(incipit di Maurizio De Giovanni)
 
Affrontò l’ultima parte della leggera salita a occhi bassi, ascoltando il rumore delle rotelle sulla ghiaia. Faceva caldo, e d’altra parte c’era da aspettarselo. Sentì un rivolo di sudore lungo la schiena e provò il tipico disagio di chi non avrebbe potuto mettersi sotto una doccia fino a sera. Il viaggio pensò. Un lungo viaggio, portando un sacco di cose con sé. Non indumenti o scarpe. Non guide turistiche, o libri da leggere. Il carico era quello dei ricordi, e delle speranze. I ricordi di quello che aveva fatto, che era successo, le speranze quelle che riponeva nello sguardo e nell’espressione di chi avrebbe incontrato al suo arrivo. Sospirò, e svoltò l’angolo del viale.
(sequel)
Si fermò un attimo per riprendere fiato, s’asciugò il sudore e, alzando lo sguardo, vide la casa, una villetta dalle mura color azzurro pastello, sembrava una goccia di mare in mezzo al verde del parco retrostante. Riprese il cammino sul sentiero ricoperto di sampietrini, ora le rotelle del trolley sobbalzavano meno. S’avvicinava lentamente a quello che un giorno fu il suo … il loro nido d’amore e mille pensieri iniziarono ad affollargli la mente.
Varcò quella soglia la prima volta con lei in braccio, poi si abbracciarono, si baciarono con passione. Con un sorriso di felicità Elsa si staccò da lui e gli sussurrò:
“Aspetta!”
Si avvicinò al vecchio giradischi e le dolci note di “Amapola” invasero la sala.
“Ricordi amore? Questa vecchia canzone ci ha fatto incontrare e innamorare e sarà la colonna sonora della nostra vita!”
Poi la musica parve interrompersi e quella sera di cinque anni fa si era ritrovato davanti quella porta, con Elsa che lo guardava smarrita, la valigia in mano e lui, con gli occhi bassi e senza un vero perché, a sussurrare:
“Mi spiace, tutto questo mi sta stretto, vado via!”
Così era andato via, senza nemmeno voltarsi.
C’era qualcosa che gli mancava, qualcosa di sconosciuto, che era diventato un muro fra lui e la sua serenità e così facendo pensava di colmare quel vuoto.
Aveva girovagato senza meta per cinque anni, vivendo di piccoli lavori occasionali ed espedienti, dormendo a volte anche sotto le stelle nella bella stagione. Un giorno, nel suo girovagare, si ritrovò alla stazione delle corriere. Rimase un po’ a guardare quell’andirivieni di gente e di corriere in partenza ed arrivo poi, come se una forza sconosciuta l’avesse sospinto, si recò alla biglietteria, acquistò un biglietto, salì sulla corriera e attese serenamente che partisse.
Ora era davanti alla porta, stava per suonare il campanello quando questa si aprì. Lei era lì, silenziosa, sembrava l’attendesse. Guardò sorpresa per un attimo quell’essere magro, con la barba, lo riconobbe dallo sguardo. Si fece da parte dicendo:
“Sapevo che saresti tornato!”
Entrando risentì le note del vecchio motivo, della loro colonna sonora. Lasciando cadere a terra il trolley le porse la mano dicendole:
“Ho voglia di ballare ancora.”
Elsa sorrise, gli si strinse contro e sussurrò:
“Anch’io!”