«Bentornato tra noi!»
Augustin apre e chiude più volte gli occhi, ma adesso ricorda dove si trova, e chi è la donna che lo osserva sorridendo, con uno specchietto nella mano destra.
«Jeanne… Mi sono addormentato di nuovo!»
«Sì, ma questa volta per poco, giusto il tempo di vestirmi e darmi una rinfrescata.»
Jeanne si osserva nello specchio, fa un paio di smorfie e si aggiusta i capelli: «Mezza rinfrescata, a dire il vero: se qui fosse possibile avere dell’acqua calda…»
Augustin si tira su, raggiunge con una mano la camicia che è su una sedia e l’indossa. È a abbastanza lunga da coprirlo, ma da qualche parte devono esserci anche i pantaloni.
«Sono là» dice Jeanne, indovinando i suoi pensieri.

Una volta rivestito, Augustin si alza e si guarda bene intorno: la stanza dece essere utilizzata come studio da un pittore – o viceversa, lo studio è usato anche per dormirci, cosa più probabile. Un’ampia finestra lascia entrare la luce del sole, che cade direttamente sulla sedia dov’è seduta la donna. Davanti, in ombra, c’èa un cavalletto con sopra una tela ricoperta da un lenzuolo. Augustin si avvicina e vede un paesaggio in cui brillano forti accostamenti cromatici. Prova ad esaminarlo più da vicino, poi allontanandosi, ma non riesce a capirne il significato.
«André ama i colori, non credi?» osserva Jeanne, divertita.
«È… è sorprendente».
«È un fauve» dice Jeanne con noncuranza.
«Che cosa?»
«Un selvaggio, una bestia. È una definizione inventata da un critico, Vauxcelles, in occasione del Salon d’Automne del 1905: È entrato nella sala in cui esponevano e l’ha definita una “cage aux fauves”.»
«Avrei voluto esserci!»
«Saresti stato in buona compagnia. Comunque André sta già esplorando nuove strade.»
Augustin ascolta estasiato. «Sono proprio arrivato al centro del mondo!» esclama.
Jeanne alza le spalle, ma si vede che non è indifferente a quell’apprezzamento.
«Un centro del mondo ben misero, se ti guardi intorno» dice invece.
«Non sempre l’arte va a braccetto con il successo, e di rado accade il contrario» ribatte lui.
«Sarà, ma dal mio punto di vista se in tasca a questi artisti girasse qualche franco in più non sarebbe male.»
Augustin ride.
«Hai fatto bene a vestirti» dice Jeanne, cambiando improvvisamente discorso, «di solito di qui passa Max.»
«Max?»
«Max Jacob… è un po’… come dire… tapette.»
«Tapette?»
«Omosessuale. Come dite voi dell’ovest?»
«Mhm… frocio?»
«Volgari come immaginavo! Comunque lui non avrebbe detto niente a vederti nudo, ma ci avrebbe patito: è molto sensibile.»
«Senti» fa Augustin, osservando una tavolozza con i colori ancora freschi posati su uno sgabello, «dici che André se la prenderebbe se usassi una sua tela? Gliela pagherei, ovviamente.»
«Dovresti chiederlo a lui. Su queste cose i pittori sono suscettibili, la maggior parte si metterebbe ad urlare, ma André è molto gentile. Tuttavia…»
«Va bene, ho capito, come non detto.»
«Vorresti metterti a disegnare proprio ora? Ma non hai uno studio tuo?»
Il ragazzo allarga le braccia: «Sono appena arrivato a Parigi. Non ho proprio niente, neanche un posto per dormire!»
«Neanche soldi, immagino.»
«Immagini bene.»
Jeanne si alza, va davanti al quadro e lo ricopre con il pezzo di lenzuolo.
«Cosa sai fare?» chiede, «oltre a dipingere, naturalmente, visto che quello non ti farà mai guadagnare niente.»
Ha pronunciato la battuta senza malizia, ma Augustin si sentìe in qualche modo ferito, anche se è cosciente che la donna aveva ragione.
«Nel mio Paese c’era la guerra: lì ho imparato a curare i feriti…»
«Sei un dottore?»
«Non proprio.»
«Un infermiere?»
«Sì, diciamo di sì.»
«Allora forse qualcosa posso trovarti, basta che non ti addormenti mentre stai medicando qualcuno!»
«Non mi addormenterò!»
«Bene. Quanto al posto per dormire, da una parte o dall’altra qui alla Ruche un letto lo trovi sempre, ma per dipingere non so: bisogna vedere se c’è uno studio libero.»
«Dici che è possibile trovarne uno?»
Jeanne riflette qualche istante: «Di solito no, ma diversa gente deve essere partita o partirà per la guerra…»
Augustin non sa se manifestare gioia o tristezza a sentir nominare la guerra, così tace.
«E comunque devi fare qualche franco per pagarti la stanza e l’attrezzatura.»
«Potrei cominciare a fare qualche bozzetto e provare a venderlo.»
«Stai fresco! Ci sono più disegnatori che topi, a Parigi. Dammi retta: trovati un lavoro vero e disegna o dipingi quando hai tempo libero, così non morirai di fame come questi disgraziati che hai intorno: sarebbe un peccato, un bel ragazzo come te!»
«Jeanne…»
«Sì?»
«Potrei provare a farti un ritratto?»
Jeanne si tira indietro, metà per scherzo e metà sul serio: «Sono dieci franchi a seduta. Li hai?»
«Ora no. Pensavo che…»
«Tu pensi troppo. Non è che perché sono venuta a letto con te stiamo assieme! Quello era divertimento, ma di lavoro faccio la modella e devo essere pagata.»
«Va bene, dicevo solo…» Ma la donna non ha ancora finito: «Cercati una puttana, così magari il sesso dovresti pagarlo, ma magari poserà gratis.» Ci pensa su un attimo: «Probabilmente ti costerebbe anche meno.»