La pazza (1905)  dipinto di Giacomo Balla

 

Così la chiamavano gli abitanti del piccolo borgo, Ludmilla la pazza, e pazza lo era davvero, o meglio lo era diventata, annientata da un destino che si era accanito su di lei con una ferocia indicibile.

Abitava da sola in una casupola ai margini del bosco, isolata dal mondo. Ai bambini era stato raccomandato di non avvicinarsi a quella casa, perché c’era una strega che li rapiva e non li faceva più tornare a casa.

Di giorno Ludmilla girava per il bosco, parlava con gli alberi, con gli uccelli, raccoglieva foglie secche e le portava a casa tenendole fra le braccia e cantando filastrocche.

Verso l’imbrunire si avventurava fino al borgo, camminando velocemente a balzelli, i capelli scomposti, gli occhi sbarrati, lanciava epiteti verso gli abitanti, accusandoli di ogni malefatta. Tutti chiudevano a chiave le porte di casa, e speravano che se ne andasse alla svelta.

 

In realtà Ludmilla sapeva tutto di loro, nella sua lucida follia aveva adottato un sistema ingegnoso per spiare quelli che considerava i suoi nemici. Smetteva di gridare e restava nascosta finché non sopraggiungeva il buio. Si avvicinava alle finestre e di cose ne scopriva parecchie. La moglie del fornaio ad esempio, quando il marito andava al lavoro, metteva a letto i bambini e riceveva in casa e nel suo letto il marito della lavandaia, che dopo una giornata di lavoro faticosissimo, crollava addormentata in un baleno.
Il fabbro invece era un uomo violento, lo aveva visto spesso picchiare la moglie, mentre i bambini piangevano. Una notte vide la sartina del borgo entrare di soppiatto nella canonica, dove il parroco la stava aspettando ansioso.
Eh sì, ne sapeva di cose Ludmilla la pazza, e le gridava ogni giorno per le vie del borgo ma nessuno le dava retta, anzi, avevano tutto l’interesse a chiudere porte e finestre per non sentirsi sputtanare così apertamente.

All’alba tornava nella sua povera dimora , si buttava sul materasso e guardava fisso il muro spoglio, quel muro diventava per lei uno schermo, dove il film del suo passato si dipanava in tutto il suo orrore. Allora piangeva in silenzio finché sfinita si addormentava.

 

 

STORIA DI LUDMILLA

 

Era bella da giovane, capelli castani, lunghi e ondulati incorniciavano un viso dai tratti regolari, due splendidi occhi scuri e un fisico snello e slanciato. Abitava con i genitori in una grande casa padronale con un vasto giardino che insieme alla madre curava con amore. Una famiglia molto agiata, il padre commerciava in gioielli e pietre preziose, gli affari andavano a gonfie vele, la vita scorreva serena e Ludmilla era felice.

Ma un giorno arrivò lui.

Reginald, un giovane tanto bello quanto donnaiolo e avventuriero. Aveva adocchiato la famiglia di Ludmilla già da tempo, seguiva la ragazza di nascosto, vide che frequentava spesso la biblioteca e fu lì che tese la sua trappola. Fingendo di cercare un libro le chiese un consiglio e così ruppe il ghiaccio. Si incontrarono altre volte, sempre in biblioteca, Reginald sapeva essere gentile e galante, conosceva le buone maniere, erano indispensabili per fare buona impressione. Ludmilla fu abbagliata da quell’uomo, dalla sua bellezza e dai suoi modi gentili. Quando lui le chiese un appuntamento disse subito sì.
“Posso passare a prendervi a casa vostra se volete, va bene domani sera?”

“Sì va bene, così avrò il tempo di parlarne con i miei genitori”.

 

“Tesoro – disse il padre – hai accettato troppo presto. Non sai nulla di lui”.

“Ma lui viene qui stasera, così lo conoscerai anche tu e sono certa che ti piacerà subito”.

“E va bene, però ti prego, non mostrarti troppo entusiasta, lascia prima che io e tua madre parliamo con lui, d’accordo?”

“Sì papà me ne starò buona buona”.

