Il pomeriggio è assolato, l’aria è calda, se non sapessi che siamo quasi a fine ottobre potrei pensare di essere in piena estate.
Una lunga estate che sembra non abbia voglia di andare via e si trascina lenta sfidando l’imminente autunno che arriverà, invece, brusco e irruente come ogni anno.
Mi guarda, lo guardo e senza parlare ci prepariamo a uscire.
Oggi faccio la dog-sitter, siamo rimasti soli, lui ed io e ci facciamo compagnia come due vecchi compari.
La nostra è una complicità consolidata, fatta di sguardi, di monologhi, di gesti più che di discorsi veri e propri.
Io parlo e lui ascolta.
Si fa agganciare al guinzaglio appoggiandosi sulle zampe anteriori mentre scodinzola felice e consapevole:
«Oggi esco con nonna, evviva!», dicono i suoi occhi.
«Sì, caro, meglio oggi, domani le previsioni sono di pioggia e abbassamento delle temperature», mormoro mentre sorrido alla sua naturale irruenza.
Imbocchiamo la nostra strada preferita e Manny mi cammina affianco per un po’, poi mi precede annusando l’aria.
La natura è sonnolenta, pigra, ci osserva quieta e ci accompagna per la strada in salita che si avventura dentro il bosco.
Siamo circondati da orti coltivati e alberi da frutto: ciliegi, susini, albicocchi, nespoli, meli e peschi si stanno riposando e indossano stanche foglie e si apprestano a spogliarsi, remissivi, all’inverno che li renderà spogli.
Un albero di fichi si sporge verso di noi con frutti ancora acerbi che si nascondo tra le foglie grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate, di un bel colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare e ricoperte da una lieve peluria su quella inferiore.
Ulivi argentei spuntano qui e là e offrono frescura alle fasce erbose come grandi ombrelli tondeggianti e ondeggianti.
La leggera brezza accarezza le loro fronde e produce un morbido fruscio che fa da sottofondo al cinguettio di uccelli nascosti tra le foglie di una gigantesca quercia che s’innalza possente affianco ad un grande albero di alloro.
La campagna è viva e ricca di rumori e suoni; odo il ragliare di un asino; il chiocciare di un pollaio e l’abbaiare di un cane in lontananza.
Osservo i filari di uva che mettono in mostra grappoli odorosi e mi fermo a prendere fiato vicino ad un muretto diroccato che lascia un varco aperto ai miei occhi da dove intravedo alcune pecore che brucano l’erba, silenziose e tranquille.
Amo questi luoghi, qui sono nata e vissuta e, inconsapevolmente, mi accorgo di accarezzare il paesaggio con gli occhi da pittore, cogliendone luci e ombre, tonalità e sfumature.
«Deformazione professionale», penso mentre distinguo tra l’erba del fosso, che costeggia la strada, molte erbe che crescono spontanee: timo, origano, cicoria selvatica, viole, parietaria, anice.
Le elenco a Manny che mi guarda compunto e sembra pensare:
«Quante cose conosci nonna».
Sorrido al pensiero di conversare con un cane!
Adesso stiamo costeggiando il giardino di una casa nel quale distinguo due enormi piante di Ibisco che rompono il verde del fogliame con grandi fiori bianchi che mi lasciano incantata.
Accanto, alcuni cespugli di topinambur, espongono i loro fiori gialli come tanti piccoli Soli.
Gli orti sono coltivati con cavoli neri che spiccano tra i filari di vite con il loro caratteristico colore verde-blu e io avanzo serena verso la grande pineta che riveste le colline.
L’edera ha ricoperto un lungo muro in pietra che separa gli orti dalla zona coltivata e la strada si avventura verso il bosco popolato da piccoli animali di vario genere.
Devo fare una sosta, l’età si fa sentire e mi siedo su una panchina traballante che ha visto tempi migliori e sembra lasciata lì per me quasi per caso.
Il mio compagno di viaggio si accuccia ai miei piedi, paziente, ansima con la lingua penzoloni e rimane immobile.
Noi due ci comprendiamo, abbiamo più o meno la stessa età paragonando la mia con la sua, quella canina.
«Due vecchietti, insomma», rifletto sospirando mentre gli accarezzo il lungo pelo crespo.
Osservo una colonna di formiche che procede verso una meta ben definita; sono precise, costanti e indifferenti a ciò che le circonda; si comportano come se avessero fretta e poco tempo per inutili distrazioni.
Sono consapevoli che presto arriverà l’inverno, il freddo e la pioggia e sono impegnate a riempire la dispensa per sopravvivere.
Le guardo con rispetto e ammirazione.
Oggi non abbiamo un orario preciso e possiamo spendere il nostro pomeriggio come ci piace e pare.
Un raro e anonimo sabato pomeriggio di inizio autunno, senza affanni.
Percorro un tratto di bosco e un ricordo mi balza all’improvviso davanti agli occhi: un appezzamento di bosco, simile a questo, che era stato “adottato” con cura dai bambini della terza elementare che frequentava mia figlia, almeno trenta anni fa.
«Erano già allora preoccupati per l’ambiente! Piccoli e sensati guerrieri. Come passa veloce il tempo», mi ritrovo a riflettere con una punta di nostalgia.
Ricordi, pensieri, considerazioni si srotolano senza sosta nella mia mente.
Vedo del movimento tra i rami di una grande quercia e riconosco tra le foglie una coppia di gazze con il piumaggio nero, macchiato di bianco: attirano la nostra attenzione con il loro caratteristico cicaleccio aspro e acuto.
Anche Manny le osserva voglioso di cacciarle via:
«Buono, lasciale stare, stanno facendo provviste per l’inverno», lo ammonisco anche se lui, avrebbe voglia di slanciarsi contro di loro dando libero sfogo alla sua natura di cacciatore ma si accontenta di un semplice guaito, tirando il guinzaglio fino a quasi strozzarsi.
«Ognuno segue la propria natura», gli mormoro mentre lo accarezzo e lo tranquillizzo.
Il pomeriggio scivola languido verso il tramonto ed io ne assaporo ogni momento, ogni sfumatura, ogni odore, consapevole che il tempo va avanti e non si può fermare.
Ci avviamo verso casa e chiudo una parentesi su uno dei tanti momenti piacevoli della mia vita.
Oggi, sono qui, davanti al computer mentre fuori sta diluviando, sembra di essere in un altro mondo; Manny è sdraiato affianco a me come un tappeto di pelliccia maculata, bianco e nero.
Il muso poggiato sulle zampe anteriori, gli occhi chiusi, immobile.
Sta solo fingendo di dormire, basta un mio lieve momento e lui alza di scatto la testa, mi guarda con occhi profondi e interrogativi:
«Che c’è nonna, hai bisogno di me?».
«Usciamo?».
«Credo proprio di no, non vedi quanto sia capriccioso e mutevole il tempo e come la faccia da padrone?».
«L’autunno è arrivato, caro, e con impetuosa prepotenza», gli rispondo con uno sguardo.
Questo nostro modo di comunicare, un intreccio di sguardi e di silenzi, un piacevole modo di dimostrare amore.