«La terribile futilità dei nostri tentativi di trasmettere agli altri la realtà del nostro soffrire e la tragica inadeguatezza dell’umana partecipazione a questa sofferenza, provano, e l’una, e l’altra, come il soffrire sia una cosa davvero incomunicabile.»

Thomas Merton

Nella vita di ogni uomo ci sono stati momenti angosciosi, attimi infiniti ed immensi, ma pur riempiti dal “vuoto” del dolore.
Ci si sentiva esausti spossati, ma di una stanchezza indefinibile, pigra; il nostro animo sommerso e oppresso da mille altri pensieri si alternava a stati di debole smarrimento da cui raramente faceva capolino un.barlume di speranza umana, speranza in attimi migliori.
Il susseguirsi di questo ciclo vitale di gioia, dolore e rimpianto, mi dà la forza di continuare, di credere in un vago e forse utopico fine da raggiungere, trascendentale e quindi inesistente.
Ho sempre rispettato il dolore, la sofferenza, sia pure di un avversario; sono cose che suscitano in me sensazioni di impotenza di fronte alla grandezza e all’invulnerabilità di tali sentimenti tanto umani.
L’uomo è sempre stato il più forte tra gli animali, il più forte perché dotato di intelletto (e a volte mi domando se ciò sia stato un bene…), ma quando è colpito dalla sventura cerca sempre in rifugio, uno sfogo al suo dolore represso, alla sua ira impotente e inconsumata.
Faccio parte anch’io di questa razza e in quei momenti, prendendomi come normale rappresentante di questa stirpe, mi giudico in tutta la mia pochezza, nella mia povertà, considerando, a torto forse, il mio soffrire come simbolo della caducità umana e rendendomi spoglia di tutte quelle virtù, crollate all’improvviso, che facevano di me l’ “essere eletto”.
Mi rendo conto di quanto sia difficile, quando il dolore ci assale, poter comunicare persino con le persone più care, assumenti l’aspetto di un mondo estraneo, lontano, incomprensibile; senzazioni penose caratterizzano questo nostro stato di sofferenza spirituale, forse provocata da una realtà ineluttabile e priva di cambiamenti che colpisce o condiziona duramente il corso della vita affettiva.
Mi accorgo che anch’io a volte soffro come e forse più di altri; forse perché penso, anche se il troppo pensare può far male; ma se non avessi neppure la possibilità del pensiero, resterei vuota e spoglia di ogni motivo vitale. In quel momento non so se provare pena, voglia di piangere o se rimanere indifferente di fronte a “tutto”.
Il mio equilibrio si spezza e mi lascia preda di giochi confusionari, di forze maligne che.mi attirano e contemporaneamente rifiuto.
Non so se abbandonarmi a questo stato doloroso di cose o se accanirmi a difendere quel poco che può rimanere.
Ma poiché l’uomo si matura nel dolore, forse anche queste inevitabili crisi avranno ragione di esistere e mi serviranno a qualcosa.
Il vero coraggio sta nel saper soffrire ed io spero un giorno di poter essere abbastanza forte da non arrendermi di fronte alla prima difficoltà, di fronte ai dolori che inevitabilmente verranno.

[Questo fu il mio svolgimento di un tema in classe il cui titolo era rappresentato dalle parole di Merton. Correva l’anno 1973, frequentavo la terza classe della scuola superiore. Avevo poco più di 16 anni… 😊]