 

 

Reginald arrivò con un mazzo di fiori che porse alla madre di Ludmilla con un inchino, strinse la mano al padre e sorrise alla ragazza che, a stento, riuscì a trattenersi dal ridere di gioia. Gli offrirono una tazza di the e una fetta di torta al lampone che lui gradì molto.

“Allora giovanotto – disse il padre accendendo la pipa – di cosa vi occupate nella vita?”
“Al momento niente di definitivo, sto facendo esperienze varie viaggiando per il mondo”.

“Un passatempo costoso, come potete permettervelo se non lavorate?”

“Godo di una rendita lasciatami da mio padre”.

“Capisco”. Il padre di Ludmilla vide l’avidità nei suoi occhi, si accorse di come si guardava in giro soffermandosi sui quadri alle pareti, sui vari oggetti di valore sistemati nelle vetrinette e ai gioielli che la moglie indossava.

“Signore – Reginald interruppe il filo dei suoi pensieri – posso avere il permesso di uscire con vostra figlia per una breve passeggiata?”

Gli occhi di Ludmilla si illuminarono di gioia, il padre non ebbe il coraggio di deluderla:
“D’accordo, ma non ritiratevi tardi”.

 

Appena usciti Reginald disse alla ragazza guardandola negli occhi:
“Non piaccio a tuo padre!”

“Ma no, dagli il tempo di conoscerti, vedrai che si ricrederà”.

“Ludmilla, io ti amo e voglio sposarti”.

“Oh davvero? Sono molto felice perché… anch’io amo te”.

Lui l’abbracciò forte:
“E con tuo padre cosa facciamo? E’ evidente che non mi stima affatto”.

“Non preoccuparti, gli parlerò io, vedrai, non potrà negare il consenso al matrimonio sapendo di darmi un grande dolore”.

 

Non fu affatto così semplice, il padre, d’accordo con la moglie, disse che non avrebbe mai dato il consenso a quelle nozze per mantenere un cacciatore di dote, perché tale riteneva fosse Reginald. A nulla valsero i pianti le suppliche e il broncio di Ludmilla.  Dopo l’ennesima discussione lei sbottò:

“Lo sposerò lo stesso con o senza il tuo consenso, io lo amo”.
“ Se lo farai io ti diserederò, non intendo mantenere un simile fannullone, anche tua madre la pensa come me. Il mio cuore malato, lo sai, non sopporterebbe di vederti soffrire a causa sua.”

 

 

Ludmilla con le lacrime agli occhi riferì a Reginald le parole del padre, lui si rabbuiò:
“Questa non ci voleva!”

“A me non importa niente dei soldi Reginald, voglio essere tua moglie. Però ho paura per mio padre, soffre di cuore, quando saremo sposati dovremo parlargli e pregarlo di perdonarci”.

“D’accordo ma… Se non vorrà più vederci come vivremo senza soldi?”

“Lavoreremo, siamo giovani e ci amiamo… vero?”

Lui tacque per un istante che le sembrò un’eternità.
“Va bene – disse Reginald – fra due giorni andremo a sposarci in una chiesetta in collina, conosco il sacerdote, non ci saranno problemi. Non dire niente a nessuno, verrò a prenderti con una carrozza a mezzanotte, poi torneremo qui e metteremo tuo padre di fronte al fatto compiuto”.

 

Le sembrò una buona idea, ormai era talmente presa da lui che avrebbe fatto qualsiasi cosa. I due giorni seguenti furono lunghissimi e angoscianti per Ludmilla, dovette resistere per non confidarsi almeno con la madre. Il giorno della fuga andò in biblioteca per distrarsi con la lettura, la madre era andata in visita da sua sorella. Tornò a casa nel tardo pomeriggio, trovò la madre, tornata anche lei poco prima, in lacrime, confortata da alcune vicine. “Mamma, cosa è successo?”

“Oh figlia mia, tuo padre… il suo povero cuore!”

L’aveva trovato riverso sul tavolo della cucina, una tazza di the rovesciata, il contenuto era colato fino a terra. Era morto. Il medico diagnosticò la “morte per arresto cardiaco”.

