Ti stendi sulla spiaggia per asciugarti dall’acqua di mare. Il sole non è più tanto alto e non scalda molto: sta già accennando a tramontare e qualche nuvola lo copre velando l’aria di grigio. È metà agosto inoltrato e le giornate si stanno accorciando. Questo giorno è triste come te, obnubilato come i tuoi pensieri. Quando smetteranno di assalirti, quando ti daranno tregua?, pensi sistemando l’asciugamano un po’ in discesa, per stare più comoda, per non sentire male al collo – almeno a quello – mentre ti sporgi a guardare Alyce e Eva ancora in acqua.
Sono passate due settimane almeno ma hai un dolore che ti porti dentro da…quando? Un anno, anzi meno. L’estate scorsa eravate ancora insieme, a fare la raccolta dei fichi per aiutare tuo padre, ormai anziano. E poi anche Arthur lo trovava divertente. Rivedi nella memoria le immagini dei ricordi, ti ci aggrappi perché hai paura di dimenticare, ti hanno detto che succede, che i particolari saranno sempre più sfuocati e non ricorderai più il suono della sua voce. Pensi che l’anno scorso ridevate e che se ci fosse stato, quest’anno, non avrebbe avuto le forze per stare una giornata intera in mezzo ai campi e il pensiero fa male come quel raggio che si è liberato tra le nuvole e ha deciso di ficcarsi nel tuo occhio semiaperto. Senti di non averle neanche tu, ma a te è stato concesso di sopravvivere.
Faceva lo stesso rumore, il mare, l’anno scorso? Te lo ricordavi più dolce. Ti alzi, ancora un’altra occhiata alle bambine: sono con Nina e Luca, gli amici di sempre, quasi zii per loro. Puoi concederti un abbandono totale, pensi, solo cinque minuti, forse dieci.

La brezza ti ha infreddolito, ti svegli e ti accorgi di avere la pelle d’oca. Sì, agosto ti sta a suo modo preparando per settembre. È stata così breve, questa estate. Perché per te è estate solo quando sei al mare e ti sei imposta di venirci nonostante tutto, perché il tutto stava diventando decisamente troppo e non potevi permetterglielo, dovevi mettere delle dighe al flusso degli eventi. E poi le bambine si stanno divertendo: è difficile anche per loro.
“Allora, hai deciso che farai?” ti chiede Nina. Ti volti di scatto a cercare le tue figlie: “sono con Luca, tranquilla, non le avrei lasciate in acqua sole”. Ma tu tranquilla non ti senti più di nulla. In un anno hai perso tutto o almeno più di quanto fossi pronta a perdere. Ti eri finalmente rimessa in carreggiata, con la piccola che aveva iniziato la scuola e avevi trovato un lavoro che ti faceva sentire fortunata, perché i pazienti della dottoressa, i traumatizzati, quelli sì che avevano problemi. E poi, improvvisa, la morte della dottoressa, omicidio irrisolto ma tu qualche sospetto ce lo avevi, tra quei matti, e avevi cominciato ad avere paura, se non puoi fidarti neanche di chi di te, invece, si fida. E poi, ancora più improvvisa, la malattia di Arthur e il suo rapido decorso.
“Verrai a vivere in Italia, Beth?”, continua Nina a incalzarti. Ha ragione, pensi, ha ragione da vendere. “A Alyce e Eva farebbe bene stare un po’ con i nonni e potrebbero continuare a praticare l’inglese con tua mamma”. Finchè c’è, pensi tu, e ti maledici perché non riesci più a vedere il positivo delle cose. Non sai quale sia la decisione migliore perché non ti senti la persona migliore per poter scegliere. L’Italia per te è sempre stata solo vacanza, anche i tuoi genitori sono ritornati in pianta stabile da quando sono in pensione. Ma la famiglia di Arthur è ancora lì e sono anche loro nonni e, come te, orfani al contrario. “No, quest’anno no”. All’improvviso ti è chiaro: non puoi fare i conti con tutto così velocemente. Non possono neanche Alyce e Eva, hanno bisogno della loro routine già abbastanza stravolta.
“Ce la farai economicamente?”, ti chiede ancora Nina. Ce la farò economicamente?, ti chiedi, e sai che non sai rispondere. Una malattia costa soldi, una morte costa soldi e dolore, cercare un nuovo lavoro costa soldi, tempo e speranze, e il tempo senza lui lo vedi senza speranza. “Ce la farò”, dici, ce la devo fare, pensi. Ti ributti giù ma non trovi pace: distesa la brezza arriva più pungente. Eva esce fuori dall’acqua sorridente e ti chiede l’asciugamano. Alyce la segue con l’entusiasmo più smorzato dall’età e dagli avvenimenti. Ieri ti ha chiesto se Eva dimenticherà prima il padre perché è così piccola e lei invece si sente fortunata di averlo conosciuto per più tempo. “Lo cercheremo in ogni cosa che facciamo e tutto ci parlerà di lui”, le hai detto cercando di trattenere le lacrime.

Raccogli le tue poche cose e inviti le bambine a fare lo stesso. Il tragitto verso la macchina a casa è sempre più difficile: incontri persone che non puoi far finta di non vedere, temi condoglianze che non vuoi sentire, scovi negli sguardi altrui il tentativo di parlare d’altro, la ricerca in te di quella lacrima che non cade. Non darai a nessuno la soddisfazione di vederti cedere, non sarai tu il loro pettegolezzo giornaliero. 30 anni siete stati insieme, 17 di fidanzamento e 13 di matrimonio e tutti d’amore. Quelle persone che ora domandano non ti hanno mai conosciuta senza lui. Tu non ti sei mai conosciuta senza lui: eri così ragazzina quando vi siete messi insieme! Hai 46 anni ora, sei smagrita e ti sono venuti i primi capelli bianchi…e sei una giovane vedova senza un lavoro. Pensi che forse ora servirebbe a te una Ruth e un gruppo di terapia post trauma. Pensi che capiterà a tutti qualcosa del genere prima o poi, perché la vita dà e poi si riprende e tu sei già avanti, perché a te è già capitato il peggio che possa capitare. Alyce e Eva si tengono per mano: a loro serve ancora una guida. E a te un motivo. Sì, insieme potete farcela.

“Mom, perché Beth?” chiedi a sera sul terrazzo a tua mamma, in inglese, e ti rendi conto che sono anni che non le parli nella sua lingua madre, che ormai l’italiano ha fatto da padrone anche con lei. E ti rendi conto che quella lingua ora parla di dolore, di una vita che ti sembra esserti lasciata alle spalle e invece sono passati solo pochi giorni. Di una vita che ti aspetta al varco e invece vorresti continuare a crogiolarti nella lingua della vacanza e dell’estate. “Perché è nella debolezza che sta la vera forza” ti dice e non ti convince. “Mom, nella prossima vita voglio essere Jo: segnatelo” e le sorridi e ti sembra un gesto così artefatto adesso. Ti tocchi il labbro superiore come per assicurarti che è ancora tutto a posto, che non ci sono crepe. Alyce e Eva stanno giocando in cortile. È ormai buio e fa fresco. Sì, l’estate sta finendo e ti attende un lungo inverno. “Mamma, una stella cadente! – grida Eva – è papà, è papà che ci saluta!”. Ed è in quel momento che non sei più riuscita a trattenere le lacrime…