Inizia il week end in Calabria tanto sognato, io e pochi cari amici.
Il tempo potrebbe non essere dei migliori, ne siamo consapevoli, poco male… Il Risiko sarà in grado di sopperire agli eventuali impedimenti dovuti al maltempo. Non temiamo temporali, non temiamo nulla. Anche se un po’ mi inquieta il recente esperimento avvenuto nel Cern di Ginevra, quello in ngrado di far materializzare dal nulla, ebbene sì, un buco nero.
Nonostante il tempo incerto, la fila di macchine si rivela cospicua. Venerdì pomeriggio partiamo alla buonora per evitare il traffico sul raccordo anulare. Non serve a molto, ma non sappiamo in effetti quanto andrà a peggiorare la situazione nelle ore successive.
La Roma-Napoli ci saluta con uno splendido arcobaleno e l’esibizione delle frecce tricolore proprio sulle nostre incredule teste. Il rischio di tamponamenti a catena, di contro, sale in modo esponenziale, andando ad aggravare una situazione già delirante, anche e soprattutto per i nostri due piloti. Ma lo spettacolo – dobbiamo ammetterlo – è magistrale, rinnovando la passione verso l’impavida Kara, beniamina della serie Battlestar Galactika, eccezionale pilota di viper.
Otto lunghe ore ci vedono percorrere via via la devastata Salerno-Reggio, le montagne lucane, l’uscita curvilinea e montuosa di Lagonegro, la costa calabra del Tirreno. Praia, Scalea, Diamante…
È all’incirca mezzanotte quando raggiungiamo la nostra ambita meta: Cittadella del Capo.
Ho pensato a tutti i dettagli. Risoluta conduco la preparazione dei letti e della cena nella casa che ospitò le calde estati della mia fanciullezza. Sorpresa di me perché, davvero, non ho lasciato nulla al caso.

Il sabato mattina appare ai nostri occhi fiacco e capriccioso. Lo scenario circostante propone soltanto nubi e flemma. Nessuna anima viva oltre noi, le brutture architettoniche in piena evidenza: perché il sole, il mare cristallino e l’odore dolce dei fichi d’India non sono qui ad aiutare lo sguardo e i sensi, come spesso capita in estate.
Nulla riesce insomma a deviare l’attenzione dalla decadenza di molte strutture.

Non ci diamo per vinti: la dicitura “variabile” non esclude il sole, e prima o poi…
Mi decido per Diamante. Diamante è più viva, c’è quella piazzetta che è un amore, Diamante ha i murales.
A Diamante invece non c’è nessuno, la piazzetta ancora deserta ospita oggi un nuovo scempio – sotto sequestro – che mi lascia a bocca aperta, ma i murales, quelli sì, ci sono ancora.

Sul lungomare una unica trattoria aperta. Ci richiama con l’odore di una allegra frittura di pesce, “Proprio quello che ci serve!”. Gnocchetti ai frutti di mare scelti da Titti davvero spettacolari. La colonna sonora – musica italiana in flauto di pan – un po’ meno. Il vino della casa, bianco e frizzantino, la rende più gradevole per alcuni di noi, ma insopportabile per altri.
Poi succede qualcosa di meraviglioso … “siiiii, il sole!!!”
Il primo bagno della stagione, – e l’acqua è calda! – , un vero spettacolo sulla spiaggia deserta.

Domenica mattina. Siamo tutti qui, sul terrazzino, intenti in un rito propiziatorio: sole sole sole…!
La risposta incerta, ma non totalmente negativa, ci consente almeno un ultimo freddoloso tuffo. Dopo ciò, a malincuore, iniziamo la frenetica preparazione della carovana per il rientro.

È tutto pronto ma… “Alt!!!! Le chiavi della macchina di Marco?
Non ci crederete, scomparse nel nulla.

Risvuotatutto compresalamondezza. Nulla. Scomparse. Dileguate. Il nulla.

Rifacciamo il percorso dalla macchina a casa più e più volte.
Stile dogana rovistiamo di tutto, compresi zucchero, caffè e cereali. NULLA!!!
Come impavidi esploratori, armati di specchietti e rastrello, consegnamo le nostre carni ai rovi limitrofi le scalette esterne. NIENTE!

La tragedia è in atto. Siamo in 6 con una sola macchina, l’altra è sicuramente alla mercè dei mariuoli del luogo, provetti addestratori di gazze ladre.
Due di noi si decidono per un treno espresso notturno. Restiamo in 4 e tentiamo maldestramente di rintracciare un ladro d’auto, o meglio ancora, di “Poldino”, che scopriamo essere noto tra gli autoctoni come un meccanico più “rifinito” di altri. Ma anche questa ultima opportunità evaporava al tiepido sole del lunedì mattina.

Dopo pranzo ci decidiamo sconsolati a tornare a Roma. Una unica speranza: ritrovare le chiavi di riserva e tornare indietro per riprendere la Focus.

Martedì mattina, due giorni or sono, ancora provata dal lungo viaggio di ritorno, conclusosi in tarda notte, mi sono recata in ufficio, ho aperto la mia borsa, e – ops! – conteneva un buco nero.
Ebbene sì, le chiavi si sono materializzate proprio lì, in una apparentemente innocua tasca interna, dopo essere state per ventiquattro ore ad esplorare una dimensione parallela. Capite?! Nessuna gazza ladra! Semplicemente un paradosso spazio temporale.

Non mi capacito che i miei amici, reduci oggi, come me, da ben millecinquecentpo chilomentri in tre giorni per recuperare la Focus, non vogliano proprio credere a questa, seppure ovvia, spiegazione.

Io sono felice, perché quando finalmente riuscirò a controllare i poteri contenuti nella mia borsa potrò viaggiare semplicemente nello spazio-tempo. Fino a quel giorno, per cautela, non è sbagliato tenersi un po’ alla larga da me, o quantomeno non perdere di vista persone o oggetti cari in mia presenza.
PS: ringrazio Marco, che oltre ad essere il legittimo proprietario delle chiavi viaggianti è anche artefice del titolo di questo racconto… Ma anche per l’enorme pazienza e amicizia mostratami in questi giorni di difficoltà.
Anche se è colpa del Cern di Ginevra.