Finalmente è arrivata la primavera e forse anche per questo motivo stamane sono di ottimo umore, tanto che ho deciso di pulire a fondo la mia casa, che abito da oltre trent’anni e alla quale sono molto legata. E’ un pianoterra che si trova in via della Scala, vicino a Piazza Santa Maria in Trastevere, nel centro di Roma. Si entra direttamente in un salone arredato con mobili antichi, valorizzati da tanti gingilli di porcellana e vetro di Murano, poggiati su dei bellissimi centri di merletto, che comprai molti anni fa a Burano. Su un lato c’è la cucina in stile rustico con tanto di piatti di rame alle pareti. Sul lato opposto c’è un corridoio, sul quale affacciano il bagno e due camere da letto, la mia e quella di Salvatore, mio figlio, che ha oltre trent’anni e vive ancora con me. La mia camera è arredata con mobili intagliati del “700 napoletano, mentre Salvatore ha preferito lo stile moderno. Le pareti della sua stanza sono di diverse sfumature di grigio come lo sono i mobili, le librerie e la scrivania. Al centro troneggia un letto matrimoniale basso, con la spalliera rossa e nera. Salvatore adesso è a un convegno medico a Milano, perché lui è un dottore che si tiene sempre aggiornato, ed io ho tanto tempo da dedicare alla pulizia del mio appartamento. Spalanco tutte le finestre facendo entrare l’aria e i raggi del sole già molto tiepidi. Mi affaccio e noto che nel mio giardino l’albero di mimose è in fiore e le rose stanno per sbocciare. Mi metto all’opera e per l’occasione indosso un grembiulone bianco e mi lego i capelli con un elastico. Poi comincio a spolverare, ramazzare e lavare in terra. Dopo circa due ore mi rimane solo il salone da pulire. Mi dirigo subito alla libreria e mentre spolvero i libri mi cade l’occhio su un vecchio album di foto che non posso ignorare. Prendo tempo per l’emozione, mi preparo un caffè che sorseggio in finestra. Soddisfatta mi accendo una sigaretta e siedo comoda in poltrona, dove inizio a sfogliare le sue pagine. Vedo la foto di mio padre e mia madre quando erano giovani. Mio padre che indossa la divisa da finanziere e che, con un braccio, cinge le spalle di mia madre, vestita con un abito color ciclamino che mette in risalto la sua carnagione scura. Poi ci sono i nonni, circondati da fiori del negozio che a quei tempi gestivano loro e continuando a sfogliare vedo me bambina che abbraccio le bambole, la mia grande passione. Verso la fine dell’album c’è una foto che mi ritrae a circa trent’anni. Indosso un camicione grigio, un grembiule bianco e sul capo ho una cuffietta anch’essa bianca, che però copre solo in parte i miei capelli rossi e ricci. Sempre nella foto sono circondata da fiori di tutte le specie: garofani, rose, margherite, viole della mia serra di Castel Gandolfo. La fotografia è datata agosto 1991 ed è scattata da Gigliola, una mia amica di scuola che in quella data lavorava per me. Di fronte a questa foto mi abbandono al ricordo di quel periodo della mia vita, che ha portato gioie ma anche dolori.

