Le mazzette di pesos erano accumulate in disordine sul tavolo della stanza, dopo che i due sacchi erano stati svuotati uno sull’altro.
«Ti procuravi sempre così i finanziamenti?»
Leandro sorrise alla battuta di Anita, che aveva il volto arrossato per l’eccitazione.
«Come Guglielmo Tell: rubo ai ricchi per dare ai poveri.»
«Che saremmo noi…»
«Sicuramente più poveri di Franco, visto che è arrivato a possedere perfino delle banche. Mi chiedo come abbia fatto ad arrivare fin lì.»
«Francisco Franco aveva molti amici e ammiratori tra i notabili di tutta l’America latina» disse Miguel, «anche qui come in Brasile hanno pensato di usarlo come ariete per governare il Paese.»
«E anche qui scopriranno presto di avere sbagliato i loro conti» concluse Anita.
«Ma non prima che Franco abbia messo le mani sullo Stato, ed allora sarà tardi.»
Leandro finì di dividere le mazzette di banconote. Ne aveva fatto tre mucchi.
«Uno per uno?» chiese Miguel.
«Tutti per Franco» rispose Leandro. «Uno per liberare Alberto, un altro per armare gli uomini e il terzo per le necessità che si presenteranno in corso d’opera.»
«Parli come un vero revolucionario» lo sfotté Anita, guadagnandosi un’occhiataccia.
«Non abbiamo ancora stabilito cosa fare di Garcia Fernandez» osservò Miguel.
«Sempre che riusciamo a metterci le mani sopra.»
Anita si voltò verso Miguel. «Se falliremo non avremo più problemi: saremo tutti morti.»
Leandro sollevò le sopracciglia in segno di assenso, ma l’uomo era sbiancato in volto.
«Basterà smascherare Garcia Fernandez e rivelare la sua vera identità, e la sua carriera sarà finita» disse Anita.
«No» fece Leandro, deciso, «Francisco Franco deve morire. Adesso è il momento di cominciare ad organizzarci: il primo passo sarà liberare Alberto.»
«Non ho ancora capito perché sia così importante» disse Miguel.
«Alberto Fuentes conosce le fogne della città come le sue tasche: passa sempre di lì quando va a compiere i suoi furti. Senza di lui non riusciremo mai ad arrivare al palazzo di Garcia Fernandez senza essere intercettati.»
«Quel palazzo è una vera fortezza.»
«Ragione di più per attaccarlo militarmente» convenne Leandro, «quindi diamoci da fare per Alberto.»
«Sarà difficile farlo uscire dal carcere?»
Leandro scoppiò in una risata. «Quella sarà la cosa più facile: basterà pagare!»

Era tarda mattina quando il carro che aveva portato le derrate alimentari nel carcere di Buenos Aires usciva sobbalzando sulla strada lastricata, trascinato da un cavallo male in arnese. Il conducente pareva rassegnato a quell’andatura e stava pigramente a cassetta, senza incitare l’animale se non facendo schioccare la frusta in aria di tanto in tanto. Il tragitto tra la porta di ferro della prigione e l’inizio della via, dall’altra parte della larga piazza fu coperto in non meno di dieci minuti. Infine, quando il carro ebbe girato l’angolo, due figure sbucarono da un androne e mentre quella più robusta saliva e si metteva a confabulare con il conducente, l’altra frugava sotto il cumulo di cassette e ne estraeva un uomo mingherlino e dai capelli bianchi.
Nonostante l’aspetto Alberto scese agilmente, si stirò, si rassettò gli abiti da garzone che indossava e si rivolse verso l’altro, che lo osservava con aria scettica.
«¡Mi salvador! ¡Te estaré eternamente agradecido!»
Miguel lo prese per un braccio e lo trascinò oltre il palazzo, dove li aspettava lo stesso carro funebre utilizzato per la rapina alla banca, con Anita in cassetta travestita da uomo.
Come vide il veicolo Alberto aggrottò le ciglia, ma quando capì cosa gli veniva chiesto cominciò a strepitare.
«Cosa sta succedendo qui?» chiese Leandro, arrivato di fretta dopo aver sistemato le cose con il conducente dell’altro carro.
«Questo bel tipo si rifiuta di entrare!» disse Miguel, esasperato.
«¡No entraré en un ataúd!» protestò Alberto «ni siquiera muerto.»
Leandro estrasse dalla custodia il lungo coltello da caccia e glielo pose sotto la gola.
«Tu ci entrerai. Vivo o morto, ma ci entrerai» disse.
Alberto spalancò gli occhi. «Leandro Soria! Da quale inferno sei uscito?»
«Lo stesso in cui stai per finire tu, Alberto. ¡Date prisa!»
Riluttante, l’ometto salì sul carro e si accomodò nella bara, tirandosi sopra il coperchio.
Anita fece schioccare la frusta.
«Hi! Vamos!»
Lentamente il cavallo mosse i primi passi e il mezzo funebre cominciò ad avviarsi, allontanandosi dal carcere. Lungo la strada le donne si facevano il segno della croce, mentre gli uomini si toglievano il cappello in segno di rispetto. Alcune suore di passaggio si accodarono per un piccolo tratto.
«Peccato che non puoi vederli» sussurrò Leandro ad Alberto, «non ti mostreranno mai più tanto rispetto.»
«Posso sollevare almeno un poco il coperchio?»
«La prossima volta che muori, Alberto. Con tutti i soldi che ho speso non voglio rovinare la tua evasione.»
«Sei senza cuore, Leandro!»
«Ma come? Non sono el salvador?»
Alberto si chiuse in un offeso silenzio, mentre le ruote cerchiate di ferro sobbalzavano sul terreno sconnesso.