Portami lì, dove ogni vento si fa brezza odorosa, e c’è quella scogliera, la ricordi anche tu?
Come un quadro, un dipinto in perfetto e mutevole equilibrio, puoi vederla che si incunea all’orizzonte, all’estremo del promontorio che da millenni si getta in mare.
Non sempre. Non sempre si riescono a vedere i dettagli, non sempre puoi scorgere le sagome dei fichi d’india ad esempio, o il profilo delle piccole case di mare. A volte la spuma nasconde ogni cosa, a volte l’aria è tersa e la burrasca finge il vuoto. Regala spazio per il pensiero.
Portami proprio lì, ad ascoltare il filamento dove il giorno ride e nasce, a scoprirne il sussurro di un’ora, dopo un’ora, dopo un’ora.
Lì, a riconoscere ogni venatura, mentre si rovescia il pulviscolo iridescente del tramonto, quando capillare accende atomo dopo atomo, dopo atomo.
Fino a vivere forte.
Forte, forte, tanto forte che poi viene la notte e quasi muori. Morire insieme.
Annusi salsedine e sei gioia, inevitabile nella tua alterazione prepotente, inafferabile mentre rapida ti svesti di ogni velo.
Portami lì, dove le nuvole danzano primigenie e non c’è traccia di umano artefatto.
Spogliati con me, dalle stratificazioni successive di filtri e addendi e impasti e macere calcificazioni.
Nessuna intenzione preconfezionata. Perdono.
Assoluti, come solo il mare può assolvere.
Assoluta, estatica, accettazione.