A quei tempi ero già proprietaria del negozio di fiori lasciatomi in eredità dai nonni, che si trovava dove è ancora oggi, in Piazza Santa Maria in Trastevere, a due passi da casa, tanto che ancora adesso faccio casa e bottega. Con me lavorava Gigliola, una mia amica dei tempi del liceo classico Giulio Cesare che, dopo essersi fatta una lunga esperienza come barman a Londra, tornata nella capitale non trovava più uno straccio di lavoro. Venne da me in un giorno freddo e piovoso di Gennaio del 1991 e con le lacrime agli occhi mi raccontò le sue disavventure e mi domandò se poteva lavorare con me al negozio. Prima di accettare la osservai. Era sempre bella, alta, snella e con lunghi capelli neri e ricci. Ma così bagnata e infreddolita mi sembrò la piccola fiammiferaia. Le volevo molto bene, così le dissi che accettavo la sua proposta anche perché sapevo che, al di là delle apparenze, Gigliola aveva temperamento e presto divenne una mia ottima collaboratrice. Intanto il negozio era molto frequentato, soprattutto da donne che non sempre venivano per comprare dei fiori. A volte entravano anche solo per parlare, del marito, dei figli, dei suoceri e condividevano con me anche un caffè o un dolce. Con alcune di loro ero più un’amica. Ad esempio con Roberta, mia coetanea, ogni domenica mattina andavo a passeggiare per le vie del centro di Roma. Roberta aveva un marito che la tradiva e mi raccontava le sue pene ed io le mie, soprattutto riguardanti il negozio, che verso l’estate si era svuotato di clienti. Diedi la colpa ai fiori marci che mi procurava il fornitore tanto che Roberta mi disse: “Scusa, se hai questo dubbio, perché non vai a rifornirti nella tua serra di Castel Gandolfo? Lì avrai solo l’imbarazzo della scelta.”

“E’ da un po’ che ci penso anche io.  Finora non l’ho fatto per pigrizia.”

Abbracciai la mia amica, grata per il suo consiglio e il giorno dopo, l’8 agosto del 1991, con la Ford Fiesta di Gigliola, più grande della mia cinquecento e con la mia amica alla guida raggiungemmo la mia serra. Presi piante e fiori di tutte le specie, che fui contenta di portare al negozio perché ero sicura che sarebbero state apprezzate. Presto ne ebbi la conferma, perché il negozio iniziò a pullulare di donne che quasi si azzuffavano, per comprare l’ultimo fiore rimasto in negozio.

In fondo di essere stata alla serra ero contenta anche per un altro motivo. Finalmente potevo portare fiori freschi sulla tomba di mio marito, al cimitero di Prima Porta. Riccardo era venuto a mancare circa  due anni prima, a causa di un incidente stradale con la sua moto, con la quale gli piaceva correre come un pazzo. La tragedia accadde sull’autostrada per Napoli che stava raggiungendo per partecipare a un convegno di medici, perché anche lui era un dottore. Come di solito, con la sua Honda, correva, ma quella volta gli fu fatale una macchia d’olio. La moto slittò a lungo e lui cadde e morì sul colpo. Da quel giorno la mia vita non ebbe più un senso, mi sentivo sola  nonostante le tante persone vicine. Non mi restava che andare al cimitero tutte le settimane, a portargli i fiori e a dire una preghiera. Anche quella mattina del 12 agosto del 1991, dopo aver preparato un bel bouquet di margherite e rose, ero a Prima Porta, Raggiunsi in fretta la tomba di mio marito che pulii e ordinai con cura. Ma mentre sistemavo i fiori nei vasi fui scossa da singhiozzi e da un pianto dirotto. Ad un tratto sentii sfiorarmi la spalla. Mi girai di scatto, mi ricomposi e vidi di fronte a me un giovane uomo, con i capelli castani molto lisci e gli occhi azzurri, vestito di un completo blu con tanto di cravatta abbinata. A bassa voce mi disse: “Si sente bene, signora. Piange un suo parente?”

Asciugandomi le lacrime con un fazzolettino, risposi “Veramente era mio marito. E’ venuto a mancare circa due anni fa.”

“Come la capisco! Ho perso mia moglie circa cinque anni fa e ancora oggi le porto i fiori tutte le settimane, anche se con il tempo il dolore si è affievolito. La saluto, vado un po’ di fretta. Ho un appuntamento al lavoro.”

Mi porse la mano e strinse la mia con calore e disse: “Spero di incontrarla nuovamente.”

