Avete presente The Happy Owl? Sì, il famoso rock pub di Ravenna. Suono lì i martedì sera, e c’è sempre, sempre il pienone.

Vi racconto come tutto è iniziato…

Il negozio di giocattoli aveva uno scaffale pieno di gufi multicolore.

Non potevo andarmene senza prenderne uno con me, per mia figlia Martina, amore della mia vita… e cosi ho allungato la mano verso il gufo gial… no ross… no aranc… uff non riuscivo proprio a scegliere.

«Blu, vada per il blu».

Sono andato per avvolgere il gufetto prescelto nella mia mano ancora incerta e…

«No, no ti prego non portarmi via dai miei fratelli, ti imploro!».

«Ci risiamo, dopo il leone psicanalista, ora sento la voce del gufetto blu. Cavolo però, quello era un essere vivente almeno! Dannazione».

«Qua se c’è qualcuno che può permettersi di dare in escandescenza, sono io. Intanto semmai chiamami Gufetta. Ora solo perché mi vedi blu hai tratto la tua illuminata deduzione che io sia di genere maschile…».

«… Alt alt alt mi ha convinto! E chi ti sopporta per tutto il viaggio così saputella…, prenderò uno dei tuoi fratelli».

Mi sono poi accorto che pochi metri più in là una bambina fulva con le trecce e gli occhiali dalla montatura viola mi stava guardando con un’aria di saccente commiserazione.

Le ho sorriso imbarazzato. Lei si è avvicinata ed è andata per prendere il gufetto giallo, che in effetti si sarebbe intonato perfettamente con la sua capigliatura.

«Nooo, nooo non permetterlo, non permetterlo, aiutaci ti prego, solo tu puoi sentirci, noi facciamo tutti parte della stessa nidiata. Siamo cresciuti insieme, siamo una sola cosa. Il nostro pensiero è condiviso. Hai presente i borg?… Cioè non hai mai visto Star Trek? …le formiche, hai presente le formiche?».

Per essere più convincenti circa questa assurda affermazione, i gufetti hanno iniziato ad intonare a cappella Bohemian Rapsody dei Queen.

E devo ammetterlo, l’armonia era talmente ben orchestrata che la storia dei borg stava iniziando a sembrarmi plausibile.

Con fare circospetto ho sussurrato «… Ok, ammettendo che sia vero, cosa posso fare per evitare che…».

Gufetta aveva gli occhi pieni di lacrime che solo io potevo vedere – io e i suoi centoventitré fratelli ovviamente.

Non ce l’ho fatta. Quando una donna piange, anche se trattasi di balocco volatile, io non resisto.

Ho così improvvisato una scarica di tosse finta, cercando di essere davvero credibile, e anche vagamente allarmante, deciso com’ero a solleticare le antenne materne della bambina.

Come avevo immaginato la versione cresciuta e senza trecce della piccola inquisitrice, alias l’agitata genitrice, si palesava e trascinava via la piccola, che costretta a mollare il giallo bottino mi lanciava l’ennesimo sguardo di circospetto diniego.

Per il momento l’avevamo scampata. Fiuu! Ma dovevo trovare una strategia più definitiva.

123 x 10. Milleduecentotrentatré Euro… Praticamente il mio stipendio di un mese come cameriere al lido. Acquistando in blocco, mi dicevo, avrei potuto ottenere uno sconto… No, non era una opzione. Martina ne sarebbe stata forse felice? No, era una follia, non avrebbe approvato neanche lei.

«Accidenti un altro bambino… no, è un maschio, non mostra alcun interesse per i gufetti.».

«Con chi parli?» mi fece Gufetta.

«Ma. Che domanda? Con voi!».

«Ti ricordo che siamo degli oggetti. Dei giocattoli per la gente normale, quindi evita di farti sentire mentre parli con noi!».