La notizia giunse fino a Reginald che si precipitò a casa di Ludmilla, trovandola prostrata dal dolore e dal rimorso. Si riteneva responsabile della morte del padre, per averlo sfidato così impunemente.

 

Fu aperto il testamento, Ludmilla ebbe la sua eredità, la madre, senza più l’appoggio del marito, non fece nessuna opposizione e i due giovani si sposarono un anno dopo, osservando un doveroso periodo di lutto.

 

Restarono a vivere nella casa padronale, Reginald prese possesso dell’ufficio del suocero, assunse una cuoca esperta e una giovane cameriera, diventò ben presto il padrone di casa, e prese a dilapidare il patrimonio, giocando ai cavalli e facendo spese pazze senza curarsi delle deboli proteste di Ludmilla. Nei cinque anni seguenti nacquero due figli, due bellissimi maschietti, luce dei suoi occhi. Purtroppo la madre di Ludmilla morì poco tempo dopo, lasciandola sola con Reginald che, nel frattempo era diventato sempre più arrogante e la comandava a bacchetta. Una mattina sentì delle voci quasi lamentose provenire dal piano superiore dove c’erano le camere da letto. I bambini giocavano in giardino. Salì piano piano, aprì lentamente le varie porte finché arrivò alla camera dei suoi genitori, che lei aveva voluto mantenere intatta. Le voci provenivano proprio da lì; aprì uno spiraglio e un grido d’orrore le uscì dalla bocca… Reginald e la giovane cameriera, nudi, stavano facendo sesso, freneticamente, i lamenti che aveva sentito uscivano dalla bocca della fanciulla che si donava a lui in modo osceno. Mai il marito aveva fatto l’amore con lei in quel modo.

La cameriera gridò di spavento, mentre Reginald, dopo un attimo di stupore, scoppiò a ridere sfrontatamente. La ragazza raccolse in fretta i vestiti e fuggì dalla stanza, Ludmilla stava lì, impalata, a guardare il marito come se non lo conoscesse.

“Come hai potuto, Reginald…”

“Come ho potuto? L’hai visto no?” E scoppiò di nuovo a ridere, intanto si infilava i pantaloni. “Cosa credevi? Che mi accontentassi di una donna come te, senza iniziativa, pudica come un’educanda? A me piacciono le donne focose, senza vergogna! Tu vai bene per fare figli e allevarli”.

“No, non è vero, dimmi che non è vero ti prego Reginald”.

“Certo che è vero, anzi, giacché siamo in argomento, domattina partirò per qualche giorno”.

“Dove devi andare?”

“A divertirmi è ovvio, il denaro non manca, grazie al testamento del tuo paparino”.

“Ora capisco, mio padre aveva ragione, tu miravi all’eredità, non mi amavi affatto. Oh povero papà, quanto l’ho fatto soffrire, è morto per causa mia”.

“Beh in effetti quel giorno, quando gli ho parlato a tu per tu era parecchio sconvolto”.

“Quel giorno… quale giorno?”

“Quando saremmo dovuti andare a sposarci in segreto, tu non eri in casa, tua madre neppure”.

“Ma… tu sei venuto qui?”

“Sì, tuo padre si era preparato un the, non stava bene”.

“E tu cosa hai fatto? Non hai chiamato il dottore?”

“No di certo, gli ho detto che se non avesse acconsentito al matrimonio ti avrei uccisa!”

“Cosa???”

“Poveretto, mi ha creduto, ha cominciato a boccheggiare, si è portato le mani al petto ed è crollato. Io naturalmente sono sparito in fretta. Nessuno mi ha visto”.

“Oh mio Dio! Cosa hai fatto? L’hai ucciso, maledetto tu l’hai ucciso! Ti denuncerò, la pagherai cara! Oh papà mio, come ho potuto essere così stupida!”

Il manrovescio la colpì all’improvviso, restò a bocca aperta guardando Reginald come se lo vedesse per la prima volta. Aveva un’espressione dura, crudele, con voce sibilante disse:
“Vuoi denunciarmi? E per accusarmi di cosa? Per aver fatto visita al mio futuro suocero? Io non l’ho nemmeno toccato, gli ho solo parlato, ha fatto tutto da solo”.

