Ci misero pochi minuti ad arrivare nel giardino della villetta, Marilù aveva guidato la sua Panda seguendo le indicazioni di Riccardino senza fare nessuna domanda. L’uomo, dal canto suo, appariva confuso e non riusciva a mascherare la preoccupazione, gli vibrava nelle orecchie l’imperativo di sua madre “Non telefonate a nessuno!”». Trovarono le tre donne ad aspettarli in piedi davanti al cancello, dritte come i pioppi lì accanto, e con le borsette in mano. Ci furono presentazioni e abbracci imbarazzati, poi si sedettero sulle panche intorno al tavolo di marmo: le tre anziane amiche da una parte, Marilù e Riccardino dall’altra.
«Così finalmente ci conosciamo» esordì Rina, con un lieve dondolio della testa che l’assaliva sempre più spesso ultimamente, specialmente dopo “certi fatti”. Nena invece aveva atteggiato le labbra a un sorriso rigido che però sorriso non era, e Setta gettava lunghe occhiate alla villetta cercando di trattenere le lacrime e annuendo vistosamente a qualsiasi cosa dicessero le due amiche.
«Clò ci aveva detto che avrebbe passato qualche tempo con lei» e, usando la tecnica della migliore difesa possibile, Rina Digos partì all’attacco della povera Marilù: «Quindi signorina, ci può dire dove è andata sua zia?»
«Io?»
«Certo, doveva venire da lei.»
«Ma da me non è venuta affatto!»
«E allora dove è andata?» chiese Rina con un’incredibile faccia di bronzo.
Marilù per un po’ rimase interdetta a guardare le tre sfingi che aspettavano una risposta da lei. Poi fortunatamente reagì scrollandosi di dosso la sorpresa di quella domanda, si fece forza e contrattaccò: «Sono venuta da Perugia per cercare mia zia che non mi risponde al telefono da settimane. Sono stata a casa sua e non c’è, siete le sue migliori e uniche amiche, speravo poteste aiutarmi voi!»
«Signorina, noi non la sentiamo da quando è partita per venire da lei» rispose Rina.
«Non vi siete chieste come mai?»
«Guardi» proseguì Rina «sua zia è sempre stata allergica ai cellulari, il suo lo usava pochissimo. Poi giusto qualche giorno fa dicevo alla mia amica Nena» rivolgendosi all’amica «Nena, non è strano che Cloe non si fa sentire da così tanto tempo?» e Nena prese ad annuire: «Vero, mi ha detto proprio così. Lo giuro!»
«Vero!» confermò pure Setta che probabilmente non aveva nemmeno capito la domanda.
«Quindi cosa avete fatto?» chiese la ragazza.
«Niente. Non abbiamo fatto niente» rispose Rina.
«Però ci siamo preoccupate tanto» precisò Nena.
«Abbiamo pregato!» precisò Setta. «Abbiamo pregato tanto» sempre cercando di non fissare il portone.
«Perché vi avrebbe detto una bugia così grossa?» chiese Marilù scuotendo la testa. «Non capisco proprio»
«Nemmeno noi» ripose Nena.
«Nemmeno noi» ripetè Setta, incapace di dire altro e sul filo del crollo psicologico.
«Forse voleva stare un po’ sola» aggiunse Riccardino, così, tanto per partecipare alla discussione, ma senza nessuna convinzione.
«Quando sarebbe partita per venire da me?» chiese la ragazza.
Le tre donne si guardarono come tre scolarette all’interrogazione: questa la risposta la sapevano! L’avevano preparata con tante altre: «Il primo di Maggio!» rispose decisa Rina Digos.
«Ne siete sicure?» chiese la ragazza, e le tre per un attimo vacillarono, poi annuirono in silenzio.
«Ve lo chiedo perché mia zia mi ha spedito delle foto, eccole» prendendo il cellulare e mostrando la fotografia che aveva già fatto vedere alla vicina di casa.
Nena alla vista della foto si portò una mano alla bocca, Setta girò gli occhi e si tenne al bordo del tavolo per non cadere faccia in giù, Rina provò a reagire: «La foto… sicura fosse il primo maggio? Questo primo maggio? Forse l’ha scattata lo scorso anno, chissà…»
«No, non può essere. Vedete c’è il sole, lo scorso anno ha piovuto per giorni e ha fatto freddo. Me lo ricordo bene perché mi sono presa l’influenza…» poi si accorse dell’imbarazzo delle tre donne: «C’è qualcosa che volete dirmi?»
«No, cosa? Però, magari è una foto vecchia, o forse lei partita il giorno dopo…» tentennò ancora Rina.
