1)Maggio 1921

La lussuosa Fiat 520 nera sfrecciava lungo il rettilineo di strada brecciata, tra due fila ininterrotte di ombrose querce. Tra l’una e l’altra, il barone Rolando De Fonti Galluzzi Garlson intravedeva il colle su cui era arroccato Monte Silvestro. Tra poco, a destra avrebbe trovata la deviazione per la villa dei conti Barconi Pignotti, gran bella gente e…gran bella contessa. Lo aspettava ‘fremente’ come gli aveva scritto nella lettera che aveva profumato con una goccia del suo Chypre di François Coty. Tra poco sarebbe stata sua e già ne sentiva il desiderio. Il conte, l’anziano Gianvincenzo Maria Barconi Pignotti, era da tempo in Eritrea ad amministrare i suoi possedimenti e la giovane Elisa era tanto sola, poverina!

Rolando pregustava l’incontro immaginando ogni gesto: prima le avrebbe sciolti i capelli e poi baciato lentamente il collo, le spa…

Ma …accidenti! Un carro guidato da mucche improvvisamente era sbucato da una stradina nascosta da una siepe. Rolando aveva sterzato, l’auto era sobbalzata sul bordo della strada e poi aveva sbandato su un cumulo di pietrisco per poi finire violentemente contro una quercia.

Oscurità. Un vortice nero avviluppato intorno ad una spirale luminescente lo aveva inghiottito. Echi, suoni, emozioni si mescolarono in un ruvido senso di ineluttabile rassegnazione. Sentì di esistere ma non c’era nulla di fisico intorno, fluttuava in una sorta di nausea, di senso d’incompiuto.

Poi, una voce. E come girando un interruttore, tutto si ricompose e ritornò.

Rolando aprì gli occhi, anzi, appena possibile li stropicciò per mettere meglio a fuoco.

Ma dov’era finita la quercia? Adesso al suo posto c’era un palo metallico con un cartello affisso in alto.

Si guardò intorno. Tutti gli alberi erano scomparsi, la campagna era brulla e tutta coltivata a grano; la strada non era più bianca ma liscia e nera.

«Pofferbacco!» esclamò.

Anche l’auto era più bassa, il cruscotto non era più in preziosa radica di noce… e dov’erano finiti quegli stupendi sedili in cuoio?

Cercò di uscire ma la maniglia che solitamente impugnava era sparita. Iniziò nervosamente a tastare qua e là finché tirando una piccola levetta, la portiera infine si aprì. Gli doleva la testa e a fatica riuscì a scendere. Gli occhi gli andarono alla carrozzeria. Era di color viola-rosa… Si appoggiò ad essa tenendosi la testa tra le mani. Era troppo.

La voce di prima tornò di nuovo alle sue spalle: «Signore! Signore, si calmi. Ho chiamato i soccorsi».

Improvvisamente ritornò l’oscurità e quando riaprì gli occhi, si accorse di essere disteso comodamente su di un letto con tanta luce chiara intorno.

Un signore in camice bianco si avvicinò al letto e con un sorriso intuibile sotto la mascherina gli disse: «Ben tornato tra noi, signor Curi. Tutto a posto. Solo una brutta contusione, sarà felice sua moglie».

Curi? Moglie? Pensò Rolando.

Poco dopo, ecco arrivare a braccia aperte una donna bruna con un gran sorriso.

«Mario, amore mio! Che sollievo finalmente! Ti ho portato il giornale di oggi».

Rolando la guardò basito e, di fronte a così tanto slancio d’ affetto, proferì le sue prime parole: «Madame, i suoi omaggi giungono graditi al core mio seppure non comprenda. Quale novella mi porta?».

E lei: «Ah, no. Non è Novella. Ti ho portato Il Messaggero. Spero ti vada bene».

Prese il giornale e lesse: La Commissione Europea discuterà il Covery Plan dell’Italia il 28 Maggio.

«Ohibò! Forse ricomincia la guerra, gentil signora?» esclamò.

«Beh… guerra. Proprio guerra non direi. Trattativa al più. Sì, una trattativa magari animata».

«E il re chi ha inviato? Il sottosegretario alle finanze Bertone?»

«Ma scherzi? Leggi, leggi per bene».

Così Rolando lesse anche la data : 7 maggio 2021.

2)«Caspiterina!» fu il massimo della volgarità che uscì dalla sua nobile gola. Rimase un attimo paralizzato con gli occhi fissi nel vuoto mentre i suoi poveri quattro neuroni cercavano affannosamente di connettersi per rispondere alla seguente domanda: è mai possibile?

