In pochi istanti il sole era sceso ad incendiare la savana.

Lo spettacolo del tramonto africano  era entrato nel cuore di Leonard durante la sua prima visita nel continente, durante il suo viaggio di nozze in Kenya. Allora ogni cosa lo stupiva, tutto gli sembrava grande, immenso, ma in realtà era lui che non sapeva guardare.
L’Africa non si rivolge agli uomini né tantomeno ai turisti. L’Africa è indifferente.

La jeep correva sulla pista di terra battuta, facendo lunghi salti sulle innumerevoli asperità. L’autista, un ragazzo cresciuto nella colonia di Don Luiss, sembrava divertirsi ad ogni scossone, ma Leonard bestemmiava sottovoce, tenendo ben saldo in mano il suo 689 Gold Sable. Quegli imbecilli  di turisti avevano riso, vedendo la sua arma, apparentemente antiquata, ma lui sapeva bene quanto fosse importante l’affidabilità dei fucili in quei luoghi, l’aveva sperimentato sulla propria pelle innumerevoli volte, durante i suoi lunghi anni in Africa. Leonard non era un cacciatore, non avrebbe mai ucciso un animale per divertimento, ma gli era capitato di doverlo fare per nutrirsi, quando il suo gruppo di mercenari aveva dovuto fare lunghe marce di trasferimento in territori desolati, e anche per difendersi, quando dietro le gazzelle c’erano i leoni, e il loro ruggito nell’oscurità della notte faceva tremare anche i cuori più forti. Lui sapeva bene quale fosse il potere raggelante di quel suono tremendo, che sembrava penetrare nello stomaco, dentro le ossa, fino a far tremare le gambe anche dentro un mezzo blindato, figurarsi in una tenda di tela.
Per questo ammirava senza riserve i guerrieri Masai, che nei loro riti di iniziazione affrontavano la belva armati soltanto di una lancia e uno scudo, e spesso non ne uscivano vincitori. Altri uomini, nati per vivere a contatto di quella natura selvaggia, dei suoi colori forti e violenti, dei suoi odori inebrianti che prendevano alla gola, uomini capaci di fissare la morte in volto senza paura.

Guardò i suoi compagni di safari: allegri, chiassosi, eccitati di andare a fare il tiro al bersaglio su dei poveri animali indifesi, spinti dai battitori davanti a loro e protetti dai cacciatori di professione. Lui era stato assunto solo come ulteriore protezione, ma sapeva bene che il suo contratto era un atto di pietà del capo dell’agenzia, il maggiore Grossman, che un tempo era stato  suo compagno di battaglione, durante alcune delle tante campagne a cui aveva partecipato. Mentre lui spendeva i suoi soldi al gioco e con le donne, Grossman aveva messo in piedi quell’attività, sempre in bilico tra la legalità e la malavita, che prosperava per i soldi dei ricchi turisti in cerca di emozioni e sopravviveva grazie alle grosse tangenti pagate ai politici in auge al momento.
Quando aveva saputo che il suo vecchio compagno era in cerca di un lavoro per pagarsi il trasferimento al sud, il maggiore gli aveva proposto quell’incarico inutile ma abbastanza ben renumerato: in pratica doveva fare la parte del vecchio coloniale africano, duro e carico di mille esperienze. Niente di più di un attore, e i turisti lo sapevano, così come credevano che tutto quello che vedevano intorno a loro fosse finto, come le feste sulle navi da crociera.
Non era vero: l’Africa conservava i suoi misteri, che non erano cambiati di molto negli ultimi cinquant’anni, ma era indifferente alle ambasce del genere umano.
Almerno, lo era finché voleva esserlo.

Leonard si avvicinò senza dare nell’occhio  a Schneider, il tedesco che era a capo della piccola spedizione.

«Ehi, Rudolph», disse sottovoce, «dì al ragazzo di rallentare».
«Stai tranquillo» rispose l’altro, «conosce questa strada».
L’ex mercenario fece una smorfia:
«La conoscerà pure, ma corre vicino al fiume, ed è tardi. Gli animali verranno ad abbeverarsi, c’è il pericolo di trovarsene qualcuno tra i piedi. Non capisco tutta questa fretta».
Schneider si voltò verso di lui;
«Siediti tranquillo e non interferire, Leonard. So perché sei qui, lasciaci lavorare!»

Offeso, Leonard, si alzò e si spostò sul fondo del fuoristrada, sedendosi sul lato che dava a mezzacosta. Quasi avesse sentito la conversazione, l’autista accelerò ancora.
«Dai, che saremo al campo per le nove!» urlò.
«Bene!» disse uno dei turisti, «così non ci perderemo il Superbowl!»
‘Ecco qual era l’urgenza!’ pensò Leonard, sempre più contrariato, stringendo forte il suo fucile mentre gli scossoni si facevano ancora più violenti.

