I santi mi fissano dalle cornici, appese alle pareti, con occhi veggenti che squarciano la penombra.
Le ombre dei rami si protendono verso i vetri della finestra sbarrata come goffe dita di una creatura notturna che lotta, sfinita, contro la tempesta di vento.
Mentre i ragni filano, instancabili ed ossessivi, le loro tele nel silenzio degli angoli.
Vorrei piangere ma le lacrime sono fredde.
Allora le ricaccio indietro e mi rintano in un angolo remoto del letto.
Ho imparato a non piangere.
E a non chiedere.
Ho imparato a vivere in silenzio.
Senza voce.
La pioggia martella ancora più forte contro i vetri mentre un fulmine si disegna rosso nella notte.
Poi il buio inghiotte la penombra facendomi precipitare nell’oscurità più profonda.
Ho terrore del buio come di quelle luci che, improvvise, squarciano l’oscurità.
Così la paura m’inchioda nel mio angolo di letto e la pipì mi bagna le gambe, mentre nel silenzio ascolto il frenetico sventagliare della pioggia.
Circondata dai ragni che ondeggiano sopra di me nelle loro culle di bava appese ai travi.
Mi accuccio nel bagnato, incapace di fare un solo movimento.
Trattengo il respiro.
Se mi riuscisse di gridare forse potrei salvarmi.
Spalanco la bocca ma non esce niente.
C’è solo questa mimica impotente delle mie dita convulse che fendono, mute, l’aria.
Ma che nessuno vede.
Non parlo più da tanto tempo, come potrei urlare?
Non urlo perché so che le mie grida non avrebbero suono.
C’è solo la mia bocca che si spalanca, e niente altro.
E poi il rumore di vetri infranti della finestra che cede sotto l’impeto furioso del vento, e la figura incappucciata di un santo fuoriesce dal suo quadro.
Quando i morti sono in agguato i vivi devono nascondersi.
Ed allora urlo.
Urlo.
Urlo.
Urlo.
Con la mia voce che vibra di suono senza la coerenza delle parole.
Mentre graffio a sangue la gola per avere la certezza concreta di quel grido.
Non riesco a smettere di urlare nemmeno quando mio padre mi strappa dal letto e mi raccoglie tra le sue braccia.
E sento il suo cuore impazzito battere contro il mio petto.
E le sue dita frenetiche toccarmi la bocca per essere davvero sicuro che sia proprio io a gridare dopo tutto questo tempo di ostinato silenzio.