Viola spalancò le persiane, fece il letto, sprimacciò i cuscini.
E replicò gli stessi gesti in ogni stanza, come in una favola dei fratelli Grimm. 

 

Entrò in soggiorno, il suo sguardo corse, come ogni giorno, alla fotografia appoggiata sulla mensola sopra il camino. Un sorriso radioso e due occhi scuri la guardavano fissa in viso e, come ogni giorno, gli occhi di Viola si riempirono di lacrime. Elvio, il  suo unico e adorato figlio, morto in uno stupido incidente d’auto. Quel giorno il padre uscì in macchina con lui e gli permise di provare a guidare, nonostante lei si fosse raccomandata di non farlo. Il ragazzo perse il controllo dell’auto e finì contro un muro. Morì sul colpo, mentre il padre sopravvisse.
“Hai ucciso tuo figlio!” gli gridava Viola  con odio. Non dormì mai più nello stesso letto con lui. 

 

La sedicente maga “Luna” si sfregava le mani soddisfatta, stava aspettando l’ennesima credulona che avrebbe acquistato a suon di quattrini l’amuleto che le avrebbe consentito di comunicare in sogno col caro estinto.  Aprì un cassetto ed estrasse una luna d’argento con inciso il nome del defunto: Elvio. L’avvolse in una carta velina e l’inserì in un sacchetto di velluto blu. Il suono del campanello la fece sobbalzare, andò ad aprire e sorrise materna alla donna là fuori: “Cara Viola, entra, l’amuleto è pronto, l’ho fatto arrivare apposta per te. Mettilo al collo e non separartene mai”.
Viola strinse al cuore l’amuleto, pagò e se ne andò sorridendo, il cuore colmo di gioia.

 

La maga “Luna” diede un’occhiata soddisfatta alle decine di lune d’argento che giacevano nel cassetto, tutte uguali, ognuna con un nome diverso inciso sopra. Gli affari andavano a gonfie vele.