Ludmilla gli si lanciò contro con tutta la forza che aveva, gli graffiò il viso, gli strappò i capelli, urlando con quanto fiato aveva in gola. Lui si liberò facilmente, le diede due violenti ceffoni facendola cadere a terra dolorante, poi afferrò la borsa da viaggio già pronta e se ne andò.

 

 

Impossibile descrivere la disperazione di Ludmilla, il mondo le crollava addosso, aveva amato un mostro, aveva donato la sua innocenza e la sua dedizione a un assassino.

 

Seguirono giorni spaventosi, il senso di abbandono la devastava, le pareva di aver sognato, e che all’improvviso il suo Reginald sarebbe tornato gentile e sorridente come una volta. Ma lui non tornava, il tormento di Ludmilla raggiunse il limite, usciva ogni giorno camminando per le strade senza meta, sperando di incontrare il marito, i bambini restavano soli in casa, accuditi alla meglio dalla cuoca. La cameriera si era licenziata in fretta e furia, dopo ciò che era successo.

 

Un giorno Ludmilla, durante le sue peregrinazioni vide Reginald. Sì era proprio lui non poteva sbagliare. Era in compagnia di una donna riccamente abbigliata, non molto giovane ma piacente. Si avvicinò  e lo chiamò:

“Reginald!”

Lui si voltò e la guardò prima stupito poi irritato.

“Conosci quella donna?” Chiese la dama elegante.

“No… No di certo”.
“Reginald!” Ripetè Ludmilla.

“Cosa vuole? Mi confonde con qualcun altro. Andiamo via” – disse alla signora elegante.

Ludmilla restò ferma, immobile, li guardò allontanarsi, prendere una carrozza e sparire alla sua vista. Tornò sui suoi passi curva sotto il peso del dolore, raggiunse la sua casa come un automa. La cuoca le corse incontro, la faccia stravolta dal pianto, i vicini erano accalcati davanti alla porta e parlavano fra loro concitatamente.

“Signora, oh povera signora, che cosa terribile!”

Come istupidita Ludmilla guardava la cuoca, poi il capannello di gente.

“Cosa c’è?”

La donna non riusciva a parlare troppo scossa dai singhiozzi. Si avvicinò il dottore, che prese delicatamente Ludmilla per un braccio e le parlò con la massima gentilezza.
“Mia cara, deve essere forte”.

“Ma che succede?” chiese come in trance.

“I bambini…”

“I bambini? E’ successo qualcosa ai miei bambini? Dove sono?”

 

 

I piccoli erano riusciti a eludere la sorveglianza, invero un po’ precaria, della cuoca e si erano avventurati oltre il giardino di casa, erano riusciti a scavalcare il muretto, avevano attraversato il boschetto ed erano arrivati fino al fiume. Il più piccolo era scivolato nell’acqua gelida, il più grandicello aveva cercato di salvarlo ma la corrente li aveva trascinati via entrambi, in una corsa senza speranza.

 

 

Fu la fine per la povera Ludmilla, la follia esplose nel suo cervello definitivamente, aveva perso tutto, proprio tutto! Trascorse molti anni in manicomio, sottoposta a cure dolorose quanto inutili. Pasticche calmanti, elettroshock, camicia di forza. Le sue urla raccapriccianti risuonavano in tutto l’ospedale.

 

La lasciarono libera quando i medici ritennero che non fosse più pericolosa per sé e per gli altri. Ormai era fuor di senno ma innocua. La casa padronale non esisteva più, Reginald aveva perso tutto al gioco ed era scomparso per sempre. Una famiglia caritatevole le donò una piccola dependance mezza diroccata, di una villa ridotta a un rudere e abbandonata. dove poter vivere alla meglio.

 

 

Ecco, il film è finito, il muro è tornato ad essere solo un muro scrostato.

Spossata dal pianto Ludmilla si addormenta, domani riprenderà a parlare con gli uccelli e a raccogliere foglie secche, portandole fra le braccia come fossero i suoi bambini, e canterà per loro una filastrocca.

Poi, come ogni notte continuerà a spiare i vicini.