Fu dietro una curva che accadde l’inevitabile: un rinoceronte che stava attraversando la strada per raggiungere il fiume si parò improvvisamente davanti alla vettura.
«Cristo!» urlò il ragazzo alla guida, sterzando bruscamente verso destra per evitare il pachiderma, che proseguiva imperterrito per la sua strada. La jeep si alzò su due ruote, sbandando paurosamente, ma riuscì ad evitare l’urto micidiale. Ricadendo a terra, però, a causa dell’alta velocità innescò una serie di sbandate a destra e a sinistra che terminarono solo quando la macchina uscì di strada per andarsi a rovesciare su un fianco nella piccola scarpata a sinistra della pista.

Leonard, che aveva intuito quello che stava per succedere quando aveva intravisto la sagoma del rinoceronte spuntare dalla vegetazione, si era lasciato rotolare a terra in un punto dove l’erba secca della savana era più alta, ruzzolando un paio di volte e rialzandosi illeso, ma gli altri non ebbero la stessa fortuna: sballottati dagli urti e senza cinture di sicurezza, erano tutti più o meno feriti, anche se nessuno sembrava aver persa conoscenza.
I più gravi sembravano Schneider, che aveva una frattura esposta alla gamba sinistra, e una delle turiste che aveva urtato violentemente la testa contro un montante della macchina e sanguinava abbondantemente.
Tutti erano sotto choc.
Come prima cosa Leonard si accertò che il pachiderma si fosse allontanato, poi cominciò ad estrarre i feriti dalla vettura facendo attenzione a non procurare ulteriori danni. Per fortuna nessuno sembrava aver avuto lesioni alla colonna vertebrale. Aperta la valigetta del pronto soccorso, prese del disinfettante e delle garze con cui cominciò a tamponare la ferita alla testa della donna, poi costrinse uno dei suoi accompagnatori a sostituirlo e si occupò della gamba del tedesco. Tagliò i pantaloni per mettere allo scoperto la ferita e vide l’osso tibiale che fuoriusciva dalla pelle. Il volto dell’uomo era pallidissimo, ma il versamento sanquigno non era particolarmente grave.

«Mi dispiace ma dovrò farti male» disse, «devo riallineare la gamba prima di steccarla».
L’altro lo guardò stringendo i denti.
«Dai!»
Leonard cercò con gli occhi l’autista, che stava rabbrividendo rannicchiato in un angolo.
«Tu!» urlò, «vieni qui ad aiutarmi!».
Il ragazzo lo guardò spaurito, ma si alzò e si diresse verso di loro.
«Tienilo per le braccia, così» disse Leonard, facendogli vedere come effettuare la presa, «forte!».
Poi andò verso i piedi del tedesco, prese il sinistro tra le mani, fece un cenno al ragazzo e diede un brusco strattone.
Schneider diede un urlo e si accasciò, semisvenuto.
«Ecco, adesso è a posto, possiamo bloccarla. Non stare lì impalato, passami la cassetta!»
Contento di poter lasciare le braccia del ferito, il ragazzo corse a prendere la valigetta del pronto soccorso.

«Ecco!» disse, porgendogliela.

Leonard prese il disinfettante e lo sparse copiosamente sulla ferita, poi finì di pulirla con una garza, prese due stecche di plastica e immobilizzò la gamba del tedesco con parecchi giri di benda.

«Non gli diamo un calmante per il dolore?» chiese uno dei turisti, che si era avvicinato per vedere l’operazione.
«Lei è un medico?»
«No, dicevo solo…»
«Allora stia da parte per favore!»
Poi, pentendosi per essere stato troppo brusco,  spiegò:
«Se gli faccio un’iniezione di morfina sarà fuori combattimento, e non possiamo permetterci di avere un peso morto».
«Non possiamo…?»
Leonard si alzò in piedi:
«Siamo bloccati vicino ad un fiume, a quasi quaranta chilometri dal campo, in una zona dove i cellulari non prendono».
«Ma… non vedendoci arrivare verranno a cercarci!»
«E chi? Fino a domani mattina nessuno si accorgerà della nostra scomparsa!»
«E allora?» insistette il turista, «basterà restare vicino alla macchina fino a domani».
«Dubito che qualcuno arriverà a domani mattina se rimarremo in questo posto» disse Leonard, con un mezzo ghigno.
Quasi a confermare le sue parole, nella sera africana che ormai stava per mutarsi in notte echeggiò vicino il ruggito del leone.

(continua)