Franco arrivò davanti al Liceo che mancavano ancora 15 minuti al suono della campanella, che avrebbe segnato l’inizio del nuovo anno scolastico. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta optando per il classico e non riusciva a pensare al vero motivo che loaveva indotto a questa scelta. Ma in realtà lo sapeva benissimo e ne conosceva nome e cognome e professione: Nicola Borgia, insegnante di latino alla scuola media Giulio
Cesare. Franco era arrivato alla Giulio Cesare da una scuola di periferia per frequentare il terzo anno e il professore, già dopo il primo compito in classe di latino, aveva incominciato a mettere in dubbio la media del nove nella materia riportata sulle pagelle dei due anni precedenti. Alla fine dell’anno si era dovuto ricredere, ma aveva indicato lo scientifico come indirizzo che Franco avrebbe dovuto seguire nel prosieguo dei suoi studi. Questo era stato il motivo per cui aveva optato per il classico. Ma non era una scelta non
ponderata che lo preoccupava mentre varcava il portone del Classico, quanto la considerazione della tipologia degli studenti che frequentavano quell’Istituto: figli di professionisti, di imprenditori e anche di onorevoli e di nobili, come avrebbe scoperto tra pochi minuti. Cosa ci faceva lì lui figlio di un operaio? E le ragazze poi, tutte eleganti, sofisticate, tutte belle, persino quelle con gli occhiali e con i brufoli, che possibilità avrebbe avuto che una di loro accettasse un suo invito ad uscire per un film o per una pizza?
Il suono della campanella lo distolse dai suoi pensieri, che però rimasero lì in background a guidarlo verso l’ultimo banco dell’aula, come per evitare di essere notato, quasi a nascondere il suo stato sociale. Sandro andò a sedersi accanto a lui, ragazzo simpatico Sandro, dal sorriso aperto e sincero, “alla mano” nonostante fosse figlio di un magistrato; rotondetto nel fisico, con un paio di occhiali e traslato in tempi più recenti, si sarebbe potuto definire un nerd.
Passarono i mesi e Franco sembrò dimenticare i timori del primo giorno di scuola, anche perché la sua abilità nel tradurre le versioni dal latino era ormai acclarata e gli valeva gli occhi dolci delle compagne di classe nei giorni del compito in classe, anche se poi tutto rientrava nella normalità con la consegna del compito stesso. Ma questo in fondo non lo toccava più di tanto ed anzi ci scherzava su con Sandro, anche lui veramente bravo in latino, forse, anzi sicuramente, perché non c’era Jenny tra quelle che gli facevano gli occhi dolci. Jenny era tra le più belle della classe, la più bella secondo Franco, con quel suo corpo flessuoso da atleta, i capelli di un nero incredibile tagliati a caschetto, due occhi verde chiaro capaci di uno sguardo intenso e dai significati indecifrabili, che Franco non riusciva a sostenere, forse per il timore che lei potessero leggere il suo turbamento ed il suo desiderio. La cercava sempre con lo sguardo laggiù al primo banco, perdendosi in quel caschetto nero, ma non aveva mai osato, durante la ricreazione, parlarle di qualcosa che non fosse materia scolastica e poi, perché farlo: si diceva che lei uscisse con un ragazzo dell’ultimo anno, quello che veniva a scuola in macchina e correva i 100 piani in 10”.

Passarono gli anni del Ginnasio e gli studenti della sezione A approdarono compatti al primo anno del liceo, quello che li qualificava liceali di fatto. Poco era successo in quei 2 anni se non il rinsaldarsi di amicizie, la nascita e la fine di relazioni, il consolidarsi di ruoli nell’ambito della classe. Franco aveva aggiunto a quello del “latinista” anche quello di apprezzato atleta, per i risultati raggiunti nelle gare studentesche, ma soprattutto perché si erano sparse le voci sulla sua abilità come centravanti della squadra giovanile in cui militava. Non si era illuso più di tanto per la sensazione che Jenny ora lo guardasse con
altri occhi, anche se gli era persino sembrato di vederla sugli spalti quel giorno che aveva
portato la sua squadra alla vittoria con una doppietta, ma si era guardato bene dall’accennarglielo.