 

 

 

 

 

 

 

La pazza (1905) ritratto di Matilde Garbini, sua vicina di casa, malata di mente, il cui volto

disperato porta il segno della pazzia e dell’alienazione.

 

LA PAZZA

Così la chiamavano gli abitanti del piccolo borgo, Ludmilla la pazza, e pazza lo era davvero, o meglio lo era diventata, annientata da un destino che si era accanito su di lei con una ferocia indicibile.

Abitava da sola in una casupola ai margini del bosco, isolata dal mondo. Ai bambini era stato raccomandato di non avvicinarsi a quella casa, perché c’era una strega che li rapiva e non li faceva più tornare a casa.

Di giorno Ludmilla girava per il bosco, parlava con gli alberi, con gli uccelli, raccoglieva foglie secche e le portava a casa tenendole fra le braccia e cantando filastrocche.

Verso l’imbrunire si avventurava fino al borgo, camminando velocemente a balzelli, i capelli scomposti, gli occhi sbarrati, lanciava epiteti verso gli abitanti, accusandoli di ogni malefatta. Tutti chiudevano a chiave le porte di casa, e speravano che se ne andasse alla svelta.

 

In realtà Ludmilla sapeva tutto di loro, nella sua lucida follia aveva adottato un sistema ingegnoso per spiare quelli che considerava i suoi nemici. Smetteva di gridare e restava nascosta finché non sopraggiungeva il buio. Si avvicinava alle finestre e di cose ne scopriva parecchie. La moglie del fornaio ad esempio, quando il marito andava al lavoro, metteva a letto i bambini e riceveva in casa e nel suo letto il marito della lavandaia, che dopo una giornata di lavoro faticosissimo, crollava addormentata in un baleno.
Il fabbro invece era un uomo violento, lo aveva visto spesso picchiare la moglie, mentre i bambini piangevano. Una notte vide la sartina del borgo entrare di soppiatto nella canonica, dove il parroco la stava aspettando ansioso.
Eh sì, ne sapeva di cose Ludmilla la pazza, e le gridava ogni giorno per le vie del borgo ma nessuno le dava retta, anzi, avevano tutto l’interesse a chiudere porte e finestre per non sentirsi sputtanare così apertamente.

All’alba tornava nella sua povera dimora , si buttava sul materasso e guardava fisso il muro spoglio, quel muro diventava per lei uno schermo, dove il film del suo passato si dipanava in tutto il suo orrore. Allora piangeva in silenzio finché sfinita si addormentava.

 

 

STORIA DI LUDMILLA

 

Era bella da giovane, capelli castani, lunghi e ondulati, incorniciavano un viso dai tratti regolari, due splendidi occhi scuri e un fisico snello e slanciato. Abitava con i genitori in una bella casa padronale con un vasto giardino che insieme alla madre curava con amore. Una famiglia molto agiata, il padre commerciava in gioielli e pietre preziose, gli affari andavano a gonfie vele, la vita scorreva serena e Ludmilla era felice.

Ma un giorno arrivò lui.

Reginald, un giovane tanto bello quanto donnaiolo e avventuriero. Aveva adocchiato la famiglia di Ludmilla già da tempo, seguiva la ragazza di nascosto, vide che frequentava spesso la biblioteca e fu lì che tese la sua trappola. Fingendo di cercare un libro le chiese un consiglio e così ruppe il ghiaccio. Si incontrarono altre volte, sempre in biblioteca, Reginald sapeva essere gentile e galante, conosceva le buone maniere, erano indispensabili per fare buona impressione. Ludmilla fu abbagliata da quell’uomo, dalla sua bellezza e dai suoi modi gentili. Quando lui le chiese un appuntamento disse subito sì.
“Posso passare a prendervi a casa vostra se volete, va bene domani sera?”

“Sì va bene, così avrò il tempo di parlarne con i miei genitori”.

 

“Tesoro – disse il padre – hai accettato troppo presto. Non sai nulla di lui”.

“Ma lui viene qui stasera, così lo conoscerai anche tu e sono certa che ti piacerà subito”.

“E va bene, però ti prego, non mostrarti troppo entusiasta, lascia prima che io e tua madre parliamo con lui, d’accordo?”