A quel punto Riccardino cercò di prendere in mano la discussione che sembrava in una fase di stallo, dopotutto è quello che deve fare un uomo: risolvere le situazioni.
«Allora signore, se Clò non è andata dalla nipote, e non è a casa, mi domando dove potrebbe essere? Possibile che non vi viene niente in mente? Magari voleva stare un po’ da sola. Se fosse stata male, o portata in ospedale qualcuno vi avrebbe rintracciato. Voglio dire che le cattive notizie prima o poi arrivano. Sono passati parecchi giorni. Sicure che non si sia rifugiata da qualche parte?» e senza volerlo le tre amiche fissarono la casa alle sue spalle, e Riccardino capì.
Ma capì solo per un attimo, poi abbandonò quell’idea così assurda. Dopotutto le tre nonnette avevano quelle espressioni tenere, innocenti e anche un po’impaurite che si assumono solo nella prima infanzia, o nell’età più matura. Fragili e innocue. No, non poteva essere…
«Ma cosa aspettiamo? Se avete le chiavi, diamo un’occhiata in casa» propose Marilù e a questa frase si levò un urlo disumano che stravolse il volto di Setta, dalla cui bocca proveniva. Dopo aver liberato il suo: «Nooo!» la donna si accasciò di lato tra le braccia di Nena la quale, presa alla sprovvista, la bloccò ma crollò di peso su Rina. Rina tenne il colpo reggendosi al tavolo, ma non potè fare a meno di gettare la maschera e assumere un’espressione di sconforto tale che la ragazza che capì: lei davvero capì.

A Riccardino non sembrava vero di tenere abbracciato quel corpo caldo e profumato che, nei singhiozzi del pianto, gli si era abbandonato tra le braccia. Le accarezzava il capo e, seppure non capendo il perché di quelle facce improvvisamente desolate, provava a consolarla biascicando stupide frasi di circostanza. Ma non c’era soltanto lei da consolare, difatti in un attimo il giardino si era trasformato in un girone infernale, quello dove le donne si disperano e il peccatore non sa il perché, ed è condannato a non poter fare nulla.
«Signorina, prima di chiamare il commissario dobbiamo spiegarle come è successo» disse Rina, con gli occhi gonfi di un pianto che non avrebbe immaginato nemmeno lei sarebbe dilagato.
«Come, come è successo?» chiedeva Marilù tra i singhiozzi e le carezze di Riccardino che ancora non ci aveva capito una mazza.
«Eravamo entrate per andare in bagno» biascicò Setta, «lei rideva, rideva tanto. Poi ha iniziato a sudare e si è seduta sulla poltrona…è ancora là»
A quel punto a Riccardino si fece giorno, guardò sbalordito per prima la madre, che gemeva e singhiozzava appannando gli occhiali, poi le altre due, e improvvisamente gli tornò alla mente una vecchia commedia vista da bambino “Arsenico e vecchi merletti” e si sentì stupido, così stupido!
«L’avete lasciata lì dentro? Da sola? Buon Dio perché?» chiese allora Riccardino, mentre Marilù si puliva occhi e naso sulla di lui maglietta.
«Hai ragione, abbiamo fatto una cosa orribile, ma sappiate che l’abbiamo fatto soltanto per l’INPS!» rispose Setta che improvvisamente sembrò rinascere. Il pianto e il rimorso tenuti a freno per settimane erano sfociati in quel “Nooo” facendo sfogare il suo dolore represso. In una sorta di metamorfosi adesso sembrava lei la più lucida, e anche la più convinta della bontà delle loro azioni.
«Clò era nostra amica e anche la nostra benefattrice. Ci ha sempre aiutate nel momento del bisogno e sono certa che da lassù ha approvato il nostro operato.»
«Non vi capisco. Cosa avete combinato?» chiese ancora Marilù in tono quasi supplichevole.
«Niente, abbiamo soltanto preso in prestito qualche suo avere, qualche euro che non le serve davvero più dove sta adesso. Da lassù lei ci guarda e approva. Anzi, sono sicura che sta ancora ridendo.»
«Ma…l’avete abbandonata per rubare i suoi soldi?»
«Con il bancomat. Eccolo lo diamo a lei» intervenne Nena «e abbiamo anche venduto qualche gioiello, un paio di bracciali con il fermaglio rotto e una collana spezzata.»
«E l’anello senza una pietra» puntualizzò Setta.
«Non so se lei signorina potrà mai perdonarci. Adesso può anche denunciarci alla polizia, ma le giuro» continuò Setta portandosi la mano destra sul cuore «le giuro che l’abbiamo fatto solo per disperazione.»
