«Non provare a dirmi neanche per scherzo quello che devo fare!» mi urla l’ispettore in faccia.
Arretro: quando Fabbri è incazzato non ci si ragiona, lo sanno tutti. Per fortuna capita di rado e gli passa presto. Beh, quasi…
«Capo, non intendevo certo…» biascico, cercando una via di fuga «è ovvio che…».
Per fortuna il giudice arriva sulla scena del crimine, il che mi consente di fare un passo indietro e mettermi in salvo. Anzi, tre o quattro.
«Cosa ispettore? Diverbi in casa?».
Il giudice Falco è uno spirito arguto, e la sua carica lo protegge abbastanza da permettergli di fare certe battute. Infatti Fabbri deve masticare amaro e ricacciare la bile in corpo. Certo, poi se la prenderà con chi gli capita sottomano, ma intanto abbiamo un attimo di pausa, e poi posso sempre cercare di scappare…
No.
«Dove crede di andare, Borghetti?» mi fa, beccandomi giusto prima che metta un piede fuori dalla porta.
«Ecco, io… Stavo andando da quelli della scientifica a vedere se hanno finito di là, così possiamo ritornare sul luogo del delitto.
Fabbri mi fulmina con lo sguardo, ma deve accettare la mia risposta perché è sensata, anche se sappiamo benissimo tutti e tre che è una balla. Tutti e tre perché il giudice Falco sghignazza sotto i baffi. Si diverte un mondo, maledetto!
Però la scusa mi serve per levarmi dai piedi, soltanto che non ho fatto dieci metri che mi trovo davanti uno della scientifica travestito da astronauta.
«Mhm volferte angfare…»,
«Cosa?» escalmo.
Lui si toglie la maschera sterile e il cappuccio della tuta
«Volevo dire: se volete andare noi abbiamo finito».
«Cosa avete trovato?».
«Non lo so» mi fa, acidulo «ha tutto il capo. Lo leggerà nel suo rapporto».
Fanculo anche a lui! Ritorno dentro a informare l’ispettore e il giudice, e loro mi precedono nella stanza. La scientifica sembra aver fatto un buon lavoro, o perlomeno, non ha portato via niente, limitandosi a spargere quella polvere puzzolente dappertutto e ad irrorare di luminol ogni cosa.
«Dunque, cosa abbiamo?» mi chiede l’ispettore Fabbri.
Tiro fuori il taccuino dalla tasca.
«Abbiamo un letto a due piazze con le lenzuola sporche di…» mi soffermo a guardare il luminol che sembra fosforescente «…di sangue, una toeletta di fronte sporca dei sangue anch’essa con sopra un carillon con una ballerina che sta girando… no, per la verità ora sta per fermarsi…, un bicchiere mezzo vuoto, una chiave con una etichetta con su un numero, 139…».
«È stata individuata l’origine della chiave?» chiede Fabbri.
Lo guardo: come ho fatto a fare ricerche se sono stato sempre con lui? Ma forse la sua era una domanda retorica, perché prosegue tra sè.
«Manca giusto il cadavere…».
«È la prima cosa che mi sono domandato anche io» disse il giudice «La seconda è: perché diamine mi avete chiamato nel cuore della notte se non è stato ucciso nessuno?».
Guardo l’ispettore senza farmene accorgere, curioso di vedere come se la caverà, ma Fabbri non fa una piega:
«Ci sono tutti i presupposti perché questa sia la scena di un omicidio» risponde «se qualcuno ha fatto sparire il cadavere non significa che noi dobbiamo aspettare di ritrovarlo per cominciare ad indagare!».
«Allora provo a formulare io un’ipotesi» ribatte il giudice Falco «questa è la stanza di una signora di mezza età che è venuta da poco in città e non ha ancora potuto trovare un appartamento, per cui vive in albergo. La signora in questione lavora come… boh, entraineuse da qualche parte, ma la sua non più giovane età fa sì che gli affari siano scarsi, quindi cerca di rimediare la cena come può. Sfortunatamente, il gattone bello grasso che faceva le fusa nel giardino di una delle case vicine è riuscito a liberarsi dal sacco prima che lei riuscisse a sgozzarlo, e l’inseguimento della piccola belva ferita ha provocato tutto questo sconquasso. La signora in questione, spaventata, ha deciso di allontanarsi per andare a bere qualcosa… o per cercare un altro gatto, visto che con questo era rimasto a bocca asciutta, quindi…».
«Vedo che dimentica una cosa, signor giudice» lo interrompe Fabbri serafico, per niente arrabbiato di quella lunga presa in giro.
«Che cosa, ispettore? Il gatto sotto il letto?».
«No. La mano della ballerina: guardi cosa indica!».
Il giudice si volta istintivamente verso la ballerina ferma sulla toeletta, ed io faccio altrettanto. Il suo braccio alzato è puntato verso lo specchio, che si riflette a sua volta nello specchio posto stranamente sopra il letto (un particolare che, lo confesso, mi aveva sorpreso) che a sua volta, in un infinito gioco di riflessi che si perdevano nelle profondità argentate.
«Guardi bene, giudice: cosa vede là in fondo?».
Il giudice si avvicina per scrutare meglio e io cerco di imitarlo senza mettermi in mezzo.
«Ma è… è…».
«Esatto: un cadavere. Ecco dove è finita la nostra vittima e dove dobbiamo cercare il suo assassino: nel confluire magmatico e irrisolto di più pulsioni e suggestioni,nell’infinito magmatico delle strutture armoniche dello specchio nello specchio. «.
«Sembra un racconto di Borges…» mi lascio sfuggire, impressionato.
«Di Ende, Borghetti, di Edgar Ende. Abbiamo a che fare con un gioco di labirinti, forse con lo scorrere del tempo, la morte e la vita, il dolore e la nostalgia, sicuramente con un senso nascosto».
«Ma adesso cosa dobbiamo fare?» chiede il giudice Falco, che ha perso tutta la sua baldanza.
Fabbri alza le spalle e mi fa un cenno:
«Eccheneso, signor giudice? Faccia il suo sopralluogo sul cadavere, se ci riesce: io le ho fatto vedere dove si trova. Quanto a me e Borghetti, andiamo a mangiare qualcosa, tutto questo sangue mi ha fatto venire appetito».
E se ne va baldanzoso. Poi si ferma e si volta ancora versom il giudice.
«Ah, ancora una cosa: se trova il suo gatto, stia attento: deve essere molto spaventato, potrebbe graffiarlo!».
E questa volta esce, lasciandomi solo il tempo di seguirlo alla chetichella.