“Sì papà me ne starò buona buona”.

 

 

Reginald arrivò con un mazzo di fiori che porse alla madre di Ludmilla con un inchino, strinse la mano al padre e sorrise alla ragazza che, a stento, riuscì a trattenersi dal ridere di gioia. Gli offrirono una tazza di the e una fetta di torta al lampone che lui gradì molto.

“Allora giovanotto – disse il padre accendendo la pipa – di cosa vi occupate nella vita?”
“Al momento niente di definitivo, sto facendo esperienze varie viaggiando per il mondo”.

“Un passatempo costoso, come potete permettervelo se non lavorate?”

“Godo di una rendita lasciatami da mio padre”.

“Capisco”. Il padre di Ludmilla vide l’avidità nei suoi occhi, si accorse di come si guardava in giro soffermandosi sui quadri alle pareti, sui vari oggetti di valore sistemati nelle vetrinette e ai gioielli che la moglie indossava.

“Signore – Reginald interruppe il filo dei suoi pensieri – posso avere il permesso di uscire con vostra figlia per una breve passeggiata?”

Gli occhi di Ludmilla si illuminarono di gioia, il padre non ebbe il coraggio di deluderla:
“D’accordo, ma non ritiratevi tardi”.

 

Appena usciti Reginald disse alla ragazza guardandola negli occhi:
“Non piaccio a tuo padre!”

“Ma no, dagli il tempo di conoscerti, vedrai che si ricrederà”.

“Ludmilla, io ti amo e voglio sposarti”.

“Oh davvero? Sono molto felice perché… anch’io amo te”.

Lui l’abbracciò forte:
“E con tuo padre cosa facciamo? E’ evidente che non mi stima affatto”.

“Non preoccuparti, gli parlerò io, vedrai, non potrà negare il consenso al matrimonio sapendo di darmi un grande dolore”.

 

Non fu affatto così semplice, il padre, d’accordo con la moglie, non avrebbe mai dato il consenso a quelle nozze per mantenere un cacciatore di dote, perché tale riteneva fosse Reginald. A nulla valsero i pianti le suppliche e il broncio di Ludmilla.  Dopo l’ennesima discussione lei sbottò:

“Lo sposerò lo stesso con o senza il tuo consenso, io lo amo”.
“ Se lo farai io ti diserederò, non intendo mantenere un simile fannullone, anche tua madre la pensa come me. Il mio cuore malato, lo sai, non sopporterei di vederti soffrire a causa sua.”

 

 

Ludmilla con le lacrime agli occhi riferì a Reginald le parole del padre, lui si rabbuiò:
“Questa non ci voleva!”

“A me non importa niente dei soldi Reginald, voglio essere tua moglie. Però ho paura per mio padre, soffre di cuore, quando saremo sposati dovremo parlargli e pregarlo di perdonarci”.

“D’accordo ma… Se non vorrà più vederci come vivremo senza soldi?”

“Lavoreremo, siamo giovani e ci amiamo… vero?”

Lui tacque per un istante che le sembrò un’eternità.
“Va bene – disse Reginald – fra due giorni andremo a sposarci in una chiesetta in collina, conosco il sacerdote, non ci saranno problemi. Non dire niente a nessuno, verrò a prenderti con una carrozza a mezzanotte, poi torneremo qui e metteremo tuo padre di fronte al fatto compiuto”.

 

Le sembrò una buona idea, ormai era talmente presa da lui che avrebbe fatto qualsiasi cosa. I due giorni seguenti furono lunghissimi e angoscianti per Ludmilla, dovette resistere per non confidarsi almeno con la madre. Il giorno della fuga andò in biblioteca per distrarsi con la lettura, la madre era andata in visita da sua sorella. Tornò a casa nel tardo pomeriggio, trovò la madre, tornata anche lei poco prima, in lacrime, confortata da alcune vicine. “Mamma, cosa è successo?”

“Oh figlia mia, tuo padre… il suo povero cuore!”

L’aveva trovato riverso sul tavolo della cucina, una tazza di the rovesciata, il contenuto era colato fino a terra. Era morto. Il medico diagnosticò la “morte per arresto cardiaco”.