Marilù si staccò dalle braccia di Riccardino, si sedette meglio e, sembrò riacquistare lucidità dopo la sorpresa dolorosa. Si portò una un dito alla bocca e prese a mordersi l’unghia. Pensava, mordicchiava e guardava le tre donne affrante e rapidamente invecchiate. Le inquadrò nella loro disperazione mentre si asciugavano le lacrime, pulivano gli occhiali e con le mani giunte pregavano. Non c’era più finzione ma la consapevolezza di aver commesso un delitto, di aver abbandonato deliberatamente la loro amica.
«Avete fatto una cosa orribile» e le tre abbassarono ulteriormente il capo, pronte alla batosta finale «ma vi capisco. Dopotutto non sapete…»
Ci fu un lungo istante di silenzio e stupore da parte delle donne e di Riccardino: «Cosa non sappiamo?» chiese poi Setta con espressione sconsolata.
«Non sapete che mia zia aveva fatto riscrivere il suo testamento. Me lo ha detto il giorno prima di questa fotografia. Ha lasciato tutto a me, eccetto l’appartamento con il terrazzo. Lei sapeva di non avere ancora molto da vivere e si preoccupava tanto di voi, così…»
Se le avesse schiaffeggiate avrebbero sofferto di meno, ma quella notizia le fece precipitare nella angoscia più nera. Il loro gesto oltre che orribile era anche stato inutile!
«La prego, chiami subito il commissario…» gemette Rina cercando di tenere la testa alta, ma senza più la grinta che la caratterizzava «ci meritiamo la pena più severa!»
Marilù per un po’ continuò a mordersi l’unghia, poi rispose con tono risoluto, senza alcun cenno a timore o titubanza: «Ma che dite? Io non intendo assolutamente sporgere nessuna denuncia! So che vi volevate bene, vi credo perché con voi lei è stata felice davvero. Lasciamo le cose così. Lei è venuta qui a morire, nel suo giardino, nella sua villetta. Nessuno potrà incolparvi di niente.»
Immaginate lo stupore delle tre amiche che non riuscivano a pronunciare parola…
«Però, però c’è qualcosa che non quadra…» provò a dire Riccardino, bloccando quel frullio di mani che si stringevano da sopra il tavolo.
«Cosa?» chiese Marilù con aria dolce e sbattendo le palpebre ancora bagnate dalle lacrime.
«Quelle foto. Quelle foto dimostrano che voi eravate tutte qui il primo di maggio. Un medico legale potrebbe risalire benissimo al giorno della morte…»
«Allora le cancellerò» trillò ancora Marilù «non voglio che ci siano ombre. E anche i prelevamenti al bancomat, dirò di averli fatti io…»
«Le foto, sono anche sul cellulare di Clò» continuò Riccardino: «Dov’è il cellulare di Clò?»
Nena aveva sempre pensato che suo figlio avesse un’intelligenza superiore alla media, ma in quarant’anni non aveva mai avuto conferma di niente, neanche un lieve accenno. Adesso lo fissò con uno sguardo da mamma innamorata del suo bimbo prodigio. Lo sguardo delle altre invece lo raggelarono.
A chi toccava entrare in casa per recuperare il cellulare con le foto accusatorie? Non alle tre vecchiette affrante, non alla nipote così buona ma fragile: nessuna di loro meritava di trovarsi davanti chissà quale orribile e doloroso spettacolo. Dopotutto lui e sua madre avevano lo sfratto e l’idea di andare a vivere tutti nell’appartamento con il terrazzo, con la vista sulla vallata e con tre donnette pronte a coccolarlo non era così male. Non c’era nessun dubbio: entrare in casa toccava a lui!
Chissà cosa provava un gladiatore prima di entrare nell’arena… Questa fu una delle mille similitudini storiche che passarono velocemente nella mente del professore, poi con la mano tremante infilò la chiave nella serratura, aprì lentamente il portone ed entrò.

Quando Riccardino uscì dalla villetta alle donne colpì il pallore sul suo viso, e lo sguardo vitreo mentre come un automa si sedeva sulla panca. Teneva in mano il cellulare di Clotilde e lo stringeva come se avesse paura di vederlo volare via. Marilù gli si avvicinò, lo accarezzò su una guancia sulla quale posò un bacio delicato, gli sfilo il cellulare dalle dita poi, senza indugiare, si diresse alla fila di pioppi, alzò il braccio e lo lanciò verso il laghetto, e quello volò davvero, e poi cadde con un tuffo. Lì sarebbe rimasto per sempre.