Poi iniziò a guardarsi freneticamente intorno. Tutto gli appariva strano e sconosciuto.

Colei che risultava essere sua moglie indossava un paio di pantaloni azzurri, a suo avviso scandalosamente aderenti, i capelli dai riflessi blu erano pendant con il top a fiori turchesi che le lasciava trasparire la biancheria intima e una porzione di pancia.

Sono un bel po’ licenziose le donne! Altro che la contessa Elisa! Ella è una monaca al confronto. Beh… proprio una monaca, no, ammise tra sé e sé.

«Caro, vuoi vedere la televisione?» gli domandò lei.

Ohibòl’eloquio di questa donna è assai strano, pensò e dopo aver riflettuto un po’ : «Beh, in vero ho dormito, ma giammai ebbi una qualche visione».

«La accendo sì o no?».

« La ringrazio ma freddo non ho e alcun camino io veggo in questa magione».

«Ah ah ah… sei il solito mattacchione. Hai pure voglia di scherzare nonostante tutto».

E quindi si alzò per prendere il telecomando e glielo mise in mano.

«E, di grazia, cosa ne fò di codesto oggetto?».

«O Mario, su però! Adesso basta. Se vuoi, accendi la tivù».

«Chiedo venia gentile signora, ma come mai potrei se non ho l’acciarino?».

«Insomma, quale canale vuoi?».

«Non so davvero che dirle. Molto mi piacque una volta andare in gondola sotto al Canal Grande…».

La donna iniziò ad agitarsi. Non era da suo marito quel comportamento. Se intendeva scherzare, la stava facendo troppo lunga e se diceva sul serio, allora non ci stava con la testa. Decise per il momento di lasciar correre. Aveva subito un trauma e la causa forse era quella.

Scelse lei un canale dove una conduttrice cinguettante con le gambe accavallate bene in mostra chiedeva ad una ospite: «Ma dimmi, tesoro, lui ha reagito semplicemente andandosene?».

Rolando, vedendo quelle immagini, ammutolì sempre più sconvolto da tutte quelle diavolerie.

«Avete il cinematografo in casa!» esclamò «e ha pure i colori! Però, dov’è nascosto il grammofono? Nella stanza accanto?»

La signora Ada Curi comprese a quel punto che il problema era davvero serio. L’incidente non aveva provocato grossi danni fisici a suo marito ma gli aveva cagionato una strana amnesia.

Tale ipotesi fu confermata dal dottore, l’ illustre primario prof. Felice Tisani, il quale aggiunse che c’era solo da aspettare pazientemente, assecondandolo senza creargli traumi. Affermò anche che, dopo un paio di settimane, rivedendo l’ambiente familiare, la memoria sarebbe lentamente ritornata.

Iniziarono, così, giorni assai duri per la coppia Mario e Ada perché di Mario non c’era più traccia mentre invece Rolando imperversava lucido e pimpante nel suo nuovo corpo. Aveva provato una volta a dire che lui non era lui provocando, però, reazioni che gli fecero temere conseguenze terribili. Conosceva come erano trattati i malati mentali nei manicomi “ai suoi tempi”. Quindi ritenne più opportuno adeguarsi e evitare affermazioni troppo dirompenti.

Nel frattempo, la signora Ada trovava che il suo Mario si comportava in modo davvero strano, sembrava ritornato bambino. Si stupiva di tutto , chiedeva il nome degli oggetti, voleva conoscerne il funzionamento, ascoltava incantato il telegiornale, leggeva i giornali… soprattutto i testi di storia sui quali ogni tanto lo sentiva commentare a voce alta: «Ma no! Qual mai bestia feroce! Perché siffatti orrori? Glielo dissi quel giorno a Benito: “non ti arroccare, convince più la carota che la frusta”».

In tal modo, dopo tre o quattro settimane intensive, come previsto dal dottore, Rolando si muoveva già in modo abbastanza adeguato in quel mondo tanto strano per lui. Il modo di fare affettato ed il suo linguaggio desueto erano rimasti però invariati, tanto che una volta la moglie sbottò e gli disse: «Mi sembri proprio diventato un damerino!».

Ma che ci poteva fare, quella era la sua naturale forma di espressione appresa fin dall’infanzia da giunoniche balie svizzere ed eleganti educatori francesi un pochino fru fru.

Imparò infine a guidare l’auto che nel frattempo era stata riparata: una Audi A4 viola-rosa. Con essa prese a gironzolare nei dintorni entusiasta della sua meccanica e del confort offerto. Per tutti era Mario Curi ma …Mario Curi dov’era?

