C’era il mare dietro quel leone assonnato nello zoo di Roma. Un mare finto, azzurro e ondulato, anche all’orizzonte, un mare dai colori netti. Tre tonalità di azzurro accostate senza sfumatura alcuna. Quel mare avrebbe dovuto mettere allegria? Percepivo che l’assenza di sfumature era l’unica cosa che quell’acqua posticcia avesse in comune con quel vecchio leone assonato, di cui era inconsapevole dimora. Una unica e continua tristezza, senza possibilità di variazioni sul tema. Continua e inespugnabile. Come la mia. Il leone, pigro, si avvicinó al vetro che lo imprigionava e proteggeva noi dalle sue fauci. Ammesso che tanta tristezza conosca fame. E si sedette. Io feci altrettanto dal mio lato di quella barriera invisibile. Eravamo praticamente schiena a schiena. E lui parló.

“Giornata dura eh? Non me ne parlare. Quella leonessa che mi hanno appioppato. Che non lo capisco?… I miei curatori vorrebbero finire sui giornali per la storia dei leoncini nati in cattività… ma che vi credete, anche noialtri abbiamo i nostri gusti. E io sono vecchio ormai… Cosa ne pensate voi quando tentano di appiopparvi l’amica dell’amica, quella che chiacchiera troppo di cose per voi – ma giurereste anche per buona parte degli altri esseri senzienti – prive di interesse? Che magari neanche è brutta ma proprio no, non è il vostro tipo e sapete benissimo che per lei sareste un ripiego per dimostrare al mondo che quella perdita, quella relazione finita male, è cosa superata…?” Il leone fece un gesto strano, quasi tenesse in mano una sigaretta immaginaria, poi continuó “Ma io non mi faccio fregare solo perché quel mare lì dietro è in cartongesso. Io la principessina sottuttoio Leyla non me la filo. Punto e basta. Non mi faccio incastrare per due bistecche in più.”…

Scappai. Convinto di essere ormai pazzo completamente iniziai a piangere a dirotto. Poi mi pizzicai, sperando per un secondo che si trattasse di un sogno. Non avevo bevuto quel pomeriggio ne ero sicuro. Lo avevo promesso alla mia unica amica, alla dolce Cloe, che ci avrei provato a smettere di bere. Che così lo avrei trovato un lavoro un po’ più decente… eppure quel leone mi aveva parlato e io lo avevo sentito. Nitidamente.

La curiosità lo potete immaginare superó la disperazione.

“… sei tornato. Sei più disperato di quello che dai a vedere. Mi dirai: parli facile tu, che non devi neanche pagare l’affitto. Pasti e femmine serviti regolarmente come fossi un pascià, senza troppe complicazioni affettive… “
Questa volta strusció la zampona a terra con moto circolare prima in una direzione, poi nell’altra, come se spegnesse a terra la sigaretta.
“Amico mio… se mi senti è perché sono il tuo animale guida. Avrai visto Fight Club immagino? Sì, uno ridotto come te lo ha senz’altro visto… Comunque ho il difficile compito di evitare che tu finisca peggio di così… insomma avrai capito, devo evitare che tu, insomma… ecco… faccia stupidaggini tipo, sì, sei decisamente tipo da cocktail di psicofarmaci direi…”
Come faceva a sapere che… insomma ero nesso così male che il mio nuovo psicanalista era un leone annoiato, animale guida quasi in pensione, più disperato di me. Bene. Benissimo. Ora sì che…
“Guarda che ti leggo il pensiero. Neanche tu sei proprio mister simpatia, ma tant’è che chi decide tutto, per qualche strana ragione, ci ha abbinati”, questa volta strusciò entrambe le zampe verso le orecchie come se si stesse infilando degli occhiali invisibili, poi iniziò a sfogliare un fascicolo inesistente del suo nuovo paziente. Cioè io.
“… disinteresse cronico… ci piace il vino, ormai badiamo più alla quantità che alla qualità… fumatore, eheh questo lo capisco. Non sei stato allattato al seno vero? Da uno studio sembrerebbe che molti fumatori cerchino di colmare quella mancanza quando aspirano una….”
“Bastaaaa!!! Vecchio pazzo, sei un vecchio pazzo e basta…” ce l’avevo con me stesso. Avevo urlato. Ora sì che mi avrebbero rinchiuso dopo quella sfuriata! … Mi accorsi invece che ero rimasto solo, che ero rimasto chiuso sicuramente dentro lo zoo, e si stava facendo buio.
“…psss, psss riavvicinati, su dai non fare così, sei il mio ultimo caso e vorrei chiudere la mia carriera in bellezz”. Lo interruppi bruscamente. “Lo sapevo! Stai andando in pensione. Come al solito. Becco sempre chi non glie ne importa un cazzo di me e di quello che mi capita! Mai. Ora addirittura il mio animale guida mi vuole scaricare in fretta. Ma sì, tanto cosa importa?”.
Sospiró… “facciamo così. Se mi prometti che tu ti impegnerai, io faró altrettanto. Si sta facendo notte. Dobbiamo fare in fretta”.
Mi sdraiai come su un lettino dello psicanalista, e iniziai a parlare. Senza smettere, senza quasi prendere fiato. Iniziai dagli amichetti bulli dell’asilo, da mio padre troppo debole, mia madre troppo ossessiva o troppo impegnata per darmi retta… e poi tracciai tutta una vita di obiettivi mai portati a termine. La mia collezione di insuccessi. Il divorzio. Mia figlia che non mi rivolgeva la parola. L’incapacità di tenermi un lavoro e di avere cura della mia casa e della mia persona…. quasi urlai. L’effetto fu una catarsi. L’effetto fu il desiderio di tornare a vivere. E allora capii. Era ormai notte e non avevo alcun freddo, sebbene fossi disteso a terra in un impermeabile ormai logoro. Capii che combattevo tra la vita e la morte, che quel cocktail alla fine lo avevo ingerito…

Oggi sono allo zoo con mia figlia Martina. Mano nella mano… Siamo andati a trovare Simba. Si è tolto i suoi finti occhiali e mi ha guardato con sguardo compiaciuto. Non chiedetemi come, ma lo ha capito subito che è grazie a lui se ho scelto la vita, perché posso giurarlo, gli occhi di entrambi si sono un po’ appannati in ragione di alcune lacrime ribelli e malcelate, perché è solo in ricordo quel leone triste e assonnato: oggi Simba mi viene incontro ogni martedì e giovedì alla stessa ora per la consueta seduta, in tutta la sua consapevole fierezza.