Apro gli occhi, piano, e per una volta non ci sono rumori esterni ad interrompere la catena del sonno. Credo sia presto. Il caldo è soffocante, ed è un bestio di un solo occhio che mefiticamente alita suda sgomita e ruggisce aumentando la temperatura corporea con l’aumentare del suo respiro, un Ciclope sincrono al cicaleggiare mattutino che emana calore senza poesia.
L’aria è densa come melassa, e sembra prendere corpo, solidificarsi intorno alle gambe e soprattutto nella zona cerebrale, sussurrando frasi dolci ed improprie come

Rimani A Letto, Gabba
Fuori E’ Troppo Caldo, Gabba
Sei Sicuro Di Doverlo Fare, Gabba
Potresti Farti Male, Gabba

che continuano a scorrere come una Pubblicità Regresso per volontà indebolite.

Io lo so. So cosa sono. Sono le dannate Sirene. Fanno parte della stessa storia del polifemico caldo, credo. Cantano con voci di miele e ambrosia e ti ingannano facendoti desiderare quello che non vuoi. Non ho cera d’api a portata di mano come Odisseo, e non sono furbo come lui. Vediamo se riesco a sconfiggere il canto delle Sirene da solo, senza tappi per le orecchie o corrispondenti palliativi digitali.
Mi alzo. Mi giro. Le Sirene sono ancora lì.

Puoi Farlo Domani, Gabba
L’Ora E’ Troppo Tarda, Gabba
Risparmia Le Forze, Gabba
Ritorna A Letto Con Noi, Gabba

Decido di ignorarle, le Signore. Vado al computer, faccio la mia playlist per la corsetta di stamattina. Compongo la prima ora. Mi dico che potrei fare di più, oggi. Aggiungo un’altra mezz’ora. Mi dico che potrei anche far di meno, oggi. Vedremo. Il mondo è bello perché è vario.

L’obiettivo della corsa è il Parchetto della Cellulosa, l’unica oasi di verde in questo ammasso di case, asfalto, zoticume vario, e padroni di cani incontinenti quanto gli stessi cani. Si. Ho deciso. Parco della Cellulosa sarà.

Checklist e vestizione:

  1. Scarpette da sterrato
  2. RunKeeper attivato
  3. Playlist double and triple checked
  4. Cappello anticollasso solare
  5. Dito medio basculante per le Sirene

che, vista la mia ostinazione, trasformano il loro canto zuccherino in un lungo e limaccioso lamento di lagrime. Ciao Signore care, io vado, ci vediamo al ritorno, e se non ci vediamo dipenderà da voi, spero.

Esco, e prima di iniziare al Parco faccio un breve riscaldamento, per passare poi alla fase attiva.

Chilometro 0
Inizio piano, ringraziando deità esistenti e non di aver preservato questa piccola area di verde: il profumo degli alberi e l’odore di terra battuta dal sole è un incentivo a far di meglio. I Porcupine Tree cantano Lips of Ashes e Gravity Eyelids, e mi ricordano di respirare correttamente tenendo il giusto passo.
Chilometro 2
La temperatura sembra innalzarsi, e forse non è solo una mia impressione. Il Parchetto è frequentato da persone di tutte le età che corrono, camminano, passeggiano, riflettono. qualcuno chiacchera. Continuano i Porcupine Tree con Revenant, Mellotron Scratch, Buying New Soul. In genere ascolto musica ad alto potenziale, ma oggi il segmento introspettivo è dominante, almeno per i primi chilometri.
Chilometro 4
La playlist sale un po’ di volume, parte Anesthetize. Dietro di me percepisco qualcuno. Il mio istinto è di voltarmi e vedere chi è, ma resisto alla tentazione. Potrebbe essere il Sensei ritornato di soppiatto dal Canada. Sento anche un passo strano, come di zoccoli. Allargo le narici cercando di percepire eventuali suffumigi sulfurei e odore di ferro rovente. E se fosse il diavolo? Non ho preparato nessun discorso, o scuse finali di prammatica. Penso: meglio mi porti via mentre corro che in altre situazioni sconvenienti. Così come apparso, lo zoccolìo si allontana e scompare. Non era la mia ora.
Chilometro 6
La scomparsa di entità diavolesche subterrene mi fa concentrare di nuovo sul passo e sulla musica, che ora ritorna al giusto livello di adrenalina. Partono gli Opeth con una lancinante Wreath, e inizio a sentire meno caldo e fatica. La voce di Akerfeldt mi spinge ad andare avanti.
Chilometro 8
Continuano gli Opeth con Deliverance che entra come una lama nelle viscere. Vedo una piccola ombra bianca dietro di me. Immagino che sia un angelo, se ho percepito il diavolo posso ben percepire le entità di opposta fazione. E’ una farfalla, candida, le cui ali brillano al sole. Sorrido e mi sento stupido.
Chilometro 10
Mi avvicino alla conclusione della sessione, iniziano gli Staind con Price To Play e (guarda il caso) Run Away. Vedo un anziano davanti a me che si ferma, respira, si guarda intorno, e poi ricomincia a correre. Mi piace. Se lo fa lui posso farlo anch’io. Continuo.
Chilometro 12
E’ ora di tornare a casa, correndo. Affronto l’ultima – e terribile – salita che mi porta alla via di casa. Sono curioso di vedere se le Signore sono andate via o sono rimaste incollate ai piedi del letto come vedove piangenti.

Apro la porta di casa, e vado diritto dalle Sirene con una certa sicumera, pettoinfuoriepanciaindentro, sperando di poter dire loro “Avete visto, non ha funzionato!”, magari con un forte e colorito accento locale.
Nisba.
Non ci sono.
Non vi preoccupate, ritorneranno ogni mattina e ogni volta ricominceranno il loro canto. E’ nella natura delle cose. Così come è nella nostra natura cercare di farle sparire, con i tappi di cera o con quella cosa strana che abbiamo dentro e ci fa muovere, forse goffamente, verso un luogo dove il canto delle Sirene continua ad essere percepito, ma è troppo lontano per farci del male.
(Musica finale: “Ending Credits” degli Opeth. Ascoltatela.)