3)Mario si portò le mani alla fronte dove un bernoccolo dolente stava vistosamente crescendo. Davanti a lui, dritta e maestosa, una quercia si alzava fino al cielo che faceva capolino tra i suoi rami. Si stropicciò gli occhi e poi guardò intorno.

«Cazzo! Ammazza che efficienza ha la forestale! Sono passato la settimana scorsa e non c’era niente».

Aveva sentito parlare di un piano per il rinverdimento della zona ma non avrebbe mai creduto che riuscissero a piantare querce secolari in tal numero e così velocemente. Avrebbe scritto al Messaggero locale per complimentarsi.

Ma la testa gli doleva, doveva scendere, chiamare soccorso col cellulare. Infilò una mano in tasca e vi rovistò. Ma, perché indossava quel completo grigio “principe di Galles” con panciotto?

E cosa mai c’era in tasca? Tirò fuori con stupore: una scatolina con tabacco da fiuto, un taccuino ed un portafoglio gonfio di banconote da una o due lire recanti l’effige di Vittorio Emanuele III… Niente cellulare.

E poi che ci stava facendo in quell’auto d’epoca?

Scese. Non c’era traffico su quella strada brecciata, solo un ragazzo stava arrivando con un carretto trainato da un cavallo.

«Signore, avete bisogno di aiuto?» gli chiese in modo ossequioso.

«Beh si. Hai, per favore, un cellulare da prestarmi?».

Il ragazzo sembrò colpito dal tono confidenziale della risposta. Non era solito che un signore così distinto si rivolgesse a lui chiedendo una cosa “per favore”. Di solito ordinavano e basta.

«Scusate, ma a cosa vi serve un furgone cellulare? Quelli li hanno i poliziotti… Sentite, vado a chiedere soccorso alla villa Barconi Pignotti. Aspettate e mettetevi seduto comodo e soprattutto calmo».

Ma che cavolo dice questo? La villa Barconi è disabitata da almeno settant’anni e cade pure a pezzi qua e là, pensò. Poi sconsolato e confuso si sedette di nuovo su quei sedili in pelle nera a contemplare il cruscotto in radica e il cambio esageratamente lungo. Intorno, un tripudio di verde e varietà arboree. Beh, non stava poi così male a parte quella dolenzia alla testa.

Poco dopo arrivò una Isotta Fraschini color crema con a bordo una bionda bellezza dai capelli corti e gli occhi pesantemente bistrati di nero.

«Rolando! Mon ami, comment vas-tu?».

«Signora… non conosco il russo»

«Russo? Ah ah ah , sciocchino.. ti piace giocare con me, vero? Malandrino birichino!».

Lo guardò, maliarda, frullando le ciglia.

Arrivati in villa, appurato il buono stato fisico del suo ospite, l’affascinante contessa non ci pensò due volte e si diede da fare per demolirlo. Tanto per iniziare, fece scivolare a terra il suo vestito sciogliendo due nastri annodati sulle spalle e restando, così, in guepiere di pizzo nero.

Mario sgranò gli occhi. Era un invito esplicito, quello, e non sapeva se e come sottrarsi.

La contessa, accanita lettrice di D’Annunzio, sedette con accurata lentezza accanto a lui. Lo guardò intensamente aspettando che oltre agli altri sensi, anche l’olfatto sì inebriasse del suo profumo di fiori e spezie, fortissimo.

«Sei giunto, infine, al nido della tua rondinella».

«Ma signora, non mi sembra di vedere nidi in giro! Non la comprendo».

In verità il linguaggio era chiaro perché la contessa stava parlando anche con le mani.

«Non vedi accendersi nel mio occhio limpido il fulgore della prima tenerezza?».

Per Mario le cose stavano precipitando e la contessa, con un sorriso compiaciuto, gli sussurrò:

« Perditi in me, per sempre. Senza ieri, senza domani, senza alcun legame, fuor dal mondo, per sempre, fino alla morte…».

«Beh, se proprio la mette così… Però fino alla morte, no. Magari una mezz’oretta…».

«I fremiti d’amor per l’intime fibre ne corrono…».

Corrono …corrono. Prima fino alla morte, adesso dice che corrono. Mi sa che lei non ci sta con la testa, signora. E non mi dica che le hanno messa la fibra super veloce pure… lì. Infatti noto che ha una connessione super rapida, pensò.

Poi non pensò più troppo perché la contessa era passata pesantemente in azione.

