Era tardi e tutti se ne erano andati dal caffè, meno un vecchio seduto nella la zona d’ombra che le foglie dell’albero formavano sotto la luce elettrica.

A Ferretti sembrava di essere lui quel vecchio del racconto di Hemingway. Non era un ubriacone, ma che avesse tentato più volte di farla finita, quello era vero.

“Ferretti” gridò il gestore, il vecchio sobbalzò “È orario di chiusura. Coma mai questa sera temporeggi?”

“Perché sto aspettando il momento opportuno per dirti che questo è l’ultimo giorno che lavoro per te”. Il vecchio guardava Allegri fisso in quegli occhi neri come la sua anima.

Mentre tamburellava  sul tavolo con le dita della mano, che tradivano un’impazienza trattenuta, aggiunse: “Ti sei vendicato abbastanza, per troppo tempo ho subito, non voglio stare più al tuo gioco.” Allegri rimase a bocca aperta. Già immaginava che si sarebbe sentito perso senza la sua vittima, ma era un uomo orgoglioso e da buon giocatore rispose:

“Puoi anche andare Ferretti” e un ghigno di soddisfazione gli deformò il volto, “la mia vendetta me la sono goduta.”

Il vecchio si alzò a fatica, diede le spalle al gestore senza salutare e, strusciando i piedi, uscì dal caffè come un cane bastonato. Si diresse senza fretta verso la pensione dove abitava, a pochi isolati dal caffè. Appena entrò nella stanza crollò sul divano, si guardò intorno e lasciò che la luce della notte avvolgesse lo squallore in cui era costretto a vivere. Sul  tavolo erano poggiate bottiglie di birra vuote e il pavimento era coperto dai troppi quotidiani sfogliati e abbandonati.

Con gesti lenti si alzò, si avvicinò al frigo, vuoto anche quello, come al solito, tranne un hamburger  e una bottiglia di spumante comprata il giorno prima: non poteva festeggiare la sua liberazione con la birra. Stappò lo spumante e lo versò in un calice conservato per l’occasione. Anche se era solo, voleva brindare per essersi, finalmente, liberato di Allegri il suo  carnefice. Poi un po’ stordito dallo spumante poggiò la testa sulla spalliera del sofà, e si abbandonò ai ricordi.

Ferretti aveva fatto la conoscenza di Allegri molti anni prima, alla facoltà di legge dell’Università di Roma in occasione dell’esame di Diritto Costituzionale che avrebbero dovuto sostenere entrambi. Mentre aspettavano fuori dall’aula dove si tenevano i colloqui, Allegri si era avvicinato a Ferretti, un ragazzo dall’aria distinta e sicura. Gentilmente e a bassa voce, gli aveva detto:

“Fai anche tu l’esame con il prof. Birolli?”

“Sì, dicono sia un osso duro. Staremo a vedere” aveva risposto Ferretti con aria spavalda, mentre si riavviava il ciuffo di capelli che gli era ricaduto sulla fronte.”

“Beato te, che sei così sicuro” rispose Allegri, “al contrario di te, sono preoccupato”.

“Perché?” aveva domandato Ferretti, avvicinandosi con cautela al compagno di studi.

Allegri gli sussurrò all’orecchio “Non sono preparato. Ho studiato pochissimo”.

Alla fine i due  erano stati chiamati. Era toccato prima ad Allegri che era riuscito a strappare un misero diciotto, poco dopo era venuto il turno di Ferretti. Dopo circa mezz’ora il giovane era uscito dall’aula trionfante e aveva sfoggiato un trenta e lode sul libretto. Insieme, mentre parlavano dell’esame appena sostenuto, si erano avviati verso l’uscita. Poi Ferretti, per voler consolare l’amico, gli aveva chiesto “Ti andrebbe un caffè?”.

Allegri, recuperato il buonumore aveva accettato e si erano diretti verso il bar dell’Università gremito di studenti. Avevano scelto un tavolino d’angolo un po’ appartato dove, attraverso la vetrata, si poteva ammirare la città Universitaria vista dall’alto. Poi avevano fatto le ordinazioni a un cameriere, probabilmente anche lui studente.

“Ma tu non sei di Roma. Hai un accento settentrionale”, aveva poi chiesto Ferretti.

“Vengo da Milano, mio padre dopo un tracollo finanziario è stato costretto ad accettare qualsiasi lavoro pur di sopravvivere dignitosamente, ma poi è accaduto un miracolo: ha ereditato dal nonno un grande bar nel centro di Roma e mia madre ha avuto l’esigenza di seguire da vicino le rendite di certi appartamenti di sua proprietà, sempre a Roma. così ci siamo trasferiti. Ora abitiamo nel quartiere Trieste. Vivo ancora con la mia famiglia, con loro vado d’accordo e mi sostengono negli studi. E tu? Sei romano? Magari mi potresti aiutare a conoscere meglio la città.”

“Sono romano ma vivo da solo. Al contrario di te, non vado d’accordo con mio padre che vuole spadroneggiare troppo. Ho un piccolo appartamento nel quartiere San Lorenzo, qui alle spalle dell’università.”

