Il palazzo in cui risiedeva Garcia Fernandez era veramente una fortezza. Tutte le finestre del primo piano erano protette da grate, mentre quelle del secondo erano sbarrate da scuri di legno, a parte una grande vetrata sopra una balconata posta all’ingresso principale su cui erano due uomini dietro una grossa mitragliatrice.
«Ti avevo detto che questo palazzo è inespugnabile» disse Miguel, rivolto a Leandro che lo stava osservando con un binocolo da oltre mezz’ora.
«Eppure è l’unico modo di arrivare a Garcia Fernandez» rispose l’altro senza perdere la calma.
«E se ti dicessi che ho in tasca un piano diverso? Assaltare il convoglio che lo porta a Los Diables, la piantagione dove tiene la sua amante e dove si reca una volta alla settimana.»
Leandro posò il binocolo. «Questo non era il nostro accordo. Sono io a decidere come e quando agire e non voglio sparatorie per la strada.»
«Ormai è tardi: sta arrivando un gruppo di fuoco dal Brasile, tutta gente capace di maneggiare le armi.»
Leandro fulminò Miguel con lo sguardo. «Non sono cose che si organizzano in pochi giorni, dovevate già saperlo quando siete venuti a Toay. Allora perché mi avete cercato?»
«Avevamo bisogno del tuo aiuto per nasconderlo una volta rapito» ammise Miguel, «solo tu hai le conoscenze e il supporto per poterlo tenere a Buenos Aires mentre tutta la policia e l’esercito lo cercheranno.»
Anita osservava la discussione in silenzio.
«Siete pazzi» disse Leandro, «se voleste farlo saltare in aria potrei capire, ma così sarà un massacro.»
«Avremo dalla nostra la sorpresa. Quando la scorta capirà quello che succede avremo già portato via Franco.»
«Quanti uomini avete?»
«Quindici, forse venti.»
«Tutti compañeros del Brasile?»
«In parte del Brasile e in parte reclutati tra i patrioti argentini» rispose ancora Miguel.
«E tu pensi davvero che nessuno vi tradirà?»
«Certo! Tu no?»
«Cabron! Io non li conosco, per questo non voglio avere niente a che fare con l’operazione.»
Anita lo guardò fisso. «Dunque tu non parteciperai?»
Leandro sputò per terra. «No, io lavoro solo con mis hombres: prendiamo quel bastardo e io ve lo nasconderò quanto volete, ma alle mie condizioni!»
L’argentino fissò negli occhi per alcuni istanti prima Miguel e poi Anita. «Oppure ammazzatelo in mezzo alla strada come un cane e avremo tutti un problema in meno!»
Gli altri due non risposero e si alzarono, abbandonando la stanza, mentre Leandro si accendeva un sigarillo e riprendeva in mano il binocolo.

Nuvole di vapore uscivano dalle cantine dei palazzi, salendo al cielo e confondendosi con l’alba livida. Le strade bagnate diffondevano la luce che si rifletteva sui lastroni di pietra, rimbalzando sulle lamiere metalliche dei contenitori dell’immondizia. Su tutto regnava un odore dolciastro che sapeva di umido e morte, e carbone.
L’aria era densa, pesante, quasi irrespirabile. Avanzava a fatica, fregandosi gli occhi per tentare di togliere la patina che veniva a ricoprirli, indebolendo la visione. O forse era nebbia, caligine, smog. Un rumore di sbuffi e ruote metalliche giungeva dall’altra via, veicoli pesanti che facevano tremare la terra. Posò per prova la mano sulla fredda superficie di un lampione metallico. Vibrava. Il rumore si faceva più vicino, insistente. Lampi di pensieri coscienti gli attraversavano la mente. C’è poco ossigeno nell’aria, devo andare via di qui… Respirare.
Per un attimo fu tentato di cedere, di posare un ginocchio a terra, ma riuscì a resistere. Se mi fermo non mi rialzo più. Quando fu sul punto di crollare un soffio d’aria fresca lo rianimò. Strinse i denti e guardò verso la fine della strada. Mancano pochi metri, devo farcela. Con uno sforzo supremo, vincendo l’agonia dell’apnea, arrivò all’angolo e svoltò.
Qui la strada era ampia, l’aria tersa anche se il cielo era grigio come piombo. Una colonna avanzava al ritmo di una fanfara, giganteschi mezzi sbuffavano al centro della via, come dinosauri in parata. Vide sfrecciare davanti a lui a quaranta miglia all’ora camion mostruosi, poi vetture con dei soldati, infine una macchina scoperta su cui in piedi, fiero, Francisco Franco salutava una folla immaginaria. No, saluta me, pensò, ed infatti il crudele dittatore lo fissava. Non è possibile, lui è morto, cercava di convincersi, ma l’immagine non svaniva.
All’improvviso dalle vie laterali sbucarono uomini che si avventarono sulla colonna come formiche su un pezzo di pane. Si fermò a guardare la scena, ma i camion si trasformarono in mostri corazzati che girarono le loro torri irte di mitraglie contro la folla. Seguiva affascinato la canna delle macchine mortali falciare gli assalitori come faceva il contadino con il grano, e davvero se chiudeva e riapriva gli occhi sembrava che la Morte stessa facesse il suo macabro raccolto. Alcuni volti uscirono dall’anonimato, delle persone superarono i morti camminando sui loro corpi. Una di queste era Anita, che andava all’attacco con un corto coltello in mano, ed ecco che le bocche delle armi puntavano su di lei e… No, no, no!