Approdare al liceo significava anche essere coinvolto nelle “faccende” dell’Istituto, tra le quali quella più sentita era la rivalità con lo Scientifico, che trovava il suo apice nell’annuale torneo di calcio tra gli istituti di istruzione superiore. Il Classico non era mai riuscito a battere lo Scientifico, poteva solo vantare un pareggio, che però non era servito a sopire gli sfottò da parte di quelli dello Scientifico. Franco fu chiamato a far parte della squadra dell’istituto e scoprì così, cosa ciò effettivamente comportasse, nonostante che il Preside, nel salutare i giocatori all’atto della formazione della squadra e per dare l’avvio alla preparazione in vista del torneo, avesse tenuto a sottolineare come non dovessero
sentirsi dei privilegiati e che non avrebbero dovuto contare su alcun trattamento di riguardo da parte del corpo insegnanti. Ed infatti da parte del corpo insegnanti si notò subito una certa attenzione nell’evitare di interrogare i giocatori prima e dopo gli allenamenti, per non turbarne la tranquillità, tranquillità che invece riceveva un serio colpo da parte delle attenzioni che le tifose riservavano ai giocatori, dai sorrisi ed i calorosi ciao quando li incrociavano nei corridoi, agli entusiasti incitamenti da cheerleaders durante gli allenamenti che si svolgevano durante le ore di educazione fisica, per finire nelle richieste
di informazioni personali durante le chiacchierate alla ricreazione. Così Franco, oltre ad approfondire la conoscenza con le sue compagne di classe (tranne Jenny naturalmente che si limitò solo a qualche saluto leggermente più caloroso), fece la conoscenza con ragazze dell’altra sezione, tra le quali Silvana, quella arrivata da Genova all’inizio dell’anno, quella bionda, carina, dai grandi occhi marroni. Con lei Franco aveva chiacchierato più di una volta e gli piaceva ascoltare dei suoi progetti sul futuro, non chiedendosi però del perché lei gliene parlasse quelle volte che, al termine delle lezioni, percorrevano insieme la strada verso casa, dato che abitavano nello stesso quartiere.
Si arrivò così alla data di inizio del torneo e, come era prevedibile, in finale arrivarono il Classico e lo Scientifico. A mano a mano che il giorno dell’incontro si avvicinava la tensione cresceva, come gli sfottò tra i tifosi che, più di una volta, rischiarono persino di venire alle mani. Il sabato pomeriggio della finale era una bella giornata di sole. Franco si sentiva carico uscendo dagli spogliatoi dello stadio comunale, concesso per l’occasione dalle autorità cittadine. Diede uno sguardo al settore riservato al Classico ed intravide il caschetto nero di Jenny, circondata come al solito da una schiera di cavalier serventi e, poco più in alto, seduta tra le sue compagne di classe, c’era Silvana che, avvertendo il suo
sguardo, lo salutò agitando la mano.

Al fischio d’inizio i rossi dello Scientifico si proiettarono subito in avanti, pressando i bianchi del Classico sin ai limiti della loro area, concedendo loro poco spazio per impostare una azione offensiva e costringendoli così a difendersi. I bianchi andarono vicini un paio di volte a capitolare, soprattutto verso la metà del primo tempo quando il 10 dei rossi, un vero demonio veloce e sgusciante, dopo aver fatto fuori due difensori bianchi, centrò in pieno la traversa con un gran tiro dal limite dell’area. I bianchi, dal canto loro, dopo aver fatto sfuriare i rossi, riuscirono ad impostare qualche azione offensiva che ebbe,
come miglior risultato un colpo di testa del loro centravanti, imbeccato da un cross millimetrico di Franco, finito fuori appena di poco alla destra del portiere. Franco era stato schierato all’ala sinistra benché il suo impiego più ovvio sarebbe stato al centro dell’attacco, ma quel posto era riservato al figlio dell’onorevole, per ovvi motivi, anche se in fondo Sergio non era proprio una schiappa. Si era sul finire del primo tempo quando una palla, malamente persa a centro campo, arrivò sui piedi del 10 rosso che partì in quarta lasciando sul posto il suo marcatore, dribblò il libero che gli si era fatto incontro e depositò
la palla in rete dopo aver aggirato il portiere. Gli spalti del settore dello Scientifico
esplosero in grida di giubilo frammiste ad osanna per l’autore del gol e canti di sfottò per la
parte avversa.