“E come ti mantieni?”

“La sera lavoro nei ristoranti. Non vedo l’ora che finisca questa vita. Dopo la laurea voglio diventare un bravo avvocato e guadagnare un sacco di soldi. Tu, invece, che progetti hai?”

“Non ho ancora le idee chiare su cosa fare dopo.”

Finalmente era arrivato il cameriere con le ordinazioni, ma appena si era avvicinato ad Allegri era inciampato malamente e aveva rovesciato i caffè sulla camicia candida del giovane.

“Cretino, ma chi ti tiene a servire qui?” aveva urlato Allegri, sfogando sul cameriere la rabbia repressa per il misero voto ottenuto all’esame. Era un lato del suo carattere che col passare del tempo Ferretti avrebbe imparato a conoscere.

Il cameriere mortificato aveva provato a scusarsi, “Mi dispiace, sono desolato. Non si faccia sentire dal proprietario, la prego. Ho un bambino piccolo e ho bisogno di guadagnare. Le porto subito lo smacchiatore.”

Allegri era riuscito a pulire la camicia che era tornata ad essere candida, ma i due ragazzi non avevano più voglia di consumare. Senza aggiungere altro si erano alzati e se ne erano andati, ognuno per la propria strada. Nei giorni seguenti avevano continuato a frequentarsi. La mattina seguivano le lezioni poi pranzavano alla mensa di via Cesare de Lollis, sempre parlando dei loro studi, ma anche di musica e di fumetti che piacevano tanto ad Allegri. Ferretti iniziò ad aiutare Allegri a preparare gli esami e quando non studiavano si concedevano i soliti svaghi dei ragazzi. Insieme andavano in centro per acquistare libri, ma anche abiti alla moda, da indossare in discoteca dove potevano spassarsela e conoscere ragazze da sballo. In uno di questi locali Allegri aveva conosciuto Luisa. Una ragazza non molto alta, magra ma con le curve al posto giusto, i lunghi capelli ramati esaltavano la carnagione delicata che sembrava porcellana. Allegri quella sera di fine marzo al Piper l’aveva osservata ballare per ore, le onde morbide dei capelli ricadevano sulle spalle esili seguendo i movimenti sinuosi dei fianchi al ritmo della musica. Le era sembrata una danzatrice del ventre, per la sensualità che era capace di trasmettere quando danzava sulla pista. Quella ragazza le era piaciuta subito, fin dal primo sguardo. Quando si erano decisi a mettere un lento, Allegri l’aveva invitata a ballare e lei aveva accettato. La sua grazia, l’eleganza dei gesti, gli occhi azzurri sembravano sinceri e avevano smosso l’arroganza del ragazzo. Ferretti aveva capito la situazione e se ne era andato salutando l’amico con una strizzatina d’occhio. Dopo le danze Allegri e Luisa si erano seduti sul divano, ma la musica ad alto volume non aveva permesso loro di parlare. Allegri aveva capito solo che anche Luisa stava studiando Giurisprudenza. Erano usciti, e si erano dati appuntamento per il giorno dopo fuori dalla facoltà. Quella notte Allegri dormì male, era euforico, non pensava che a Luisa, e anche la mattina dopo, a lezione, il pensiero che l’avrebbe incontrata a breve lo distraeva dal seguire le lezioni. All’uscita della facoltà finalmente aveva visto quella ragazza che tanto lo turbava. Le era sembrata bellissima nel suo completo jeans. L’aveva invitata da Mario’s, un noto ristorante di Trastevere dove avevano ordinato un pranzo a base di pesce. Poi a un certo punto Allegri aveva rotto il ghiaccio.“Balli benissimo. Hai frequentato una scuola?”

Lei visibilmente compiaciuta per il complimento aveva raccontato che fin da bambina aveva studiato danza classica, “Volevo entrare a far parte del balletto del Teatro dell’Opera. Però mio padre, che crede solo nelle professioni come dire… lui è un medico ecco, e si è opposto. Studio Giurisprudenza perché è stata una sua volontà. Secondo lui offre più opportunità di lavoro, soprattutto avendo io uno zio che è un noto avvocato. Ma sono stanca di questi studi noiosi che non mi interessano. Voglio cercarmi un lavoro e riprendere a ballare.”

Allegri aveva apprezzato molto le ambizioni di Luisa e aveva continuato a frequentarla, sperando che il loro rapporto presto sarebbe diventato più di un’amicizia. Un giorno, mentre erano a pranzo alla mensa dell’Università, li aveva raggiunti Ferretti. Luisa, con lui, si era mostrata cordiale, forse troppo. Si era messa a parlare di sé, con un atteggiamento civettuolo: rideva per nulla, lo guardava languidamente e lo aveva carezzato più volte sulla guancia, senza pudore. Allegri non aveva reagito pensando che forse il comportamento di Luisa era solo un modo di essere cordiale. Presto si era ricreduto. Qualche giorno dopo, difatti, mentre dal viale dell’Università raggiungeva la Facoltà, aveva sorpreso Ferretti e Luisa che si baciavano. Era corso verso di loro e aveva sferrato un cazzotto a Ferretti che era caduto al suolo sanguinante. Luisa, spaventata aveva cercato di proteggere Ferretti. I passanti li guardavano spaventati e qualcuno li aveva separati. Luisa si era allontanata sconvolta, si era fermata in un bar a bere un bicchiere d’acqua per calmarsi, poi si era diretta verso casa.

