Il vento mi scompiglia i capelli. L’Honda corre veloce sul nastro d’asfalto, da Minneapolis al Dakota. Un merlo sul bordo della strada si alza in volo, spaventato dal rombo della moto. Mio figlio Chris sul sedile posteriore. Caldo. Viaggiare.

L’America scorre sotto le ruote, nel nostro viaggio senza una meta. L’America è la metafora del mondo, e io sono Odisseo che ha messo la prua al vento per ritornare alla sua Itaca.

Io non so dove sia casa mia, non so chi sono, o meglio, non lo ricordo, così forse sarebbe giusto dire che la mia meta è me stesso… sì, mi piace: la ricerca di me stesso attraverso questi orizzonti sconfinati in cui il sole può diventare una palla di fuoco che incendia i campi di mais, e la luna un fantasma di ghiaccio che ci fa rabbrividire.

Chris appoggia il capo sulla mia schiena, sulla giacca di pelle, i capelli che fuoriescono dal casco. Sento le sue mani che stringono più forte quando è stanco e sta per scivolare nel sonno. Ci fermiamo vicino ad un boschetto di pioppi, è quasi sera. Posteggio la moto, tiro fuori dalle borse il fornelletto e il cibo che abbiamo comprato oggi al 7-Eleven. In questi posti non sai mai se si possa accendere un fuoco, così per evitare grane cuocio sul gas.

Mio figlio sta riposando, la testa reclinata sulla mia giacca che gli fa da cuscino. Quando la minestra sarà pronta si sveglierà affamato, poi passerà metà della notte a parlare. Mi piace.

Prendo il libro, Il pellegrinaggio in Oriente, di Hesse, e comincio a leggerlo. Un altro viaggio, anch’esso dello Spirito, alla ricerca del tao, della mitica kundalini. Di sé stesso. Un viaggio senza ritorno, come il mio, perché è il viaggio a trasformarci, e alla fine saremo altre persone.

Non importa dove si arriverà, l’importante è viaggiare.