La luce violenta del sole illuminava la superficie brulla del pianeta, riducendo le ombre a giochi di bianco accecante e nero purissimo. Sparse qua e là grandi massi di roccia sembravano stagliarsi contro il cielo fiorito di stelle.
La nave scese lentamente sulla superficie, allungando tre esili gambe che si allungarono fino a posarsi cautamente sulla terra.

«E così sono arrivati» .
«Sì» disse la madre «come gli altri, e come gli altri se ne andranno quando il loro Tempo sarà passato».
«Hanno fatto presto» osservò la figlia.
«La loro vita è breve, i loro tempi sono veloci. Vedi come si muovono rapidamente?».

In quel breve lasso di tempo il modulo si era stabilizzato, ed alcuni esseri erano già scesi e si muovevano incerti sulla superficie. I loro movimenti erano così veloci che bisognava guardarli con attenzione per riuscire a seguirli.

«Ma perché vanno così velocemente?».
«Non lo so» rispose la madre «credo che sia il loro ritmo di vita: in un tempo di poche centinaia, forse decine, di rivoluzioni del pianeta intorno al sole devono contenere il loro intero ciclo, nascita, maturazione, morte».
«Fa impressione pensare ad una vita così breve» disse l’altra figlia.
«E’ tutto relativo. Tenete presente che esisteranno creature per cui la nascita e la morte di un sistema solare sono come per noi un ciclo di rivoluzione».
«Dei…».
«Forse».

Rimasero ad osservare gli strani esseri che avevano completato i loro giri ed erano rientrati nel modulo. Con un lampo si accese il motore e la nave decollò per scomparire nel cielo scuro.

«Andati» disse una delle figlie.
«Ma torneranno» aggiunse l’altra.
«Si, per un po’ sarà così» disse la madre. Poi, rivolta al cielo in cui le stelle brillavano come diamanti intorno ad un meraviglioso pianeta azzurro e bianco, cantò:

«Da quando la Terra era giovane i suoi abitanti sono venuti a visitarci perché eravamo il pianeta più vicino, a costruire abitazioni e industrie, poi abbandonate quando le loro civiltà sono morte. Noi, qui sul satellite che loro chiamano Luna, li osserviamo andare e venire. Loro ci vedono ma non ci riconoscono, ci chiamano “rocce” e credono che siamo immobili perché un nostro movimento dura centinaia dei loro anni, così eternamente ci sfioriamo senza mai incontrarci».

Nel cielo nuovamente sgombro le immani forze gravitazionali continuavano a governare il moto di stelle e pianeti, insensibili ai movimenti e ai pensieri degli esseri animati.

O forse no.