Pioveva piano. Le gocce lambivano i vetri sporchi della finestra e scivolavano verso il pavimento lasciando strisce chiare come lacrime tra la polvere. Fuori, sugli alberi scheletriti, cominciavano ad apparire le prime foglie, ma il cielo grigio non faceva pensare alla primavera che stava per arrivare.
La donna si alzò, abbandonando la posa, e si avvicinò al quadro. Sfiorò con un dito il colore ancora fresco, quasi volesse fare una carezza a quel volto allungato.
«Lo sai che I tuoi colori sono morbidi come seta?» disse, mettendosi tra il pittore e la tela.
Modigliani allargò le braccia.
«La tua pelle è come seta, Jeanne. Io non faccio altro che riprodurla nei miei quadri».
Lei indicò le orbite vuote.
«Però non mi dipingi mai gli occhi…».
«Se li dipingessi vorrebbe dire che conosco la tua anima».
«Eppure dici di amarmi!» scherzò Jeanne, ritraendosi offesa.
«Certo che ti amo!» si difese lui «ma non ti conosco. Chi può dire di conoscere la profondità di una donna?».
«Quelle profondità che fanno rifiutare I tuoi quadri?».
Il pittore si alzò, la prese per le mani e la riportò allo sgabello sui era in posa fino a qualche momento prima.
«I miei nudi sono… essenziali, per questo scandalizzano i benpensanti anche in questa città dove la perdizione è un’arte».
«Un’arte in cui tu sei maestro!».

Modigliani aveva ripreso a dedicarsi al suo quadro, con brevi, attente pennellate.
«Se tu passassi più tempo a curare le tue relazioni che a disegnare dessins à boire nelle osterie di Montmartre non saremmo qui a morire di freddo e tu non dovresti andare in Italia ad elemosinare dalla tua famiglia».
Questa volta la frecciata andò a segno e il pittore posò il pennello con stizza, facendo tremare il precario equilibrio del treppiede su cui era il quadro.
Jeanne lo guardò con aria di sfida.
«Non ti permetto di dire cosa è giusto e cosa è sbagliato nella mia vita!» urlò Modigliani, alzandosi e raggiungendo una bottiglia di assenzio mezza vuoto sul comò sgangherato. Il volto contratto in una maschera di rabbia, si diresse verso la donna con impeto, tanto che questa fece un passo indietro, ma lui continuò il suo percorso fino al lavandino, sfiorandola, prese due tozzi bicchieri, li riempì fino all’orlo e con quelli in mano ritornò da lei.
«Prendi» disse, e già il furore si era trasformato in un sorriso tirato tra i denti «è meglio che beviamo prima che ci mettiamo ad urlare come l’ultima volta: il padrone di casa mi ha detto che avrebbe chiamato la polizia».
Jeanne scrollò la testa, ma accettò il bicchiere e ne bevve un lungo sorso, facendo una smorfia quando il forte liquore le bruciò in gola.
«A la Fée Verte!» disse, alzando il bicchiere «e che non finiamo a dormire sul marciapiede come hai fatto tu con Maurice!».
Modigliani scoppiò in una gran risata.
«L’hai saputo!».
«E chi non lo sa? Montmartre è più piccolo di un paese e gli artisti sono più pettegoli di un branco di comari».
«Di galline!».
Jeanne fece una smorfia.
«Sono quasi tutti uomini…. Ma sì, di galline».

Nel frattempo Modigliani aveva riempito e vuotato di nuovo il bicchiere e si era rimesso a dipingere.
Jeanne ritornò sullo sgabello, dopo aver riempito anche il suo.
«Utrillo è completamente matto» disse, tra una pennellata e l’altra.
«Sì, ma sta cominciando ad avere successo, e adesso i suoi quadri li vende».
«La fortuna viene quando è il momento. Guarda Pablo quanto ha dovuto penare!».
Adesso Modigliani sembrava inarrestabile: parlava e dipingeva senza soluzione di continuità.
«Pablo e i suoi piccoli cubi!» rise Jeanne facendo il verso a Matisse.
«Già. Questa è la prova che un grande artista di solito è un cattivo critico e viceversa».
«Tu invece…».
«Ogni regola ha la sua eccezione».

Il pittore si tirò indietro e osservò il suo quadro da lontano, si riavvicinò, fece alcuni piccoli ritocchi, si allontanò di nuovo, scosse la testa, tornò al dipinto, aggiunse un tratto.
«Finito?» chiese Jeanne, avvicinandosi.
«Mhm… sì. Per il momento».
«Quando mi farai anche gli occhi?».
«Quando mi mostrerai la tua anima?».
«Non ti basta la mia…».
Modigliani scoppiò nuovamente a ridere.
«E poi mi dici che rifiutano i miei quadri! Bene, dipingerò quella!».
Jeanne fece il gesto di tirargli il bicchiere e lui istintivamente di scansarlo, ma sapevano entrambi che erano gli ultimi due rimasti.
«Andiamo a letto?» propose la donna.
«Hai aspettato che finissi il quadro per dirlo?».
«Certo, altrimenti mi sarebbe toccato posare un’altra volta!».
«Dì la verità che non riesci a resistere al mio fascino» scherzò lui, gli occhi annebbiati dall’assenzio.
«Figurati! È che qui fa un freddo maledetto e questo è l’unico modo per scaldarsi!».
«Giuro che con il primo quadro che vendo comprerò una stufa!».
Jeanne si tolse la pesante coperta dalle spalle, scivolò fuori dal vestito e si infilò sotto le coperte.
«Di qualche cosa bisogna pur morire!» sospirò.