Ho amato, molto, il basket.

L’ho seguito per molti anni, quando ero ragazzina, all’epoca delle mitiche compagini di Simmenthal e Ignis.
Ne seguivo gli incontri sul parquet guardandoli in TV e, molto più raramente, quando qualche rappresentante della pallacanestro nazionale (e magari anche la sua squadra) veniva ospitato al Palazzetto dello sport bolzanino, dove anch’io – sedicenne – per anni mi allenai in quanto membro della neo-nata BCB, Basket Club Bolzano, team di ragazze allora di ancora poca esperienza, ma che negli anni si sarebbe conquistato un ruolo importantissimo nel campionato femminile regionale e non solo.
Ricordo gli allenamenti serali in palestra, sotto la guida di Cesare ed Erika, mentre dall’altoparlante si diffondevano nell’aria le note di Crocodile Rock eseguite da un giovane Elton John già sulla cresta dell’onda.
Ricordo una delle primissime partite disputate sul campo di casa dove incassammo la memorabile sconfitta per 112 a 2, un solo unico canestro!
Ancora oggi sorrido al pensiero di quel ricordo lontano; giocammo contro le temibilissime avversarie prime in classifica e la batosta fu proverbiale, ma non fece comunque venir meno la voglia e l’entusiasmo di giocare!
Continuammo gli allenamenti e le partite per mesi, per anni; e anche quando io dovetti lasciare per altri impegni, continuai a seguire i percorsi di quella mia prima squadra, che si sarebbe poi affermata negli anni nelle prime posizioni del campionato.

Ho amato, molto, il basket.

Lo amo ancora, anche se non lo seguo più, oggi.
L’ho amato e lo amo perché l’ho sempre ritenuto uno sport pulito, corretto, leale, non sofisticabile. Uno sport che nei palazzetti sapeva smuovere le tifoserie, pur con altri numeri, come negli stadi il calcio, ma senza gli aspetti negativi ed esaltati del tifo “da pallone”…
Ecco, allora.
Apprendendo ieri della tragica scomparsa di Kobe Bryant, ho provato un tuffo al cuore. Un dolore sincero, profondo, ma, forse per qualcuno incredibilmente, anche permeato di una sorta di “gratitudine”, per quello che è stato ed ha rappresentato per noi, per il basket italiano e per lo sport in genere, e per la sua grande umanità e affabilità.
Ci mancherà, Kobe, quel gigante buono.
Mi mancherà.
Come gli anni lontani, ormai, di quella mia pallacanestro giovanile che nessuno più, oggi, chiama così…
Il mio pensiero, oggi, va anche in questa direzione, in questa Giornata della Memoria che abbraccia tragedie umane di portate differenti, certo, ma in qualche modo stranamente accomunate, quando si parla di dolore e di tristezza.

Ho amato, molto, il basket…