Che balordi questi due ragazzi, pensava. Allegri è un violento e con me si è dato un mucchio di arie. Ferretti almeno si guadagna da vivere, fa la gavetta. E poi diciamocelo francamente, è più bello di Allegri. Quando l’ho visto alla mensa dell’Università, ho fatto un po’ la civetta lo ammetto, con Allegri accanto mi sono sentita già vecchia. Ha già le spalle curve e un po’ di pancia, ma dopo quello che è successo non voglio avere a che fare con nessuno dei due. Se ne andassero al diavolo! Da quel giorno i tre, quando si incrociavano nei corridoi all’Università, facevano finta di non conoscersi.

Era passato qualche anno e Allegri era riuscito a laurearsi, ma aveva preferito aiutare il padre nella gestione del caffè. Quando i genitori vennero a mancare il bar divenne di sua proprietà e lui aveva abbandonato l’idea di esercitare la professione di avvocato. Lo aiutava la signora Odino, che lavorava nel bar già dai tempi del nonno. Era una donna molto magra ma energica, però era incompatibile con il carattere di Allegri e si era licenziata dopo pochi mesi. Dopo di lei, Allegri aveva avuto molti altri camerieri, ma non riusciva ad andare d’accordo con nessuno. Una mattina al caffè si era presentato Ferretti. Era passato tanto tempo, ma Allegri lo aveva riconosciuto subito “Con quale faccia sei qui?”.

Ferretti aveva abbassato lo sguardo, “Ti prego, fammi entrare. Ti spiego”.

Incuriosito Allegri lo aveva fatto accomodare. Ferretti era scoppiato a piangere.

“Sono con l’acqua alla gola. Ho fatto alcuni errori imperdonabili e ho perso quasi tutti i clienti. Ho dovuto chiudere lo studio. Ho cercato lavoro ovunque. Ho saputo del tuo caffè da amici, sei la mia ultima chance. Dimentica il passato. Luisa sono secoli che non la vedo. Ti prego, perdonami.” Allegri aveva risposto: “Non ti preoccupare. È tutta acqua passata, ma qui puoi fare solo il cameriere. Pensi di essere in grado?”.

“Certo, certo” aveva detto Ferretti.

Allegri, in cuor suo, era soddisfatto: finalmente poteva vedere il suo ex compagno di studi, lo studente modello, ridotto in quello stato. Si era sfregato le mani e aveva sorriso compiaciuto. E difatti ne aveva viste delle belle. Ferretti aveva dimostrato che servire ai tavoli non era proprio il mestiere adatto a lui: già il primo giorno gli era caduto il cappuccino con l’intero vassoio, spesso capitava che rompesse bicchieri e tazzine e molte volte dimenticava di servire i clienti. E di certo Allegri non lo incoraggiava, anzi,  gli dava del cretino, gli diceva che era un’incapace e in breve tempo l’ex amico era diventato il suo zerbino. Non gli aveva mai concesso un permesso, figuriamoci un giorno di ferie. Questo per diversi anni. Adesso era finita, finalmente.

Interruppe il flusso dei ricordi il suono del campanello della porta. Ferretti andò ad aprire e con sua grande sorpresa, vide due carabinieri.

“Ci deve seguire” dissero “Lei è accusato di furto al caffè Garibaldi.”

“Accidenti!” disse Ferretti con la voce impastata “Ma che genio il bastardo, se ne è accorto solo quando mi sono liberato di lui. E non ha aspettato neanche un minuto per denunciarmi”. Ai due carabinieri faceva pena quel vecchio ubriaco.

“Confesso che gli ho fatto la cresta tutte le sere e meritava di peggio, ma lui lo ha sempre saputo. Allegri pensa di avermi messo le manette ai polsi, lui che mi ha tenuto in galera per anni mi ci vuole mandare per davvero. Ma ha cantato vittoria troppo presto perché in galera ci finirà lui.”

Uno dei carabinieri, rendendosi conto che il vecchio era molto agitato, gli pose la mano sulla spalla e disse. “Se ha accuse da fare aspetti di farlo davanti agli inquirenti. Noi eseguiamo solo gli ordini.”

“Ripeterò tutto davanti al magistrato, sono un avvocato, conosco la legge e le procedure. Il mio è solo lo sfogo di un uomo che è stato umiliato per anni.”

I carabinieri gli strinsero le manette ai polsi mentre Ferretti continuava “Ho sottratto del denaro volutamente al mio datore di lavoro per fargli credere di avermi in pugno ma lui, il disonesto, lo ha sottratto allo stato evadendo le tasse e ne ho le prove. Sono depositate in una cassetta di sicurezza, insieme al denaro che gli ho sottratto io e che posso restituire. In trappola ci è finito lui. Ed io ho finalmente la mia vendetta.