L’isola che non c’è… più, è la mia infanzia, l’innocenza che mi permetteva di credere alla Befana e a Babbo Natale; quando credevo che gli adulti fossero nati adulti, cioè, i miei genitori erano sempre stati i miei genitori,  il dottore era nato per curare i bambini, la maestra per insegnare, la suora per pregare, il soldato era nato per fare la guerra.
Le malattie guarivano in una settimana, durante la quale la mamma mi portava da mangiare a letto e papà mi leggeva qualche storiella. Il dottore aveva le mani gelate quando mi visitava, mi faceva dire  trentatre e mi picchiettava la schiena con le dita fredde. Al mattino, la mamma mi copriva bene bene e apriva la finestra per “cambiare aria” e pulire la stanza. Io me ne stavo rannicchiata sotto le coperte, mi sentivo protetta, era bello avere l’influenza. Nell’Isola che non c’è più la morte non esisteva.