Quell’uomo elegante, dai modi gentili e garbati, mi piacque subito e anche io sperai di incontrarlo ancora. Quando tornai al negozio raccontai a Gigliola quanto mi era accaduto al cimitero, addirittura lo feci con molta allegria tanto che lei disse: “Speriamo che lo incontri nuovamente.”

Dopo qualche tempo, in una giornata autunnale piuttosto tiepida, lo vidi entrare nel mio negozio. Rimasi senza parole e anche lui apparve molto sorpreso. Poi si riprese e passandosi una mano tra i capelli lisci , mi disse: “Ma lei è la signora del cimitero di Prima Porta?”

Sorridendo annuii. Intanto Gigliola, per togliermi dall’imbarazzo ci lasciò soli, allontanandosi un attimo e lui aggiunse: “Mi fa piacere averla incontrata nuovamente. Pensi che in questi giorni pensavo proprio a lei, perché sto leggendo un libro che ha per tema l’elaborazione del lutto”

“Poi me lo presta?”

“Volentieri”

“Adesso in cosa posso servirla?”

“Vorrei fare un regalo a mia madre per il suo compleanno. Mi piacerebbe una pianta di rose.”

“Perfetto, mi segua.”

Lo accompagnai nel retrobottega e gli mostrai i vari tipi di piante di rose che avevo in negozio. Lui scelse una pianta di rose Tea dai fiori gialli che gli confezionai con cura. Quando giunse il momento di pagare gli feci un grosso sconto e mentre stavo per consegnargli la pianta si protese verso di me che ero ancora dietro la cassa e mi carezzò una guancia, dicendo: “E’ stata molto gentile con me. Per festeggiare questo nuovo incontro, verrebbe a prendere un caffè con me?”

“Perché no?” Risposi sorridendo.

Dissi a Gigliola, che intanto mi faceva l’occhiolino, che poteva andare e chiusi il negozio anche se mancavano quindici minuti alla pausa pranzo. Ci dirigemmo a piedi verso Piazza Santa Maria in Trastevere. Mentre passeggiavamo piano mi domandò: “Come si chiama?”

“Clara, e lei?”

“Vanni, ma diamoci del tu. Siamo tutti e due giovani.”

“D’accordo” dissi.

“Tu quanti anni hai?”

“Trentadue” rispose Vanni.

Gli diedi una pacca sulla spalla e ad alta voce esclamai: “Sono più giovane! Ne ho trenta.”

Scoppiammo a ridere e  quasi non ci rendemmo conto di essere arrivati a destinazione. Sedemmo all’aperto di un bar d’angolo della piazza. La stagione lo consentiva ancora perché era una bella giornata di sole, tipica delle ottobrate romane. Insieme a noi, seduti ai tavoli, c’era tanta altra gente. Poco dopo ci raggiunse un cameriere molto gentile e ben vestito, con tanto di papillon al posto della cravatta. Ordinammo due aperitivi, dal momento che era quasi ora di pranzo, che ci servì senza farci aspettare troppo. Mentre sorseggiavo la bevanda fresca, Vanni mi domandò: “Scusami se sono un po’ indiscreto, ma come è venuto a mancare tuo marito?”

Per un pelo non mi strozzai, perché mi andò di traverso l’aperitivo. Bevvi un sorso d’acqua per farmi passare la tosse e gli parlai dell’incidente, che ebbe mio marito con la sua Honda.

“Terribile” disse.

“Già, e tua moglie?”

“Mia moglie è venuta a mancare a causa di un tumore ai polmoni. Fumava molto. Ti prego, non ci voglio pensare. Parliamo di cose più allegre. Dove abiti?”

“In via della Scala.”

“Accidenti, che fortuna!” disse molto compiaciuto “Vicinissimo al tuo negozio. Fai casa e bottega.”

“Già e tu dove abiti?”

“In via Valadier” rispose.

Anche questa volta per un pelo non mi andò di traverso l’aperitivo, perché ricordai che lì viveva un amico di mio marito che per comprare casa aveva speso una fortuna. Difatti aggiunsi: “Caspita, lì le case sono belle.”

