Il treno arriva, scassato come al solito; salgo in seconda classe e cerco un posto,

lo scompartimento è quasi pieno, ma il posto vicino al finestrino, contro il senso di marcia è

libero, forse perché ci batte il sole; lo occupo, di fianco c’è un bambino, accanto a lui la

madre, di fronte a me un signore distinto, vicino a lui una signora di mezz’età, e adiacente

alla porta un ragazzo. Sarà un lungo viaggio il mio; tanti pensieri mi affollano la mente.

Mi guardo intorno: il signore che ho di fronte mi fissa come se fossi un babà al rum, meglio

cambiare aria per un po’; esco dallo scompartimento: il corridoio è pieno, un po’ per altri

che come me approfittano della sosta per fumare una sigaretta, un po’ perché altra gente

continua a salire. Quante valigie! Tante persone passeranno la notte nel corridoio. Davanti a

me un vecchietto dagli occhi stanchi: una triste rassegnazione; è l’espressione comune a

quasi tutti in questo treno… come li chiamano?

“Ah sì, ecco: viaggi della speranza!”

Ed è proprio così, speriamo tutti di trovare qualcosa, un lavoro, un po’ di serenità, il proprio

figlio che non si vede da mesi; in quei pacchi di cartone ci si porta dietro un pezzetto di

casa: odori e sapori per non dimenticare le proprie radici.

Non porto niente con me, non voglio ricordare.

Rientro nel mio scompartimento, di fianco a me il bambino si è addormentato occupando

anche il mio posto. Mentre lo scosto delicatamente il treno parte, con uno scossone che

quasi mi fa cadere. Mi siedo e guardo fuori dal finestrino: vedo scorrere paesaggi eguali e

nello stesso tempo diversi: mare, sempre mare, di quest’azzurro conosco e amo tutte le

sfumature; ognuna di esse mi parla. Che gioia il blu dei pomeriggi di sole. E che

inquietudini mi angosciano quando, prima di un temporale, il grigio frammisto al nero del

cielo che in esso si specchia, prende il posto del celeste a me caro. Mi mancherà il mio

mare!

Lungo la costa ionica si alternano distese di sabbia e calette di scogli; a poco a poco lunghe

distese di sabbia prendono il posto della scogliera.

Siamo in Puglia lungo la costa adriatica. I miei pensieri tornano a mia madre e

all’espressione sconfitta che le ho letto in faccia: un altro figlio che se ne va, e a mio padre

che mi ha salutata con il sorriso dolce che solo lui sa fare. I suoi occhi sembravano dirmi:

“Io sarò qui quando ne avrai bisogno”, e sarà vero, lui mantiene sempre le sue promesse.

Il ragazzo del posto di fronte mi distrae da questi pensieri che si affollano e che non riesco a

contenere:

“Vuoi un pezzo di panino? È tardi, perché non mangi qualcosa?”

Lo ringrazio, ma ho lo stomaco chiuso, non potrei inghiottire nulla in questo momento; mi

giro, continuo a guardare fuori. È buio, non si vede più il paesaggio; siamo nell’Appennino,

cominciano le gallerie e le luci fuori si confondono sono stanca, la mia giornata è iniziata

prestissimo. Chiudo gli occhi solo per un momento, mi sveglia la voce della signora che

deve andare in bagno e chiede al ragazzo di farla passare.

Lei è contenta, sta tornando a casa dopo un breve periodo trascorso dai suoi genitori.

Si preoccupa per loro, sono anziani ormai e così fragili, mi chiedo se anche per me sarà così

tra qualche anno. Il ragazzo dorme con le cuffie sulle orecchie. È uno studente

universitario. Anche a me sarebbe piaciuto andare all’università, ma le nostre condizioni

economiche non me l’hanno permesso. Il signore di fronte ha la bocca aperta e russa; grazie

al cielo la sua attenzione si è spostata verso la mamma giovane col bambino. Di lui non so

nulla, ma sembra vestito bene. Ha l’aria del commesso viaggiatore anche se in genere loro

viaggiano in macchina. Sono stata sveglia tutta la notte: la paura, l’eccitazione, la

preoccupazione, chissà?

Il cielo comincia a schiarire e s’intravede una luce violetta: è già l’alba; quanti binari! Tra

poco saremo in una stazione sicuramente importante, infatti sento l’altoparlante che

annuncia: “Bologna”.

Qui il treno farà una sosta lunga, forse riuscirò a bere un caffé decente, ma una folla di

persone che scendono e salgono dal treno me lo impedisce e così dico addio al mio caffé.

Nel frattempo tutti si svegliano nel mio scompartimento anche il bambino che ha dormito

beato per tutto il tempo. “Mamma mi dai il latte?” Com’è piccolo avrà tre anni appena, e la

mamma così giovane sarà pronta per questo ruolo difficile? Essere genitore! Questa cosa mi

spaventa, anche se un figlio è ciò che più desidero al mondo.

Chissà come sarà il mio bambino!

Chissà chi andranno a trovare? Il papà o forse i nonni, magari solo degli amici o forse…

Le possibilità sono infinite, forse dovrei chiederglielo, ma no, non è importante.

Queste ultime ore non passano più.

Cerco di leggere, ma non riesco, allora tento di conversare con la signora che insonnolita mi

risponde a malapena. Mi rassegno e torno ai miei pensieri e tante paure mi assalgono.

Troppe domande senza risposta, ma mi consolo dicendomi che la mia è una sfida.

Il treno comincia a rallentare; fra qualche minuto arriveremo, sono eccitata!

Eccola la stazione di Milano! Non immaginavo che fosse così grande. Il treno comincia a

frenare la sua corsa, ma occorre qualche minuto prima che si fermi. La volta sembra

inghiottirci, tanti treni arrivano e partono nello stesso momento. C’è n’è uno tutto rosso: è il

diretto Milano – Roma, sfreccia davanti a noi sorpassandoci, chissà perché ha la

precedenza? Vedo scendere i suoi passeggeri, gente distinta, signori ben vestiti che si

dirigono verso l’uscita, sapendo esattamente dove andare. Tutti questi rumori, mi fanno

girare la testa, forse è solo stanchezza, forse la nuova vita che mi aspetta.

Il controllore fischia interrompendo i miei pensieri, qualcuno apre la porta del nostro

vagone; saluti frettolosi e poi si scende.

Il mio viaggio inizia qui!