Il battito della pioggia sul tetto di lamiera, che ha accompagnato il lungo viaggio del treno, cessa improvvisamente. Il cambiamento di quel sottofondo che sembrava non dovesse terminare mai ridesta uno dei passeggeri sul vagone, che dà di gomito al suo compagno.
«Ehi, Jacques!».
L’altro si sveglia con un grugnito e si volta sul fianco: «Uh, che c’è?».
«Non senti il rumore?».
«Quale rumore?».
«Quello che non c’è più. La pioggia, voglio dire».
Jacques sbatte gli occhi e tira un lungo sbadiglio, ma si mette in ascolto.
«Hai ragione» dice dopo qualche istante, «deve aver smesso di piovere».
«Forse siamo arrivati al sud?».
«Al sud? Ma sei scemo? Dobbiamo essere a Parigi».
In quel momento il vagone ha un sussulto, e si sente il fischio dei freni insieme al clangore delle ruote metalliche che passano su degli scambi. Anche gli altri viaggiatori si svegliano a quei rumori, tutti meno l’uomo addormentato e la vecchia malata.
Con un ultimo scossone il treno si ferma. Gli uomini e le donne si guardano, indecisi su chi avrebbe dovuto alzarsi per primo. Quello che si era svegliato si sente in obbligo di prendere l’iniziativa e si avvicina ad una delle porte metalliche.
«Fai attenzione, Antoine!» gli sussurra il compare, «potrebbe esserci qualche flic!».
L’uomo accenna di sì con il capo, poi prova ad aprire la porta di lato, ma questa non si muove.
Antoine riprova, poi sbuffa e si volta verso l’amico: «E dai! Aiutami, deve essere gelata!»
Jacques e un altro uomo, un grosso polacco con i baffi a manubrio, si affiancano ad Antoine e insieme provano a spingere. Con un cigolio la porta si spalanca di corpo, rischiando di trascinare gli uomini con sé.
«Troppo!» ansima Jacques.
«Se vuoi uscire per chiuderla puoi accomodarti!» lo rimbecca l’altro.
Intanto altri viaggiatori si sono avvicinati alla porta e guardano verso l’esterno con occhi sgranati: sopra di loro un’alta tettoia trasparente, dai cui bordi pendono lunghi candelotti di ghiaccio, ricopre una ampia stazione, con decine di treni e di vagoni.
«Siamo arrivati?» chiede uno.
Nessuno risponde all’ovvia domanda. La stazione sembra davvero enorme; il treno si è fermato su uno dei binari esterni, appena dentro la copertura, ma dal centro proviene un forte rumore di attività e pare di sentire un lontano brusio di persone.
«Questa è Gare de l’Est: siamo arrivati a Parigi».
La voce arriva dal fondo del vagone, dove l’uomo fino allora addormentato si è risvegliato e guarda l’esterno attraverso il finestrino.
«A Parigi? Già?».
Quante volte dentro il vagone ferroviario si è discusso sul tempo necessario a raggiungere Parigi! Pochi di quei viaggiatori provenienti da ogni parte di Francia hanno visto una così grande città, e adesso nessuno sa cosa fare. Sono saliti uno ad uno sul treno fuggendo dalle campagne, spinti dalla fame o da qualche pogrom, portandosi dietro solo il poco che possiedono, in genere un fagotto a testa, e ognuno di loro ha immaginato cosa avrebbe potuto fare nella dorata Ville Lumiére. Il grosso polacco, Jan, è un fabbro, un mestiere che non sa se esiste in città (ma dove non c’è bisogno di lavorare il metallo?), però è certo che le sue forti braccia avrebbero trovato comunque un lavoro, e sua moglie, Aniela, sa cucire, come testimoniano i vestiti che indossano entrambi. Dice anche di saper cucinare, ma Jan pensa che più che cavoli e patate non ha mai visto, e non crede che… Altri immaginano di lavorare nell’edilizia: non si dice che Parigi è tutta un grande cantiere? Una ragazza pensa soltanto di trovare un buon partito per sposarsi, mentre Jacques e Antoine… beh, al loro paese erano ladri e sanno che più la città è grande e meglio ci si può nascondere.
Questi discorsi erano serviti a riempire le lunghe ore in cui il treno ha viaggiato senza fermarsi. Solo quello strano uomo è rimasto in silenzio a dormire, svegliandosi solo alcuni istanti per mangiare, bere o andare nel gabinetto in fondo al vagone per svuotare la vescica, e ricadere poi in un sonno profondo, tanto che gli altri hanno finito per dimenticarlo, intuendo che deve avere qualche strana malattia o forse preferisce non essere disturbato.
Ma adesso che il treno si è fermato, mentre tutti si guardano intorno, esitanti all’idea di affrontare il gelo esterno, lui si alza, prende la sua consunta valigia di pelle e facendosi largo supera il gruppo senza dire un parola, saltando agilmente a terra per fermarsi a pisciare contro la ruota di un vagone. Uno dopo l’altro, tutti lo seguono, incamminandosi sulla banchina in fila indiana e distogliendo lo sguardo quando gli passano vicino, anche la vecchia malata, che si appoggia alla donna e continua a tossire. Finito di liberarsi, l’uomo si guarda intorno: la sera sta per lasciare il posto alla notte, e nella penombra le figure si confondono con le ombre. Solo la ragazza si è attardata e lo fissa con un sorriso divertito.
Dopo qualche istante di esitazione anche lui segue il gruppo sul lungo marciapiede, e presto si trova a sorpassare quelli più lenti o stremati.
«Ehi, signore!».
La voce lo fa fermare. Proviene dalla donna che nel vagone gli ha chiesto di visitare la madre.
«Signore, lei conosce Parigi?»,
Per un attimo l’uomo sembra tentato di proseguire, ma poi si ferma.
«Un poco, sì» ammette.
«Saprebbe dirmi dove potrei far curare mia madre? La prego…»
Il viaggiatore si gratta la testa, spostando di alto la lisa bombetta che gli ricopre il capo.
«Potrebbe provare all’Hotel-Dieu» dice, esitante.
«Noi non abbiamo… Voglio dire…».
«L’Hotel-Dieu non fa pagare chi non è in condizione di farlo» risponde, intuendo quello che voleva dire la donna, «ma di certo le cure non sono il massimo.»
«Almeno avrà un tetto e un letto.»
L’uomo alza le spalle: «Anche un piatto di minestra calda, se è per questo.»
«Dove si trova questo hotel?»
«È un ospedale, non un albergo. Si trova al centro di Parigi, sull’ Île de la Cité.»
La donna lo guarda con gli occhi sbarrati.
«Va bene» dice l’uomo, «vi ci accompagno, tanto per stasera non ho niente da fare.»
«Dio la benedica, monsieur… monsieur…»
«Augustin» risponde l’uomo, prendendo la vecchia sotto la spalla. Poi, quasi pentito della rivelazione: «Augustin e basta, d’accord?»
Si incamminano dondolando verso l’uscita, mischiandosi alla folla che va infittendosi. Pochi passi dietro di loro li segue la ragazza che era sul vagone, senza parlare.