“Si, non mi lamento. E’ un bell’appartamento e poi mi trovo nel centro di Roma” disse alzando un po’ il tono della voce ,tanto che le altre persone sedute ai tavoli accanto, si girarono a guardarlo.

“Che lavoro fai?”

“Sono a capo di un’agenzia di viaggi che si trova a Lungotevere dei Mellini. Come vedi, anche io lavoro vicino casa.”

“Allora, ti piace viaggiare?” dissi incuriosita.

“Si, molto.”

Notai che da un po’ guardava l’orologio al polso, difatti disse “Adesso ti devo lasciare perché ho un appuntamento di lavoro. Tornerò a trovarti presto.”

Gli porsi la mano, che lui strinse forte.

Vanni non si smentì perché nel giro di qualche tempo, al negozio, divenne un mio cliente piuttosto abituale. Comprava tanti fiori: rose, margherite, ciclamini, garofani, perché diceva che gli piacevano molto ma che, secondo me, portava sulla tomba di sua moglie. Una sera mentre ero in orario di chiusura e lui era ancora lì con me, mi invitò a mangiare una pizza. Accettai l’invito molto volentieri e decidemmo di andare da Mario’s in via del Moro a Trastevere, che raggiungemmo a piedi. Era un’antica osteria molto caratteristica, ricavata in una grotta naturale con tanti tavoli di legno coperti da semplici fogli di carta dove mangiare un’ottima pizza napoletana, annaffiata da un buon vino fresco a un ottimo prezzo. Quella sera parlammo di tante cose, ma soprattutto dei suoi viaggi sia in Italia che all’Estero. Dopo quell’incontro ne seguirono tanti altri in cui andammo anche al cinema e a teatro. Di questo ne parlai a lungo con Gigliola che mi invitò di continuare a vedere questo uomo che mi giovava. Difatti la nostra relazione andava a gonfie vele, perché condividevamo gli stessi interessi. Eravamo sempre d’accordo sul film o lo spettacolo teatrale da vedere. E avevamo gli stessi gusti anche in fatto di arte culinaria. Ma la nostra storia procedeva liscia come l’olio anche perché per la prima volta, dopo Riccardo, mio marito, avevo una relazione con un uomo che mi faceva sentire bella anche solo mangiandomi con gli occhi, in silenzio. Così quando Vanni mi invitò a pranzo a casa sua dicendomi che mi sarebbe venuto a prendere e che avrebbe preparato lui un menù a base di pesce da buon intenditore in fatto di cucina ,gli gettai le braccia al collo e gli schioccai due baci sulle guance. La domenica seguente, poco prima di Natale, Vanni mi venne a prendere con una mercedes bianca. Per l’occasione,  dal momento che mi recavo in un quartiere elegante di Roma indossai un abito nero un po’ lungo e molto scollato e ai piedi calzai scarpe con il tacco. Acconciai i capelli con dei pettinini con gli strass e rovistando nell’armadio trovai, in un angolo, la pelliccia di astrakan che avevo dimenticato di possedere, e la scelsi come cappotto da sfoggiare per l’occasione. Quando arrivò Vanni e mi vide sgranò gli occhi, scese dalla macchina e mi fece fare un giro su me stessa dicendo che ero stupenda ed io ero visibilmente molto contenta. Quando arrivammo in via Valadier