«Trovato!» esclama esultante Derain di fronte alla vetrina mezza appannata.
Augustin si avvicina e guarda all’interno, ma vede solo gente che mangia, parla e beve seduta ai bordi di minuscoli tavolini. Sui muri del locale, decine di quadri appesi, di tutti i tipi.
«Cosa dici? Entriamo o vuoi restare ad ammirare il Cafè de la Rotonde dal marciapiede, sotto la pioggia?»
Il ragazzo sussulta, ma resta fermo, così Derain lo supera e apre la porta metallica. Un’ondata di calore, di voci e di odori li avvolge. Augustin lo segue dappresso.
«Bonjour à tous les amis !» dice il pittore a voce alta per superare il brusio.
Una salva di saluti gli fa eco: «Salut Maurice!» «Hola!» «Ciao!»
Derain punta direttamente verso un tavolo a cui è seduto un uomo di corporatura robusta, i capelli tirati di lato su una fronte insolitamente alta, gli occhi infossati,
«Ciao Maurice!» fa con enfasi esagerata.
Maurice de Vlaminck l’ha visto arrivare e sul suo volto si allarga un sorriso: «André!».
André Derain arriva subito al sodo: «Ti ho portato un tuo ammiratore» dice, indicando il ragazzo che ha afianco, «si chiama Augustin…» il pittore esita, non sapendo il cognome, ma riprende subito: «Il ragazzo è un pittore che viene da fuori Parigi ed era un seguace di… di Cezanne, ma è rimasto impressionato dal cromatismo dei nostri quadri e vorrebbe conoscere qualcosa di più del nostro gruppo, così mi sono detto: “Chi meglio del mio amico Maurice de Vlaminck può mostrargli la vera anima del fauvismo?”»
De Vlaminck guarda Augustin, poi André, poi di nuovo il ragazzo. Non si rende conto del sottile tono canzonatorio, prevale la soddisfazione di sentirsi portato ad esempio, anche perché dai tavoli vicini stanno sbirciando discretamente la scena.
«Ma certo!» dice, con falsa modestia, «sarò felice di mostrargli qualcosa. Facciamo domani nel mio studio?»
Augustin è contento, ma non sa dove lavori de Vlaminck, così si volta verso Derain, che lo rassicura: «Non ti preoccupare, ti ci accompagno io»
«Non troppo presto, però» li avverte de Vlaminck, «ho l’impressione che stasera farò tardi, qui.»
«E noi ti aiuteremo» risponde Derain, prendendo una sedia da un tavolo e mettendosi vicino a lui. «Io ti ho presentato il mio amico, tu vuoi farci conoscere queste signore?»
Le ragazze sedute al tavolo sorridono: niente è più apprezzato a Montparnasse di una prepotente intrusione, specie se è fatta da due baldi e giovani pittori.

«Ecco, vedi?» dice de Vlaminck indicando il suo quadro, «i colori forti vogliono esprimere le emozioni, perché quello che è importante è quello che voglio comunicare: per le rappresentazioni identiche all’originale ci sono già le fotografie.»
Augustin guarda la tela, dove le linee sono gli stessi accostamenti cromatici, violenti, dal rosa delle case sullo sfondo all’arancio e al giallo del centro, che sfumano poi nel verde scuro dei cespugli in primo piano. L’impressione generale è quella di un’esplosione di colore. O della tempera di un bambino.
«È… è stupefacente!» esclama.
Il pittore sposta il quadro affinché venga illuminato da una sorgente di luce diversa, ma si vede che è compiaciuto.»
«Come si intitola?» chiede Augustin, cercando di evitare commenti.
De Vlaminck si prende il mento tra le dita, arretra di un paio di metri.
«Ma lo sai che non ci ho mai pensato?» dice.
«Dove si trova questo posto?»
«Bougivak. Quello è il Ristorante de la Machine.»
«Be’, allora direi che «Le Restaurant de la Machine à Bougival» potrebbe essere un buon titolo, no?»
Il volto del pittore si illumina: «Giusto! Si vede che te ne intendi! D’altra parte, essere pittore non è una professione, così come non lo è essere anarchico, innamorato, corridore, sognatore o boxeur. È un caso di natura.»
De Vlaminck sta parlando per sé, anche se il complimento è rivolto ad Augustin, che si rende conto di non poter più evitare di esprimersi: «Questa pennellata, così intensa, questi colori…» dice, e subito l’altro riprende: «Lo so, il tutto, anche la composizione, ricordano un po’ gli impressionisti, e non posso negare di essere stato influenzato da Vincent van Gogh per quanto riguarda il tocco dinamico reso dal diverso uso delle pennellate.»
Augustin si avvicina e nota che in effetti il pennello è rotondo nelle campiture di primo piano per allungarsi sul tronco dell’albero e diventare plastico sulle case dello sfondo. Il pittore si rende conto che il ragazzo ha capito e annuisce soddisfatto: «Vedo che sai guardare con gli occhi dell’artista. Vedrai che farai della strada, basta che ti eserciti ad osservare e impari a far trasparire sulle tele le sensazioni che provi dentro di te riguardo a…»
De Vlaminck sembra non finirla più di parlare, ma la mente di Augustin sta già andando oltre: ha capito che il pittore ha uno spirito inquieto, vulcanico, e che quello che pensa oggi lo rinnegherà domani.
Ma non è proprio questo lo spirito dei fauves? Selvaggi non solo nell’arte ma anche nella vita. Il pittore tira fuori da un armadio un’altra tela, i cui colori sono ancora più forti e le linee ancora meno realistiche. «Questo l’ho fatto l’anno scorso» dice, «vedi come il blu del grembiule del contadino al centro attiri l’attenzione su quel punto, come se volesse uscire dal quadro? Il giallo del campo è pastoso e vuole trattenere lo sguardo, ma anche rappresentare il calore soffocante e…»

È appassionato, non la smetterebbe mai, ma si capisce che è in transizione, che Van Gogh è un punto di partenza, non di arrivo. Dove sarà Maurice de Vlaminck tra due, cinque, dieci anni? Chi può dirlo? Di sicuro declamerà con la stessa enfasi nuove visioni artistiche. In ogni caso, pensa Augustin, questa visione così esasperata del fauvismo non è per lui, è troppo legato ad una visione impressionista che pure rinnega, forse perché gli manca, a sentire André Derain, il passato di una scuola d’arte, che gli avrebbe consentito di avere un maggiore equilibrio.
Si lasciano che è notte, con la promessa di un’uscita comune in cui de Vlaminck avrebbe mostrato dal vivo come impostava una sua opera, ma questo non appena il tempo si fosse girato al bello. Augustin fa ritorno alla Ruche con la testa piena di parole e gli occhi abbagliati dai colori brillanti, ma sapendo in cuor suo che quella è una strada ormai alla fine, un albero che non avrebbe dato ancora molti frutti.
D’altra parte, si dice, Maurice de Vlaminck è un pittore di successo: il suo stile audace e vigoroso è molto apprezzato e i suoi quadri si vendono, particolare che fa la differenza tra un artista alla fame e uno che può guardare tranquillamente al suo futuro. Come me, pensa, ma anche come tanti altri della Ruche, come quell’italiano ubriacone con le sue donne dal collo di giraffa,e Chaim, e…