***

Il commissario Barettoni si lisciva i baffi dopo aver sorseggiato la sua birra fresca. Era seduto al tavolino del bar, di fronte a lui c’erano il dottor Bonomo e il parroco don Ciccillo.
«Voi capite commissario che per me vige la legge del confessionale» chiariva il sacerdote con una certa apprensione.
«Per carità se voglio indurvi a peccare! Vi sto chiedendo soltanto un parere, diciamo che mi interessano le sensazioni, pure le chiacchiere vanno bene.»
«Brave donne!» rispose allora il prelato riprendendo fiato e dopo aver anche lui sorseggiato una birra. «La povera Marisetta, fa parte del gruppo dei cooperatori di pace, qualche giorno prima aveva perso il marito. Povera donna, una tragedia proprio davanti la tomba di san Pio» e si fece il segno della croce: «Ubaldina invece, la chiamano Nena, ha cresciuto quel figlio da sola, lavorando come un mulo, facendolo studiare e tenendolo sempre sulla retta via. Onorina è forse la più vivace, e pure la più giovane, credo non arrivi agli ottanta. Ecco lei ha un po’ la lingua lunga, e pure la voglia di impicciarsi di tutto, ma non è da incriminare…»
«Don Ciccillo, io non intendo incriminare nessuno!» esclamò il commissario.
«L’unica che mi è sempre sfuggita è proprio la defunta. Lei si è sempre tenuta lontana dall’acqua benedetta, ma oltre a questo niente da dire.»
«A proposito della defunta» intervenne il dottor Bonomo con il suo accento siculo «lei capirà che anche io tenuto al segreto sono!»
«Dottore caro, niente di ufficiale. Se vi ho invitati qui è per offrirvi una birra e per farvi partecipi della mia sensazione su questa vicenda, perché c’è qualcosa che non mi quadra. Seguite per un attimo il mio ragionamento: quelle donne se la passavano male, tutte e tre riscuotono delle pensioni da fame. Poi scompare la Clotilde e, guarda un po’, una blocca il procedimento di sfratto, l’altra si toglie i debiti che le ha lasciato il marito e la terza se ne va una settimana a fare le cure termali, a Ponza. Non vi sembra strano?»
I due annuirono senza troppa convinzione.
«Quello che posso dire, a proposito della defunta» riprese il dottore «secondo il referto autoptico la morte avvenne per le condizioni precarie della signora. Morte naturale dovuta a più patologie, e tutte infauste. Immaginate quella povera donna camminare su un sottile filo di lana…»
«Ecco, qualcuno potrebbe averlo tagliato» accennò il commissario.
«Nossignore! Secondo me il filo si ruppe da solo e lei precipitò. Aveva quasi novant’anni, non ce lo dimentichiamo» precisò il medico.
«Appunto! Non vi sembra strano che una anziana, in quelle condizioni, se ne vada da sola e non si sa come a leggere un libro nella sua villetta sul lago, dico “da so la”, senza portarsi nemmeno le medicine?»
«Commissario mio, che le devo dire? Io non ho motivo di dubitare di una morte naturale, poi sta a lei indagare» rispose il medico.
«A volte le persone fanno cose strane» intervenne il sacerdote. «Ho dato l’estrema unzione a persone che fingevano di essere moribonde, e che poi hanno vissuto altri dieci anni. Ho visto ragazzi ammazzarsi per una dose. Forse la poveretta non ci stava più tanto con la testa.»
«No questo no! L’ultima volta che l’ho visitata la testa era l’unica cosa che le funzionava bene; mizzica se funzionava!» intervenne il dottore con convinzione.
«Poi spunta fuori una nipote…» i due non risposero, impegnati a sorseggiare la birra, allora il commissario continuò: «Spunta fuori così… Poi il cellulare che non si trova.»
«Commisà, poi, poi, lei è abituato a vedere trame e intrighi, ha a che fare con i delinquenti e la capisco, ma la signora le assicuro che non è stata avvelenata, o soffocata o altro: per me morte naturale fù!»
«Non se ne rammarichi, se ne faccia una ragione» lo rassicurò Ciccillo battendogli una mano sulla spalla. «Commissario mio, le persone muoiono» con un’espressione rassegnata «muoiono, e quasi sempre senza il nostro aiuto.»
***
Era proprio bello il balcone di Clò, specialmente le sere d’estate.
Era bello fare tardi fino a quando si spegnevano le luci delle case e si accendevano le stelle.
Era bello immaginare che uno di quei bagliori in cielo altro non era che il luccichio di un bicchiere di cristallo, quello che Clò teneva in mano per brindare con le amiche alla loro amicizia, perché loro lo sapevano, ne erano convinte: lei le aveva perdonate.