C'era una volta un colibrì che portava una goccia di rugiada sul petto e la portava per spegnere un incendio.

Rimani allibito.

Che inquietudine.

Vorresti abbattere la povertà, l'infelicità, la guerra, l'incendio. Da bravo peccatore ti avvicini a Dio per emularlo, essere maestro, muovere montagne, vincere, esultare per la vittoria. Sei piccolo, inadeguato, ridicolo, non capisci, e rimani alla finestra a guardare e tentare di capire prima di muoverti, non capisci ed altro non puoi fare che sperare nella fortuna e sognare. Sognare, perché nel sogno sei nobile e fulgida fiamma visibile da Londra, Salamanca o l'Amba Aradam. Nel sogno sei tronfio di eterea nobiltà diretto di certo all'inferno per questo ed in paradiso forse per il cuore che batte.

Sogni.
Andare lontano.
Dritto all’inferno col sorriso del nobile, eroe che frantuma rocce catturando stranezze che planano nell’anima calando da altri universi per placare l’umanità, addolcire il mondo. Sogni. Gloria e orgoglio immaginari e quando apri gli occhi stai sempre fermo di fronte alle fiamme in attesa di capire. Non capisci, sogni e scappi via mentre il mondo brucia e tutti scappano ma sogni e ti vedi orgoglioso in piedi un giorno nella hall of fame dopo aver capito come essere eroe, predicatore di vapor vacuo, leader di verità assolute, che ce vo’? Basta sognare. Sei alla finestra a lavorare per questo e un giorno capirai e vincerai prima che giunga la notte.

Sogni d'oro, bambino.

Chi non si perde in simili labirinti? Siamo dei falliti?

Non proprio.
Vorremmo essere Dio, vorremmo un mondo perfetto e, come chiunque in passato abbia cercato un mondo perfetto, rischieremmo di combinare guai. No, per fortuna siamo soltanto piccoli e nel nostro piccolo qualcosina tendiamo a farla; se così non fosse il mondo sarebbe già totalmente crollato.

Facciamo errori, combiniamo pasticci ma in questo casino c'è chi fa qualcosa qualcosa per avere la coscienza a posto senza mai riuscirci se non per brevi istanti. Paga le bollette, alleva i figli come meglio può, manda un sacchetto di cibo ai poveri, prega per chi soffre in ospedale, costruisce totem, invoca piogge, manda sms a Medici Senza Frontiere, ripara il terrazzo del condominio, lotta per un mondo di api che fanno il miele, lotta per un mondo di farfalle sui prati, corre a salvare vite in terapia intensiva, corre per salvare vite nel canale di Sicilia. Cose così, semplici o complicate, cose naturali, spontanee. E perpetuiamo l'eterno equilibrio tra vittoria e sconfitta, tra successo e fallimento, tra ordine e caos, tra amore ed odio. E corriamo sul filo del rasoio, siamo come Blade runner la cui perfezione è l'equilibrio tra il bene e il male, l'incertezza, la precarietà, la lotta per non cadere, la lotta per fare meno errori possibili senza mai riuscire ad evitarli tutti perché è così, perché la vita è così e senza errori sarebbe perfetta come come Dio o come la morte. Siamo entità imperfette tra due estremi perfetti, tra il bene ed il male assoluti ma l'imperfezione è però la nostra perfezione terrena.
Qualcosa la facciamo ma stiamo pure a farci l'esame di coscienza perché sempre ci opprime il timore di fare poco. E chi lo sa? Chi lo sa qual è l'esatto equilibrio? Cadiamo, ci facciamo male e fatichiamo a rialzarci ricucendo, riparando, ricostruendo, riallacciando, ricollegando, ricongiungendo, ripartendo, sognando e ricadendo.
Andiamo avanti per tentativi, per prove ed errori. Siamo perfetti così, siamo perfetti essendo imperfetti perché non c'è vita senza errore, perché non può esserci vita senza errore, perché l'universo è in continuo divenire, il cambiamento è eterno e la vita deve adeguarsi di continuo e sa che la perfezione di oggi può essere un errore domani e che l'errore oggi può essere la perfezione domani. Ed ecco che inseguiamo la perfezione ma la perfezione è perfezione in questo istante ed errore l'istante dopo e l'errore è quindi inevitabile, inevitabile eppure necessario alla vita, ed ecco che l'errore è addirittura alla base della vita, ed ecco che senza errore la vita cessa, ed ecco che la nostra imperfezione è la nostra perfezione se vorremo ancora vivere tra un giorno, tra un anno, tra un secolo, tra
un millennio o tra dieci milioni di anni sul terzo pianeta della seconda stella a destra e poi diritto fino al mattino. E che dobbiamo fare? E come? E dove? E quando? E perché?

E chi lo sa? Chi lo sa? Dobbiamo fare e festa finita.
L'importante è fare animati da quello che al momento ci sembra bontà.

E quanto dobbiamo fare? Qual è il metro di misura? Facciamo molto? Facciamo poco?

Forse facciamo poco ma qualcosa la facciamo, l'importante è questo. L'importante è tentare di spegnere una tristezza con un briciolo di amore, con una goccia di amore e di sorriso perché siamo miliardi e se ognuno portasse la sua goccia avremmo miliardi di gocce capaci forse di spegnere gli incendi.

Forse.

Perché non siamo Dio, certezze non ne abbiamo, abbiamo la speranza ed il forse è d'obbligo.

La favola accennata nell'incipit è una favola africana.
Una foresta va a fuoco, tutti gli animali scappano via dalle fiamme e scappa via anche il leone che, di quella foresta, è il re; mentre scappa via vede un colibrì che vola verso la foresta in fiamme.

"Che fai, pazzo, non vedi che va tutto a fuoco?” Chiede il leone.

"Ho una goccia di rugiada sul petto e la porto per spegnere l’incendio”, risponde il colibrì.