Da quel giorno, il barone Rolando De Fonti Galluzzi Garlson, a parte la frequentazione con la contessa di cui era e restò assiduo e convinto estimatore, cambiò radicalmente la sua vita nei modi e nei costumi. Gli amici malignavano asserendo che quella battuta alla testa lo avesse lasciato suonato. Non folleggiava più con loro nei vari caffé chantant tra donne e champagne e sembrava pure che avesse sviluppato alcune doti paranormali. Prevedeva eventi e prefigurava sviluppi economici e politici. Parlava in modo strano ogni tanto e progettava oggetti irrealizzabili. Lo portavano un po’ in giro per questo.

Però, grazie alle sue intuizioni, il suo patrimonio si accrebbe a dismisura. Poi, nel 1939, senza dare alcuna spiegazione, Mario –Rolando monetizzò tutto il capitale e si trasferì negli States.

Sapeva molto bene cosa stava per succedere e cosa ne sarebbe venuto..

4)E siamo quindi giunti ad oggi. Il barone Rolando- Mario, preso da grande passione per la sua Audi A4, ama scorrazzare alla scoperta delle tante novità che lo circondano. Si sta abituando ai panni di Mario Curi, ma non ha ripreso la sua attività lavorativa perché palesemente non idoneo. Ciò non è però motivo d’ ambascia per il marchese Rolando che è in lui, avvezzo com’era ed è a godere la vita delegando ad altri le fatiche. Ad esempio, la cura dell’auto era competenza di Giovanni, l’autista. Ma Giovanni ora non c’è e lui, incosciente e frivolo, segue il suo capriccio partendo alla volta di Cattolica per una spensierata giornata di mare. Ma, dopo un po’, qualcosa non va nell’auto, starnuta, si spegne… Fa appena in tempo ad arrivare ad un distributore di benzina.

«Ehi, buon uomo! Si appropinqui ordunque con solerzia. Non stia lì a tergiversare» dice al benzinaio.

«Che dici, dottò. Vuoi una tanica? Che hai da versare?» è la risposta.

«Oh!» esclama Rolando sorridendogli «Mi spiace, c’è un quiproquò».

«Dottò, io conosco solo Qui Quo e Qua. Vedi di spiegarti».

Poi, vedendo che il suo interlocutore mantiene un’aria compunta e serafica, il saggio benzinaio decide di lasciar perdere. Di matti in giro ne vede tanti. Alza il cofano, inizia ad armeggiare.

Eh, sì, il damerino ha l’auto in panne. Il benzinaio col viso, le mani e la tuta sporchissimi, guarda il radiatore. «Accidenti! Qui manca totalmente il liquido! E’ bollente!».

«La prego, mi tiri fuori da questo inghippo».

«Eh?».

«Mi aiuti».

«Ah! Adesso non ho tempo, porca vacca!».

Il damerino scandalizzato: «Il suo eloquio è pencolante». Il meccanico, imbarazzato, controlla la cerniera dei pantaloni.

Rassicurato sullo stato della sua privacy: « Non so che gliene può fregare a lei… sono robe intime».

Allora l’elegante signore: «Il mio umore s’adombra. Suvvia!».

«Senti, dottò… t’ho detto che c’ho da fare. Non so su quale via cerchi l’ombra. Qua fa caldo dappertutto, picchia come Muhammad Ali. Prova un po’ dietro all’angolo del bar, c’è un platano».

« Giovanotto, lei non ha un barlume d’intelletto!»

«Che c’ ho …che c’ ho. Senti, lì c’è il Bar dello Sport. Il Bar Lume non so dove cavolo può essere e comunque non c’è il letto. È solo bar , non è un motel».

Il forbito signore stanco della difficoltà nella comunicazione, tenta un approccio più semplice.

«Lascio l’auto per ciò che l’abbisogni»

E mentre sta andandosene in direzione del bar sente la voce del meccanico dirgli forte: «Ecco, sì, per i bisogni chiedi al bar».

Entra, è gremito d’ avventori. Alcuni appollaiati sugli alti sgabelli leggono il giornale con accanto un caffè o una bibita da un po’ finiti. In sottofondo una canzone incrementa il brusio e da dietro al bancone, una prosperosa cameriera con camicetta due taglie più piccola del dovuto generosamente sbottonata, gli sorride con labbra rosso fuoco:

«Desidera?».

E il damerino in vena di galanteria, con un frivolo gesto in aria della mano: «Ecco, desio…». La donna intuisce però che parli della musica e non lo lascia finire: « No, è la Pausini , non la De Sio».

«Ah ma lei è in fallo!».