Gufetta non aveva tutti i torti, mostrava anzi un certo raziocinio, nonostante lo spavanto. Ma ogni volta che nelle successive due ore qualcuno si avvicinava sentivo i coloratissimi pelouche tremare all’unisono. Ed io imprecavo mentre cercavo di farmi venire idee, che per la miseria non venivano, per risolvere l’incresciosa questione.

Nel mentre tergiversavo come potevo: quando ho finto attacchi epilettici, quando ho starnutito addosso ai gufetti rendendoli poco attraenti per i testimoni e potenziali acquirenti, quando mi sono messo a giocare da solo ad un, due, tre stella nel corridoio dove erano disposti i miei nuovi amici… I quali, poverini, accettavano le più strambe angherie, consapevoli che lo stavo facendo per il loro bene.

La tattica funzionò, la gente si tiene alla larga dalle persone borderline come me. O meglio come fingevo di essere… sì… fingevo…

Nei momenti di tranquillità, per ingannare il tempo, i gufetti si prodigavano in eccellenti esibizioni corali di repertorio variegato. Diversi brani degli Abba, How deep is your love dei Bee gees, addirittura The wall dei Pink floyd. Qualcosa dei Beach boys, persino brani tratti da opere di Puccini, non chiedetemi quali che non sono esperto del genere, e poi diversi pezzi di musical degni della ribalta di Broadway. Piansi quando intonarono in modo assolutamente toccante Memories da Cats.

La loro indubbia passione per la musica mi suggerì la soluzione.

Dovete sapere che prima di disintossicarmi dal vino e dal gioco ho tagliato i ponti con uno dei miei più cari amici di sempre, il Biondo. Si era rifiutato di farmi l’ennesimo prestito. Ed io, nell’assoluto stato di abbrutimento cognitivo in cui mi trovavo, non volevo intendere, come lui asseriva, che fosse anche per il mio bene.

Facile a dirsi per il Biondo. Bello come il sole, nessun vizio, una moglie che lasciamo stare… avete presente Natalie Portman? In meglio.

Invece Mister Perfezione, altro meritato nomignolo del mio amico,  è stato uno dei pochi esseri umani che mi hanno sempre voluto bene…

Avevo sentito dire che il Biondo, che fino a poco tempo prima se ne andava girando il mondo con la sua sposa in cerca della prossima onda perfetta da cavalcare con la tavola da surf, avesse deciso finalmente di mettere su famiglia e diventare stanziale.

Era quindi giunto il momento di riprendere le fila di un’amicizia che non sarebbe mai dovuta finire.

Mi tremavano le dita, ma questa volta finii di comporlo davvero quel maledetto numero… Quando al quarto squillo mi rispose, la sua voce era quasi rotta da un nodo in gola, e capii che gli ero mancato.

«Ciao Biondo, ho sentito che alla fine lo hai preso in gestione il locale che abbiamo visto insieme. No, cioè certo, sì che suoneremo insieme lì come sognavamo… sono pronto».

E già piangevo a dirotto. E anche lui.

Poi continuai «Ma non è per questo che ti sto chiamando, cioè sì anche per questo, ma non solo… ti chiedo di fare un investimento, circa mille Euro, e servono subito, ma sono certo che si tratta di un affare che ti porterà fortuna… e… » .

E lui di punto in bianco mi fermò «Ho sentito che ti sei ripulito, e mi fido. Sono felice che tu sia tornato ad essere un padre degno per Martina».

Ero commosso e riuscii solo ad aggiungere «…Mettiamola così, i tuoi soldi, quello che acquisterò è il mio regalo. Una specie di augurio. Dovrai trovare un posto speciale per esporre il mio dono, un posto dove la musica si sente particolarmente bene, meglio se vicino al palco.

Ripagherò il tuo anticipo: non dovrai darmi neanche un centesimo quando suonerò… suoneremo al …ecco il locale, ora lo so, dovresti chiamarlo The Happy Owls».