e e varcai la soglia del portone di ingresso della casa di Vanni ,spalancai la bocca per la sorpresa. Le pareti erano coperte da mosaici dalle tessere piccole dai colori tenui riproducenti figure di antichi egiziani. Giunti al terzo piano Vanni aprì la porta di casa che si trovava alla destra dell’ascensore ,ed entrammo direttamente in un ampio salone molto luminoso. Rimasi subito colpita dal perfetto accostamento di mobili in stile antico e moderno. Su un lato c’era l’angolo salotto con un divano e due poltrone in pelle chiara e al centro un tavolino di cristallo addobbato già con le decorazioni natalizie. Sull’altro lato c’era un tavolo tondo antico con le sedie imbottite intorno, e vicino vi era una vetrinetta con tanti oggetti piccoli di argento ma anche di cristallo che facevano tanta luce. Le pareti erano coperte da librerie traboccanti di libri di turismo ma anche di arte. In un angolo, vicino alla finestra, vi era già l’albero di Natale addobbato con palle e fili d’oro. Mentre mi guardavo intorno con gli occhi spalancati dalla meraviglia, Vanni mi aiutò a togliere la pelliccia  che pose in uno spogliatoio vicino alla porta d’ingresso. Poi mi prese per mano e mi condusse in camera da letto alla fine di un piccolo corridoio  dove c’era il bagno che chiesi di usare. Anche questo ambiente era molto elegante, con i sanitari color avorio e i mobili in legno scuro. Ma quando entrai in camera da letto rimasi stupefatta. Era in stile veneziano. Il letto con la trapunta di colore avorio aveva la spalliera imbottita con la cornice dorata. Comodini e armadio anch’essi di colore avorio avevano decorazioni floreali dipinte a mano. In terra c’era un bel tappeto e alle finestre c’erano delle tende di tessuto pregiato. Ero incantata, ma Vanni mi riportò alla realtà perché mi ricordò che era ora di mangiare. Così andammo in cucina che , invece, era in stile moderno con i mobili bianchi  e grigi. Vanni però disse che, per l’occasione, voleva mangiare in salone e così lo aiutai ad apparecchiare con i piatti di porcellana e i bicchieri di cristallo. Tra un discorso e  l’altro che riguardavano i viaggi di Vanni, gustammo gli spaghetti a vongole, il merluzzo con i piselli e la frittura di pesce con tanta insalata. Il tutto annaffiato con ottimo vino vermentino. Alla fine del pranzo mi complimentai con Vanni per la sua cucina e dissi che era ancora un uomo da sposare. Lusingato mi ringraziò, però mi disse di sentirsi un po’ pieno e così passammo in salone a consumare un amaro. Ad un tratto, mentre sorseggiavo la bevanda un po’ alcolica, Vanni mi tolse il bicchiere dalle mie mani e iniziò a baciare le mie labbra con passione ed io ricambiai con vivo desiderio. Poi Vanni mi prese in braccio e mi condusse in camera da letto dove iniziò a spogliarmi lentamente. Baciò tutto il mio corpo, poi mi penetrò e raggiungemmo insieme l’apice del piacere. Dopo aver fatto l’amore Vanni si accese una sigaretta ,e mentre faceva cerchi concentrici con il fumo disse:

“A primavera voglio fare un viaggio a Venezia, verresti con me?”

Lanciai gridolini di gioia e urlai: “Siiiiiiiiii”

Ricominciammo a far l’amore e quella sera dormii da lui. Il giorno dopo riprendemmo la vita di tutti i giorni ma piano piano arrivò la primavera e partimmo per Venezia. Decidemmo di prendere il treno perché avevo paura dell’aereo e la macchina di Vanni, per il momento, era fuori uso. Così  il 15aprile del 1992, dopo aver lasciato la gestione del mio negozio a Gigliola, che ormai era diventata un’esperta, partimmo dalla stazione Termini per raggiungere la città lagunare. Eravamo emozionati come due bambini. Ci prendevamo per mano, ci abbracciavamo e ci baciavamo ogni due minuti con passione. Dopo diverse ore di viaggio raggiungemmo la Stazione Santa Lucia a Venzia, dove ci servimmo di un taxi acqueo per arrivare a Riva degli Schiavoni dove si trovava l’Hotel Danieli di fama mondiale. Quando vidi tutto quel lusso, con preoccupazione dissi a Vanni:

“Ma avrai speso una fortuna!”

Lui strinse una mia mano nella sua e disse: “Non ti preoccupare e goditi questa vacanza”

Raggiungemmo la nostra camera elegante con veduta mozzafiato. Dopo aver sistemato i nostri vestiti e oggetti personali nell’armadio disegnato da famosi designer, cenammo al ristorante Terrazza Danieli, con vista sul Canal Grande. Cenammo un menù a base di pesce, tipico della cucina veneziana annaffiato con ottimo vino Merlot. Quando ritornammo nelle nostre stanze stanchi per il viaggio e un po’ brilli per il vino ci addormentammo di sasso. Il giorno dopo andammo a piazza San Marco e rimasi a bocca aperta di fronte alla magnifica facciata della Basilica di San Marco, ricoperta da una vera e propria foresta di colonne. Rimasi a lungo ad ammirare i mosaici che rivestivano le lunette dando un effetto di leggerezza ed eleganza all’impianto massiccio dell’architettura ,coperta da cinque cupole emisferiche sostenute da un doppio ordine di arcate a tutto sesto. Mi rivolsi a Vanni ed estasiata,  esclamai:

 

“E’ magnifica!”

“Si, è così. Dai entriamo” disse Vanni

Quando entrammo sembrò di stare in Paradiso con tutta quella profusione di oro in stile bizantineggiante. Ne uscii felice perché avevo visitato uno dei più ammirati simboli della bellezza artistica ed architettonica dell’Italia. Ed ero avida di scoprire le altre bellezze della città.

Dopo la Basilica di San Marco, passammo a visitare Palazzo Ducale, considerato la massima architettura gotica veneziana. Dopo andammo a pranzo in un locale tipico di Venezia dove si ritrovavano musiche, colori e prodotti di casa e dopo aver passeggiato nei Giardini Pubblici, il più grande polmone verde della città ,finimmo la serata nello storico Gran Caffè Quadri a mangiare un ottimo gelato. Nei giorni seguenti girammo Venezia in lungo e in largo facendo anche un giro in gondola. Visitammo le sue chiese, i suoi palazzi, percorremmo il Ponte di Rialto e quello dei Sospiri. Prendemmo il vaporetto e visitammo le isole di Torcello dove nacque Venezia, Murano, l’isola del vetro e Burano dove comprai tanti merletti fatti a tombolo. Mi sentivo molto grata a Vanni per questo viaggio  perché mi amava. Anche io mi sentivo molto innamorata di lui  che mi aveva fatto dimenticare mio marito Riccardo. Anche Vanni disse che era grato a me per la compagnia Ma quando, finita la vacanza, tornammo a Roma alla solita routine  l’incantesimo svanì. Presto accadde un fatto che mi fece scoprire il vero volto  di Vanni, e cambiò la mia vita. Dopo qualche giorno dal mio rientro in città ,scoprii di essere incinta. Ero felice e volevo condividere questa gioia con Gigliola con la quale, difatti, ne volevo parlare a quattr’ occhi. La domenica seguente la invitai a casa mia a prendere un tè. Arrivò nel tardo pomeriggio, portando un vassoio di pasticcini. Dopo un caloroso saluto ci accomodammo in salone a sorseggiare la bevanda calda. Tra un discorso e l’altro mi disse: “Come mai mi hai invitata nell’intimità della tua casa? Hai cattive notizie da darmi?”

