Parliamo ancora di come costruire una storia. Io mi soffermo spesso su questo argomento perché credo che, mentre le varie scuole di scrittura offrono moltissimi consigli sulle tecniche di scrittura (spesso copiandosi l’un l’altro, l’avete notato?) per quanto riguarda la struttura vera e propria sono molto più lacunose: solo recentemente sul web si parla del binomio Campbell-Vogler, ma lo schema di per sé non dice molto o può sembrare astruso, ed in effetti senza le dovute spiegazioni lo è.

Partiamo dall’inizio: a cosa serve preoccuparsi della struttura dei propri racconti o romanzi? Non hanno già una struttura intrinseca, quella della storia che andiamo raccontando?

La risposta è non necessariamente e quindi in genere no, o perlomeno, difficilmente è una struttura che sta in piedi, proprio come una casa costruita su fondamenta improvvisate raramente è stabile.

In realtà la struttura non serve soltanto a questo: alla base di qualsiasi scrittura creativa ci deve essere un’idea di partenza, ma quante volte delle idee che ci sembrano buone si infrangono contro la dura realtà di una storia che non vuole farsi scrivere?

Se invece queste buone idee vengono sovrapposte ad una struttura di massima – con tutte le sue infinite variazioni, beninteso – ecco che già sappiamo dove dobbiamo andare, e le parti che ci mancano non hanno che da essere scritte. Non solo: essendo che la struttura è profondamente introiettata dal patrimonio comune dell’umanità (che si chiami “archetipi dell’inconscio collettivo”, “idee innate” o in altri modi è sempre lo stesso) rispettarla significa avere già il lettore dalla nostra parte, perché non stiamo raccontando solo la nostra storia, stiamo raccontando anche la SUA.

Quanto è antica questa struttura? Almeno 4500 anni, ma probabilmente molto di più.

Ma esaminiamo la cosa nei dettagli.

Sydney Alvin Field, un celebre sceneggiatore americano scomparso nel 2013, ha identificato una struttura di base, il cosiddetto “paradigma di Syd Field”, che vede la storia divisa in tre parti, che lui chiama “atti”: esposizione, conflitto e risoluzione.

Nella esposizione è rappresentato il mondo ordinario (ricordiamoci questo termine) dei protagonisti, in pratica la situazione di partenza, nel conflitto raccontiamo lo svolgimento vero e proprio della storia, nella risoluzione, infine, descriviamo la situazione finale, il punto a cui sono giunti dopo aver attraversato il conflitto e come questo li ha trasformati.

Fin qui niente di nuovo, ma come potete notare nel grafico verso la fine del primo e del secondo atto sono presenti due “colpi di scena”.  Cosa sono questi colpi di scena? Sono i momenti di brusca transizione nella vita dei protagonisti, quelli che tengono avvinto il lettore o lo spettatore alla nostra storia, e vanno posizionati in quei momenti perché cadenzano correttamente i tempi di sviluppo della trama, che altrimenti rischierebbe di disorientare e annoiare chi legge.

Tutto qui? No, focalizziamoci sul secondo atto, che è quello più problematico: all’interno del conflitto possiamo trovare altre due situazioni, il confronto e la soluzione provvisoria, a loro volta separati da un punto chiave, inserito approssimativamente a metà dell’atto. Il punto chiave è il momento in cui il protagonista, dopo il colpo di scena 1, affronta le conseguenze di questa nuova situazione e giunge ad una svolta che creerà un’altra situazione provvisoria, destinata ad essere risolta nel punto chiave 2.

Ecco che abbiamo quindi una scaletta preconfezionata in cui collocare i nostri “momenti salienti” o come li vogliamo chiamare: ne avevo messo uno troppo presto o troppo tardi? Probabilmente questo provocherà una sensazione di disagio nel lettore. Non ne abbiamo messi? In questo caso troverà il nostro racconto “piatto”,  senza la capacità di coinvolgerlo ed emozionarlo.

Ma avevo parlato anche dello schema Campbell-Vogler, che avevo trattato in un altro articolo ma che è bene ricordarlo. Joseph Campbell è un antropologo e uno storico delle religioni di fama internazionale che ha approfondito le origini della mitologia e in un suo famoso libro, L’eroe dai mille volti ha identificato la struttura narrativa che sottende i miti provenienti da tutto il mondo.

Tale struttura prende il nome di Monomito ed è articolata in 17 passaggi che esprimono archetipi strutturali inconsci nel nostro modo di comunicare e sviluppare una storia. Tantissimi autori contemporanei hanno preso spunto dalla sua struttura narrativa ottenendo un ottimo successo di pubblico, sia nella letteratura che nel cinema.

Christopher Vogler è uno sceneggiatore e insegnante di sceneggiatura USA che ha tratto dal lavoro di Campbell la struttura antropologica, mettendola al servizio della narrativa contemporanea.