E lei, piuttosto offesa: « Fallo, fallo… e che debbo fare! Se non mi dice prima cosa vuole… E poi si esprima in modo più educato, non come un cafone»!

«Cafone a me? Lo sa che sono un gran membro emerito della…».

Al che la donna piazzandoglisi davanti con le mani a pugno sui fianchi : «A me delle sue misure non frega proprio niente e se non la fa finita, glielo dico io cosa merita».

Non fa in tempo a dire: «Ohibò! La mia brama di caffè scema, sì, proprio scema» che un manrovescio sonante lo centra in viso. Un secondo appena per realizzare cosa sia successo, ed ecco che

si sta avvicinando un collega della signora, un energumeno affatto cordiale i cui tratti del viso tradiscono un passato da boxeur navigato. No, non si mette affatto bene per il damerino che decide sia meglio arraffare una coca ed un pacchetto di wafer e andare a pagarli alla cassa. Stavolta decide per una transazione economica silenziosa e, come al solito, il muto linguaggio dei soldi rende tutto assai comprensibile ad ogni intelletto.

5)Tornato al benzinaio, le cose non sono cambiate. Chiede: «Ordunque, buon uomo a che punto sono i suoi servigi?».

Ma il benzinaio , che sta pulendosi le mani con uno straccio: «Senti, dottò, qua nessuno fa il servo a nessuno. Capito? Quindi se vuoi che gli do un’occhiata, vedi di farti un giro. Magari vatti a rinfrescare sotto l’ombra laggiù che è meglio».

Già, forse è meglio. Guarda nella direzione indicata e vede un platano sotto cui c’è una panchina già occupata da un signore. Avvicinandosi, lo osserva: sembrava molto, molto anziano. Improvvisa, gli balena un’idea…

«Scusate se irrompo nelle vostre meditazioni, siete un indigeno?»

E l’altro, comprendendo esattamente: «Ho avuto i natali costà, signore, che gliene cale?».

«Oh qual delizia m’arreca la favella vostra! Gran desiderio avrei di aver notizie di qual destino ebbe un nobiluomo di Monte Silvestro ».

«Di chi parlate?».

«Del barone Rolando De Fonti Galluzzi Garlson, persona pregevole assai e nota ai suoi tempi» spiega con una nota d’orgoglio.

«Ah, sì. Un po’ me ne sovviene ed un po’ me ne parlava mio padre. Un uomo elegante, un gran signore… Si diceva che dopo un incidente fosse diventato assai strano ma era ricchissimo. Poco prima della guerra, ha venduto tutto e se ne è andato via, in America».

Quella rivelazione è sconvolgente per Rolando. Quindi, il suo corpo non era morto quel maggio del 1921, come aveva immaginato. Vuole saperne di più.

«E poi?» chiede non riuscendo a trattenere le emozioni che gli crescono dentro.

«E poi… e poi una volta là, sebbene anziano, si è sposato e ha avuto un paio di figli».

«Figli?».

Questa ultima rivelazione è un autentico choc per lui mentre l’altro continua: «Sì, tant’è che un suo nipote è ritornato in Italia. Ha acquistato una bella villa a Guarello, qui vicino. Adesso ci vivono i suoi figli con i nipoti».

Il cuore del damerino, sempre così vanesio e superficiale, ora è gonfio di emozioni nuove e vere.

E quel tumulto dentro gli prosciuga le parole che più tardi, poche e chiare, rivolge al benzinaio ritirando l’auto.

Ha ora un solo pensiero, privo di fronzoli ed orpelli: Debbo andare a Guarello. Subito. Debbo sapere.

In dieci minuti è già là. Alla villa circondata da alte siepi, si accede per un viale il cui ingresso è chiuso da un robusto cancello.

Ferma la macchina, scende e si mette a guardare con le mani aggrappate alle sbarre. Si sentono voci di bambini che ridono e giocano. Di lì a poco, arriva una bambina in bicicletta poi un ragazzino dietro ad un pallone. Li guarda, emozionato.

I bambini lo notano, si fermano catturati da quel signore che li osserva in modo tanto strano. Ma un voce, forse della madre, li richiama: «Bambini, venite qua. Quante volte vi si deve dire di non dare confidenza agli estranei!».

Se ne vanno lasciandolo lì a meditare su quello strano destino, sulla sua vita spezzata e rubata. Il damerino ora è stanco, gli pesa quella sua condizione e l’emozione del nuovo non gli basta più per riempire la sua esistenza. Rivuole le sue radici in un modo o nell’altro.

Se ne va, ma sa che lì ritornerà.

 

Immagine web: Pubblicità Campari,  Belle Epoque