La notizia giunse fino a Reginald che si precipitò a casa di Ludmilla, trovandola prostrata dal dolore e dal rimorso. Si riteneva responsabile della morte del padre, per averlo sfidato così impunemente.

 

Fu aperto il testamento, Ludmilla ebbe la sua eredità, la madre, senza più l’appoggio del marito, non fece nessuna opposizione e i due giovani si sposarono un anno dopo, dopo un doveroso periodo di lutto.

 

Restarono a vivere nella casa padronale, Reginald prese possesso dell’ufficio del suocero, assunse una cuoca esperta e una giovane cameriera, diventò ben presto il padrone di casa, e prese a dilapidare il patrimonio, giocando ai cavalli e facendo spese pazze senza curarsi delle deboli proteste di Ludmilla. Nei cinque anni seguenti nacquero due figli, due bellissimi maschietti, luce dei suoi occhi. Purtroppo la madre di Ludmilla morì poco tempo dopo, lasciandola sola con Reginald che, nel frattempo era diventato sempre più arrogante e la comandava a bacchetta. Una sera sentì delle voci quasi lamentose provenire dal piano superiore dove c’erano le camere da letto. I bambini giocavano in giardino. Salì piano piano, aprì lentamente le varie porte finché arrivò alla camera dei suoi genitori, che lei aveva voluto mantenere intatta. Le voci provenivano proprio da lì; aprì uno spiraglio e un grido d’orrore le uscì dalla bocca… Reginald e la giovane cameriera, nudi, stavano facendo sesso, freneticamente, i lamenti che aveva sentito uscivano dalla bocca della fanciulla che si donava a lui in modo osceno. Mai il marito aveva fatto l’amore con lei in quel modo.

La cameriera gridò di spavento, mentre Reginald, dopo un attimo di esitazione, scoppiò a ridere sfrontatamente. La ragazza raccolse in fretta i vestiti e fuggì dalla stanza, Ludmilla stava lì, impalata, a guardare il marito come se non lo conoscesse.

“Come hai potuto, Reginald…”

“Come ho potuto? L’hai visto no?” E scoppiò di nuovo a ridere, intanto si infilava i pantaloni. “Cosa credevi? Che mi accontentassi di una donna come te, senza iniziativa, pudica come un’educanda? A me piacciono le donne focose, senza vergogna! Tu vai bene per fare figli e allevarli”.

“No, non è vero, dimmi che non è vero ti prego Reginald”.

“Certo che è vero, anzi, giacché siamo in argomento, domattina partirò per qualche giorno”.

“Dove devi andare?”

“A divertirmi è ovvio, il denaro non manca, grazie al testamento del tuo paparino”.

“Ora capisco, mio padre aveva ragione, tu miravi all’eredità, non mi amavi affatto. Oh povero papà, quanto l’ho fatto soffrire, è morto per causa mia”.

“Beh in effetti quel giorno, quando gli ho parlato a tu per tu era parecchio sconvolto”.

“Quel giorno… quale giorno?”

“Quando saremmo dovuto andare a sposarci in segreto, tu non eri in casa, tua madre neppure”.

“Ma… tu sei venuto qui?”

“Sì, aveva preparato un the, non stava bene”.

“E tu cosa hai fatto? Non hai chiamato il dottore?”

“No di certo, gli ho detto che se non avesse acconsentito al matrimonio ti avrei uccisa!”

“Cosa???”

“Poveretto, mi ha creduto, ha cominciato a boccheggiare, si è portato le mani al petto ed è crollato. Io naturalmente sono sparito in fretta. Nessuno mi ha visto”.

“Oh mio Dio! Cosa hai fatto? L’hai ucciso, maledetto tu l’hai ucciso! Ti denuncerò, la pagherai cara! Oh papà mio, come ho potuto essere così stupida!”

Il manrovescio la colpì all’improvviso, restò a bocca aperta guardando Reginald come se lo vedesse per la prima volta. Aveva un’espressione dura, crudele, con voce sibilante disse:
“Vuoi denunciarmi? E per accusarmi di cosa? Per aver fatto visita al mio futuro suocero? Io non l’ho nemmeno toccato, gli ho solo parlato, ha fatto tutto da solo”.