Jan Novak, nel suo La bibbia della scrittura creativa fornisce l’esempio dello schema di Campbell-Vogler applicato all’Amleto di Shakespeare, che riporto a grandi linee:

ATTO I

Mondo Ordinario. La narrazione si apre con il racconto del punto di partenza, del mondo di cui si muove il protagonista, presenta la sua quotidianità, la sua routine, il suo stile di vita, gli amici, ecc.

Richiamo all’Avventura. Accade qualcosa che spinge il protagonista a pensare di abbandonare il suo mondo ordinario, a intraprendere un’avventura, un compito, una particolare scelta che cambierà profondamente le sue abitudini.

Rifiuto del Richiamo. Il protagonista non accetta questa “novità”. Decidendo di rifiutare la chiamata all’azione e restare nel proprio mondo ordinario. Sceglie di evitare il suo destino. Il rifiuto non è un passaggio necessario, dipende molto dal tipo di personaggio incarnato dal protagonista, ma al tempo stesso si tratta di un passaggio che offre molta consistenza alla storia e al protagonista.

Incontro col Mentore. Il protagonista si imbatte in qualcuno, o qualcosa, che gli fa cambiare repentinamente atteggiamento,spingendolo quindi a intraprendere questa nuova vita. Si tratta di un evento inatteso, sconvolgente, capace di portare a una presa di coscienza, oppure l’incontro fisico con un personaggio che funge –appunto – da mentore, richiamando il protagonista all’azione.

Varco della Prima Soglia. Il protagonista accetta il suo destino e la sfida cui è sottoposto. scendo ̀fisicamente dalla propria area di comfort (il mondo ordinario) per immergersi nella vicenda.

 

ATTO II

Prove, Nemici, Alleati. In questa fase appaiono i nuovi personaggi che caratterizzeranno il seguito del racconto, e il protagonista affronta delle piccole prove che ne temprano il carattere e ne giustificano maggiormente la decisione.

Seconda Soglia, o avvicinamento alla caverna più recondita. Il protagonista fronteggia la minaccia più grande, si trova davanti alla sfida più difficile e non è ancora pronto per affrontarla. Si rende quindi conto di avere necessità di una maturazione ulteriore.

Come ottimo esempio di quanto i vari passaggi possano sovrapporsi, nell’Amleto di Shakespeare, queste due tappe del percorso sono estremamente connesse tra loro. Rosencrantz  e Guilderstern, già apparsi in precedenza, dimostrano tutta la loro ipocrisia, sposando la causa del re di allontanare Amleto dalla Danimarca, velocizzando la sua partenza. Durante il viaggio Amleto incontra l’armata di Fortebraccio in procinto di attaccare la Polonia. Davanti al massacro che sta per compiersi, ogni suo tentennamento viene meno, trasformandosi deciso più che mai nello strumento di vendetta del padre defunto. Fa la sua apparizione Laerte, fratello di Ofelia, deciso a vendicare Polonio e sua sorella, caduta nel frattempo in un vortice di follia. Lo zio di Amleto, il re, ordisce un complotto assieme a Laerte per assassinare il principe una volta tornato in Danimarca. Orazio, fidato amico di Amleto, gli diventa ancora più alleato, facendogli da messaggero per il suo imminente rientro in patria. 

Prova Centrale. Si tratta del momento centrale della narrazione, la sfida più imponente, dove il protagonista rischia di perdere tutto in cambio della maturazione necessaria a sostenere la prova finale. Qui egli fronteggia se stesso, le proprie paure, i propri desideri e necessità, facendo i conti con le sue grandezze e i suoi fallimenti.

Ricompensa. Il protagonista ottiene un momento di pausa in cui può meditare sulla nuova consapevolezza acquisita o, semplicemente,festeggiare il conseguimento della prova centrale. Generalmente in questa fase del racconto trova spazio una scena d’amore, se ne è prevista una. Si tratta comunque di un momento di raccoglimento utile a spezzare il fiato prima della corsa verso il “gran finale

 

ATTO III

Via del Ritorno. Il protagonista sente la necessità di tornare nel mondo ordinario, pieno di questa nuova maturazione, desideroso dimetterla a frutto. Il protagonista non è ancora rientrato nel mondo ordinario ma è in procinto di farlo.

Terza Soglia, o Resurrezione. Il protagonista affronta la prova definitiva, l’esame finale per dimostrare di aver davvero raggiunto la propria maturazione. Qui si compie il destino dei protagonisti e la loro “resurrezione” – appunto – è nell’aver sconfitto (metaforicamente) la morte, la prova suprema cui erano destinati fin dal momento dell’uscita dal mondo ordinario. Se il protagonista muore durante questa fase del racconto, egli comunque sopravviverà nella memoria di chi resta.

Ritorno con l’elisir. Il protagonista prende nuovamente posto all’interno del mondo ordinario ma pregno della nuova maturità acquisita e dell’esperienza accumulata nel corso della vicenda che lo rendono, inevitabilmente, una persona nuova. Nel caso in cui il protagonista non sopravviva alla Terza Soglia, sarà la sua memoria a modificare radicalmente il mondo ordinario, e le sue ultime volontà, o il suo esempio, saranno il motore capace di forgiare gli eventi a seguire.