Lo specchio, impietoso, rimanda la mia immagine mattutina.
L’aria, pesta ed assonnata, che neppure l’ennesimo caffè riesce a ravvivare.
E, tra le labbra, la prima sigaretta del giorno. Quella che non dovrei fumare.
Esigenza psicologica. Necessità recitativa.
Anche se non c’è un pubblico a guardare.
Nessuno da irretire, con la bravura del mio genio interpretativo.
Nessun testimone. E nessuna testimonianza.
Sta di fatto che piove. Ed il mio umore è tetro.
Immagino la voce possente di un baritono, che sovrasta il tuono.
Si espande, potente e piena, su un mondo alluvionato.
Una lirica drammatica.
Un rimbombo da teatro.
I figuranti in abiti chiari, ed io sola, vestita di nero.
Avanzo verso alla macchina da presa, con una mano premuta sul cuore.
E l’altra, protesa, verso un fatale destino.
Con passo studiato. Attenta agli inciampi.
Che il dramma non tramuti in farsa.
Di rossetto dipingo la bocca.
Col rosso più intenso. Per essere bella.
E, la seconda sigaretta, ha un gusto diverso, serrata tra labbra color di geranio.
Nell’ombra dei capelli sfuma la pesantezza degli occhi.
Pennellate di rimmel e nebuloso kajal. Espedienti da mestierante di talento.
Per accentuare, invece che nascondere, le occhiaie scure di una notte insonne.
Drammatica mascherina introspettiva.
Il mondo esterno si adegua alla recita solitaria, in una penombra mattutina.
La terza sigaretta l’accendo con mani guantate di nero merletto.
La macchina da presa indugia sulle dita di pizzo, che recano la sigaretta alla bocca.
Splendente di umido rosso. Sensuale contrasto, col pallore del collo e del mento.
Un punto di luce, la piccola brace che si dissolve in filo di fumo.
La perfezione è in questo ritaglio di specchio.
In quest’unico fotogramma, semmai fosse, su pellicola impresso.
Mentre fuori, un impenetrabile sipario d’acqua preclude questa stanza al resto del mondo.
Nessun testimone. E nessuna testimonianza.
Avanzo verso la macchina da presa, con una mano premuta sul cuore.
E l’altra, protesa, verso il fatale destino.
Con passo studiato. Attenta agli inciampi.
Che il dramma non tramuti in farsa.
Che i tacchi folli, sui quali cammino, non mi tradiscano nell’ultima scena.