Ludmilla gli si lanciò contro con tutta la forza che aveva, gli graffiò il viso, gli strappò i capelli, urlando con quanto fiato aveva in gola. Lui si liberò facilmente, le diede due violenti ceffoni facendola cadere a terra dolorante, poi afferrò la borsa da viaggio già pronta e se ne andò.

 

 

Impossibile descrivere la disperazione di Ludmilla, il mondo le crollava addosso, aveva amato un mostro, aveva donato la sua innocenza e la sua dedizione a un assassino.

 

Seguirono giorni spaventosi, il senso di abbandono la devastava, le pareva di aver sognato, e che all’improvviso il suo Reginald sarebbe tornato gentile e sorridente come una volta. Ma lui non tornava, il tormento di Ludmilla raggiunse il limite, usciva ogni giorno camminando per le strade senza meta, sperando di incontrare il marito, i bambini restavano soli in casa, accuditi alla meglio dalla cuoca. La cameriera si era licenziata in fretta e furia, dopo ciò che era successo.

 

Un giorno Ludmilla, durante le sue peregrinazioni vide Reginald. Sì era proprio lui non poteva sbagliare. Era in compagnia di una donna riccamente abbigliata, non molto giovane ma piacente. Si avvicinò a loro e chiamò:

“Reginald!”

Lui si voltò e la guardò prima stupito poi irritato.

“Conosci quella donna?” Chiese la dama elegante.

“No… No di certo”.
“Reginald!” Ripetè Ludmilla.

“Cosa vuole? Mi confonde con qualcun altro. Andiamo via” – disse alla signora elegante.

Ludmilla restò ferma, immobile, li guardò allontanarsi, prendere una carrozza e sparire alla sua vista. Tornò sui suoi passi curva sotto il peso del dolore, raggiunse la sua casa come un automa. La cuoca le corse incontro, la faccia stravolta dal pianto, i vicini erano accalcati davanti alla porta e parlavano fra loro concitatamente.

“Signora, oh povera signora, che cosa terribile!”

Come istupidita Ludmilla guardava la cuoca, poi il capannello di gente.

“Cosa c’è?”

La donna non riusciva a parlare troppo scossa dai singhiozzi. Si avvicinò il dottore, che prese delicatamente Ludmilla per un braccio e le parlò con la massima gentilezza.
“Mia cara, deve essere forte”.

“Ma che succede?” chiese come in trance.

“I bambini…”

“I bambini? E’ successo qualcosa ai miei bambini? Dove sono?”

 

 

I piccoli erano riusciti a eludere la sorveglianza, invero un po’ precaria, della cuoca e si erano avventurati oltre il giardino di casa, erano riusciti a scavalcare il muretto, avevano attraversato il boschetto ed erano arrivati fino al fiume. Il più piccolo era scivolato nell’acqua gelida, il più grandicello aveva cercato di salvarlo ma la corrente li aveva trascinati via entrambi, in una corsa senza speranza.

 

 

Fu la fine per la povera Ludmilla, la follia esplose nel suo cervello definitivamente, aveva perso tutto, proprio tutto! Trascorse molti anni in manicomio, sottoposta a cure dolorose quanto inutili. Pasticche calmanti, elettroshock, camicia di forza. Le sue urla raccapriccianti risuonavano in tutto l’ospedale.

 

La lasciarono libera quando i medici ritennero che non fosse più pericolosa per sé e per gli altri. Ormai era fuor di senno ma innocua. La casa padronale non esisteva più, Reginald aveva perso tutto al gioco ed era scomparso per sempre. Una famiglia caritatevole le donò una piccola dependance mezza diroccata, di una villa ridotta a un rudere e abbandonata. dove poter vivere alla meglio.

 

 

Ecco, il film è finito, il muro è tornato ad essere solo un muro scrostato.

Spossata dal pianto Ludmilla si addormenta, domani riprenderà a parlare con gli uccelli e a raccogliere foglie secche, portandole fra le braccia come fossero i suoi bambini.

Poi, come ogni notte continuerà a spiare i vicini.