più buono dell’universo. Soffi, giri il cucchiaino e anche se nel contenitore ci fossero larve di lumaca marziana tu berresti con coraggio. Il sorriso di tuo figlio o figlia riempirà quella tazzina di immenso amore e sarà il caffè più buono di tutti: pieno di gioia, risate e chiacchere con gli amici pupazzi. Anche loro hanno una vita in fondo.

Lo stesso sapore di coccole hanno quei caffè che prendi prima ancora di aver lavato gli occhi e che tra un mugugno e l’altro condividi con la persona che ami. Un caffè d’amore, spesso silenzioso condiviso nella penombra mattutina quando ancora il sole si deve levare ed i figli dormono. Durante la settimana si beve abbastanza di fretta, ma quando si può si gusta anche senza parlare o mormorando poche informazioni o gentilezze. Poi lo scalpiccio dei piedini di bimbo attraversa la stanza, il corridoio e ti ritrovano arruffato e ancora giovane a bere quel caffè. L’aria si riempie di parole, risate e : “Mamma, papà giochiamo?”. E tutto continua a scorrere. E mentre tuo figlio attraversa correndo il salotto con il pigiama stroppicciato e una scia di molliche di biscotti dietro, come pollicino, ti accorgi di sorridere. L’aroma di caffè nelle narici. L’odore di caffè nell’aria.

Non è per la bevanda, ma per ciò che racconta.