Affrontò l’ultima parte della leggera salita a occhi bassi, ascoltando il rumore delle rotelle sulla ghiaia. Faceva caldo, e d’altra parte c’era da aspettarselo. Sentì un rivolo di sudore lungo la schiena e provò il tipico disagio di chi non avrebbe potuto mettersi sotto una doccia fino a sera. Il viaggio, pensò. Un lungo viaggio, portando un sacco di cose con sé. Non indumenti e scarpe. Non guide turistiche, o libri da leggere. Il carico era quello dei ricordi, e delle speranze. I ricordi di quello che aveva fatto, che era successo; le speranze, quelle che riponeva nello sguardo e nell’espressione di chi avrebbe incontrato al suo arrivo. Sospirò, e svoltò l’angolo del viale.
Il suo portone era lì, dietro la cancellata che separava il palazzo dalla strada. Tutto come una volta.
Le persiane semiaperte indicavano che il terzo piano era abitato, ma non c’erano panni stesi alla corda che correva tra le finestre.
Forse non c’è, è uscita, pensò, e già stava per levare la mano dalla maniglia quando vide una finestra aprirsi e richiudersi.
Aldo sospirò: aveva quasi sperato di non trovare nessuno, che il destino giocasse la carta per lui.
E invece…
Salì i gradini senza pensare e si trovò davanti al citofono. Ai suoi tempi c’era una portinaia, ricordò, ma adesso solo pochi se la potevano permettere.
Lesse i nomi scritti in caratteri corsivi, fece per premere il pulsante, ma il rumore della serratura che scattava lo fece trasalire. Due ragazzini uscirono di corsa, quasi travolgendolo, e sparirono giù dalla scala.
Il portone era rimasto aperto, dall’androne si vedevano le due rampe di scale. All’interno si sentiva odore di umidità e si notavano le tracce di intonaco scrostato.
Dopo una breve esitazione Aldo prese la scala di destra e se la trovò davanti.

Per alcuni istanti rimasero immobili uno di fronte all’altra,lui non meno stupito di lei nel vedere i segni degli anni sul suo volto.
«Aldo…» disse la donna con un filo di voce.
«Nadia».
Lei fu la prima a riprendere fiato, nonostante la sorpresa. Gettò un rapido sguardo al trolley e corrugò la fronte.
«Aldo» ripeté con un sorriso tirato. «ma che bella sorpresa!».
Lui sentì morirgli la voce in gola..
«Io… passavo da queste parti e ho pensato di tornare a vedere i luoghi del mio passato.
Del nostro passato, avrebbe voluto dire, ma non ci era riuscito.
«Hai fatto bene. Ti fermi molto in città?».
Non lo so, forse per sempre, se me lo chiedi.
«Qualche giorno» rispose invece «come stai?».
Lei alzò le spalle. Bene, cosa doveva rispondere?
La domanda successiva restò sospesa nell’aria, finché lui non trovò il coraggio.
«E Giulio?».
«È appena uscito con un suo amico, forse l’hai incontrato».
C’era tutto in quella risposta: il figlio abbandonato che non aveva neanche riconosciuto, un passato troncato per sempre che non poteva ritornare.
Aldo lo capì.
«Allora ciao» disse, porgendole imbarazzato la mano, «è stato bello rivederti».
«Anche per me» rispose lei, stringendola, e con un sorriso freddo lo superò, uscendo.