La primavera si faceva aspettare e l’inverno cercava con successo di allungare i suoi freddi tentacoli per andare a guastare le prime giornate tiepide di una primavera attesa da tutti ma che aveva deciso di tardare ad arrivare sconvolgendo il ciclo della natura.
Era un susseguirsi di giornate soleggiate, seguite da fredde giornate di pioggia.
Io continuavo impavida la mia vita destreggiandomi tra i mille problemi quotidiani che mi assillavano senza scampo.
Quella sera avevo una riunione di lavoro quindi, dopo cena, mentre indossavo di corsa un paio di jeans e una maglietta e mi davo una rinfrescata al trucco, riflettevo se fosse il caso di portare l’ombrello oppure no, poiché nel pomeriggio era stato un susseguirsi di schiarite e acquazzoni.
Decisi di rischiare e partii di volata perché ero in ritardo, tanto per cambiare.
Arrivata in centro, iniziò la ricerca del parcheggio nei dintorni del palazzo, dove si trova l’ufficio in cui lavoro, ma sembrava un’impresa impossibile.
D’altronde, la sera, non è raccomandabile per una donna girare da sola a piedi e continuai a guardarmi attorno, ma sembrava una serata no.
Andai sulla piazza poco distante e, al secondo passaggio di perlustrazione incominciai a innervosirmi ma, all’improvviso, vidi un posto libero.
«Che fortuna», esclamai.
Siccome negli ultimi tempi i colpi di fortuna erano stati molto rari, evitare di pensare che questo potesse presagire qualche sviluppo spiacevole per pareggiare il conto in seguito, era quasi inevitabile ma il tempo stringeva e non mi abbandonai a riflessioni pessimistiche.
Entrai sollecita nel parcheggio e m’infilai nel buco: a sinistra c’era un pick-up Nissan nero, mastodontico, che era messo di traverso e fuori dalle strisce, a destra una Smart rossa.
Commentai tra i denti:
«’Sto disgraziato! Ho capito perché questo posto è libero».
«Se avesse parcheggiato un po’ meglio … non riesco ad aprire la portiera, né da un lato né dall’altro e se mi accosto a destra, il conducente della Smart non riuscirà a entrare».
«Ok, lascio lo spazio a destra ed esco dalla parte del passeggero; mi sembra più corretto» considerai.
Anche se sono sempre stata convinta che sia meglio non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te, cerco di usare la pazienza e il buonsenso necessari per sopravvivere in mezzo agli eventi che la vita mi propone scavalcando gli ostacoli che si presentano sulla mia strada senza protestare, quella sera non fu così ed ero abbastanza contrariata.
In ogni caso, quello non era il momento più adatto per polemizzare o andare a cercare cavilli, quindi, passai sull’altro sedile, agguantai la borsa e corsi via veloce.
La riunione si protrasse fino oltre la mezzanotte, come avevo previsto.
«Dove hai parcheggiato?» mi chiese un collega.
«Laggiù sulla piazza e tu?»
«Io qui davanti, ti accompagno, sono venuto con lo scooter, di questi tempi i parcheggi te li puoi scordare».
«Vero, io ho avuto fortuna, ti ringrazio, a quest’ora non mi piace girare da sola».
La luna sbirciava tra le nuvole schiarendo il cielo e il tempo sembrava migliorato; le strade erano silenziose e semi deserte, un uomo passeggiava con un barboncino bianco al guinzaglio e i lampioni, appesi qua e là, spandevano la loro luce giallognola rendendo i palazzi e la strada molto suggestivi.
Franco mi prese sottobraccio, camminammo chiacchierando piacevolmente sotto i portici, mi raccontò un paio di aneddoti divertenti e mi sentivo serena, in pace con il mondo e con me stessa.
Arrivati sulla piazza, nei pressi del parcheggio, cercai l’auto e mi prese un colpo.
La Smart non c’era più, era stata sostituita da una Punto grigia parcheggiata a cinque centimetri dalla mia: ero bloccata da ambo le parti.
«Oddio, adesso come faccio a entrare», esclamai con gli occhi sbarrati per la sorpresa e il disappunto.
Franco scrollò la testa:
«Questo tizio è veramente un disgraziato, non so che dirti, se avessi un altro casco, ti accompagnerei a casa, ma ne ho uno soltanto, purtroppo».
Ero fuori di me dalla rabbia:
«Lo sapevo, mi sembrava strano aver trovato un posto qui vicino, ecco, adesso sono fritta!».
«Ci vorrebbe una gru, forse allora riuscirei a tirare fuori l’auto e, di notte, naturalmente, non c’è neanche l’ombra un vigile, figurati!».
«Non parliamo degli autobus!», aggiunsi provata.
«Questo tizio è un vero cretino, un incosciente e uno stronzo», blateravo camminando avanti e indietro, isterica come una pazza.
Franco stava cercando di venirmi in aiuto:
«Senti, vado a casa, prendo la mia auto e ti vengo a recuperare».
«No, non è giusto, figurati, mi spiace, fammi pensare, troverò una soluzione», risposi con una fiducia che non provavo.
Poi, all’improvviso, mi venne l’idea.
«So come fare» esclamai, «entro dal portellone posteriore!».
Franco mi guardò scettico ma non mi contraddisse e, soprattutto, non fece commenti inopportuni.
«Reggimi la borsa», aggiunsi.
Aprii il portellone, tolsi il ripiano che ricopre il bagagliaio, mi liberai delle scarpe, m’infilai all’interno con la testa, strisciai sul fondo e, con una magistrale contorsione del busto, oltrepassai lo schienale posteriore, mi lasciai cadere sul sedile, m’infila tra i due anteriori e completati la manovra con successo.
Ero soddisfatta di me!
Un signore, seduto dentro un’auto parcheggiata poco distante, aveva osservato la scena in silenzio.
Feci retromarcia, uscii con cautela dallo scomodo e stretto parcheggio, e sorrisi:
«Hai visto come si fa?», esclamai rivolta a Franco.
Franco e lo spettatore sconosciuto mi fecero un applauso e il secondo aggiunse:
«Complimenti, Signora, lei è veramente agile e snodata!» allontanandosi poi sorridendo e scrollando il capo.
Ero contenta e sollevata ma ancora molto contrariata:
«Vedi a cosa servono tanti anni di allenamento al corso di yoga?».
«Nella vita non si può sapere cosa si dovrà affrontare!», aggiunsi.
Franco sorrise, mi posò un lieve bacio sulla fronte, mi diede una pacca sulla spalla e mi disse:
«Vai a casa, sei proprio un bel tipo, non ti ferma niente e nessuno».
Era la una e trenta, ero stanca, demoralizzata, delusa, e guidavo per le strade deserte quasi senza forza e, come il solito, parlavo a me stessa a voce alta:
«Questa vita è proprio una schifezza, una giungla, una lotta per sopravvivere».
«O ti difendi o muori!».
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