“Sono incinta. Con Vanni ,deve essere successo a Venezia”

Lanciò gridolini di gioia ripetendo: “Che bella notizia! Che bella sorpresa! E mi abbracciò, facendo quasi rovesciare il mio tè. Poi si ricompose e mi disse:

“Quando lo dici a Vanni? Sicuramente, sarà felice anche lui”

“In questi giorni”

“Bene, bene” Dopo tutte queste effusioni di affetto, con Gigliola, passammo a parlare del sesso del bambino, se desideravo un maschietto o una femminuccia, del nome che gli avrei dato al bambino o alla bambina, di come avrei arredato la sua stanza, dei vestitini e giocattoli da comprare. E si fece tarda sera. Gigliola, dopo avermi dato due baci con lo schiocco sulle mie guance ,andò via dicendo:

“Parlane subito con Vanni”

Una di quelle sere Vanni mi invitò a cena a casa sua e questo capitò a proposito perché così avrei potuto parlargli in separata sede, come avevo fatto con Gigliola, anche se con lui era un po’ più complicato perché era il diretto interessato. Dopo cena presi il coraggio e dopo esserci spostati in terrazza, che circondava il suo appartamento e dove sedemmo sul dondolo, gli dissi:

“Vanni, sono incinta”

“Incinta?” disse urlando come un pazzo, tanto che dissi: “Non urlare, cosa penseranno i vicini?”

Mi prese per un braccio e mi trascinò in salotto e aggiunse: “Naturalmente vuoi abortire”

“Abortire? Assolutamente no. Ho intenzione di avere questo figlio”

“Te la sbrighi da sola perché nella mia vita non ho mai pensato di essere padre, neanche quando ero sposato. Figurati con una di passaggio Non ho intenzione di riconoscere questo figlio.”

Mi avventai su di lui dandogli pugni sul petto e urlando dissi: “Sei un delinquente. Mi hai preso in giro facendo il gentiluomo e dicendo di amarmi, ma in realtà sei un mascalzone”

Mi prese i polsi e mi allontanò da sé, dicendo: “Tu invece sei una gran troia che mi vuole solo incastrare ma, come sei stata facile con me, lo sarai stata, nel frattempo, con chissà quanti altri uomini”

Di corsa presi le mie cose e uscii dalla casa di Vanni sbattendo la porta e piangendo calde lacrime. A piazza Cavour presi un taxi per raggiungere la mia casa dove mi sdraiai sul letto a singhiozzare. Poi fui sopraffatta dalla stanchezza e mi addormentai. La mattina seguente fui svegliata dal trillo del telefono. Era Gigliola che si era preoccupata non vedendomi al negozio. Con la voce assonnata le dissi:

“Per oggi chiudi il negozio e passa a casa mia. Ho bisogno di parlarti. E’ successa una cosa grave”

Gigliola dovette scapicollarsi, perché dopo pochi minuti arrivò a casa mia. Quando andai ad aprirle la porta, allarmata disse: “Hai pianto? Hai gli occhi gonfi e un aspetto terrificante. Che è successo?”

“Vieni” le dissi e la condussi in salotto dove le raccontai per filo e per segno tutto quello che era successo tra me e Vanni, in quelle ultime ore. Spalancò gli occhi dicendo:

“Vanni, ha detto questo? Chi se lo sarebbe mai aspettato da lui. Un fulmine al ciel sereno. Tu cosa hai intenzione di fare?”

“E me lo domandi? Voglio questo figlio e lo crescerò da sola”

Gigliola prese le mie mani tra le sue e mi disse:

“Sei una grande donna”

Trascorsi l’intera giornata con la mia amica che mi accudì affettuosamente e il giorno dopo, mi feci coraggio, e ritornai al lavoro più in forma che mai. Vanni sparì dalla circolazione e durante la gravidanza mi aiutò tanto Gigliola.  Quando nacque il mio bel maschietto lo chiamai Salvatore perché mi aveva salvato dalle grinfie di un uomo che mi aveva ingannato per tanto tempo ma che alla fine aveva mostrato il suo disgustoso modo di essere: un gran farabutto, privo di scrupoli.

Mi distoglie dai miei ricordi il trillo del telefono. E’ Salvatore che dice che ritornerà a casa tra un paio di giorni perché il convegno medico si è prolungato. Anche se mio figlio mi manca, tiro un respiro di sollievo, perché così ho ancora tempo davanti a me, per finire di pulire la mia casa in queste bellissime giornate di primavera.