Alla fine del primo tempo, negli spogliatoi del Classico l’aria non era affatto allegra: “siamo alle solite, ancora un’altra sconfitta, ma cosa farci sono più forti di noi, non ce la faremo mai”. Poi il professore di ginnastica, che fungeva da allenatore, chiamò i giocatori intorno a sé e disse poche semplici parole: “Non è vero che sono più forti di noi! Credono solo di esserlo e, quello che è peggio, lo crediamo anche noi! Ora pensate di essere voi i più forti, tornate in campo e vincete la partita o, almeno, cercate di farlo”.
Forse furono quelle parole o il fatto che ai rossi cominciavano a venir meno le energie dopo un primo tempo a ritmi elevati, ma sta di fatto che il secondo tempo apparve sin dall’inizio più equilibrato. I bianchi rispondevano colpo su colpo agli attacchi dei rossi, andavano più decisi ai contrasti, riconquistando così più palloni per lanciarsi in veloci e pericolosi contropiede. Fu proprio in una di queste circostanze, verso la metà del secondo tempo, che l’8 dei bianchi, riconquistata la palla a centro campo, la allungò a Franco. I due iniziarono a scambiarsi rapidamente la palla mentre procedevano velocemente verso l’area avversaria, evitando così che i difensori riuscissero ad intervenire, Al limite dell’area Franco finse di ripassare la palla all’8 e si spostò invece verso sinistra entrando in area e superò il portiere in uscita con un diagonale che si insaccò vicino al palo opposto.
Fu il settore del Classico ad esplodere questa volta per il pareggio raggiunto e Franco fu sommerso dagli abbracci dei compagni mentre poteva chiaramente udire il suo nome scandito sugli spalti. Alla ripresa del gioco i rossi dimostrarono di aver accusato il colpo ed i bianchi incominciarono a credere nell’impresa. Mancavano ormai pochi minuti alla fine dell’incontro quando accadde il miracolo. L’ennesimo pallone recuperato a centro campo fu lanciato verso Franco che gli corse incontro seguito dal suo marcatore, ma, all’ultimo momento, lasciò che il pallone proseguisse tra le sue gambe mentre lui invertiva la corsa
aggirando sul lato il difensore, che rimase di sasso sul posto. Franco galoppò veloce lungo la fascia laterale, guardando con la coda dell’occhio cosa accadeva in area di rigore.
Nell’accentrarsi notò che gli altri difensori erano schierati sul limite dell’area, ma notò anche che il portiere si era spostato di qualche metro in avanti per poter più facilmente prendere il suo cross. Ma Franco lasciò partire un pallonetto che scavalcò il portiere e si infilò in rete proprio sotto l’incrocio dei pali.
Quello che successe sugli spalti è facilmente immaginabile e le urla e le acclamazioni crebbero di intensità quando il triplice fischio dell’arbitro decretò la prima vittoria del Classico. Franco era fuori di sé dalla gioia e fu lui, eroe della giornata, a portare in giro per il campo la coppa, seguito dai suoi compagni di squadra.
Quando uscirono dagli spogliatoi Franco e compagni trovarono tutti i loro colleghi d’istituto ad attenderli. Furono circondati, abbracciati, baciati, strattonati, resi sordi da urla assordanti, osannati per la vittoria ottenuta. Quando la folla si diradò Franco si ritrovò di fronte Jenny che lo guardava con la testa reclinata su un lato e con quel sorriso che aveva sognato tante volte che lei gli riservasse. “Sei stato grande” gli disse abbracciandolo ed inebriandolo col suo profumo, “ma non avevo mai dubitato che tu lo fossi! Stasera ti
voglio come ospite d’onore alla festa a casa mia!” gli sussurrò intrigante nell’orecchio.
A Franco venne in mente quello che gli diceva sua nonna a proposito di chi non ti aveva riservato alcuna attenzione per tanto tempo e all’improvviso ti sommergeva di complimenti: “quando il diavolo ti accarezza, vuole l’anima”. E lui ci teneva alla propria anima!
“Mi spiace” disse sorridendo “ma questa sera ho un impegno! Sarà per un’altra volta!” Si voltò e si diresse verso il gruppo di ragazze dove era Silvana. Senza dire una parola le prese la mano ed insieme si incamminarono verso la fermata dell’autobus. Franco non sapeva come sarebbe andata a finire, ma di una cosa era certo: la sua anima non era sicuramente a rischio!