Frullando le ali nell’aria fresca del mattino la rondine si alzò sopra le ultime montagne prima di tuffarsi sulla striscia di pianura che le separava dal mare.
Lì cominciò a scendere in ampi cerchi, assaporando il piacere dell’aria più calda e del lieve aroma salmastro portato dal vento del sud.
Sotto di lei la città si stendeva grigia, puntellata dal rosso dei pochi tetti di tegole e dal nero di quelli di ardesia, per lo più sulle poche case basse in prossimità del mare.
Dopo essersi riposata, strinse le ali formando una perfetta mezzaluna, e si lanciò in picchiata, acquistando sempre più velocità fino a virare bruscamente e sfrecciare in mezzo alle case e giù sul torrente, per poi risalire di slancio e riprendere il suo volo a mezz’aria.
Ah, il piacere di essere tornata nei luoghi dove passare la bella stagione!
Più tardi avrebbe cercato di rintracciare il nido dello scorso anno, ma quello poteva aspettare almeno qualche ora, pensò, mentre si librava felice nell’aria.
Come lei le sue compagne, le avanguardie della migrazione, cominciavano a riempire il cielo in una festa di evoluzioni ardite e perfette, in cui i muscoli guizzavano insieme alle piccole piume.

Dopo i primi momenti di ebbrezza, però, la rondine cominciò ad avvertire qualcosa di strano nell’aria. Osservò con più attenzione il mondo sotto di lei, ma niente sembrava cambiato, a parte, forse…

«Ehi, non hai notato anche tu qualcosa di strano?» chiese ad una sua compagna che volava spensierata.
Questa ebbe come un fremito di fastidio, sentendosi disturbata.
«Cosa intendi dire?» rispose.
«Non so, ho come la sensazione che qualcosa sia cambiato dall’ultima volta che sono stata qui».
L’altra fece un paio di evoluzioni, avvicinandosi al terreno, uno stretto otto, una rapida risalita.
«In effetti» convenne «qualcosa di strano c’è, ma non riesco a capire cosa possa essere. Di sicuro l’aria è più pulita».
«Sì, questo l’ho avvertito anche io» disse una terza rondine, che aveva ascoltato la conversazione.
«Che gli uomini abbiano finalmente smesso di inquinare?».
«Siiii, figurati!» rise la seconda, guizzando via.
Ma la prima non la seguì.

Gli uomini, dove erano finiti gli uomini? Ricordava che la città era sempre piena di gente che si affacendava a correre da una parte all’altra, macchine e moto che sfrecciavano per le strade e di tanto in tanto si urtavano tra loro, e adesso… adesso solo poche persone si muovevano furtive per le vie, in un silenzio assoluto.
La rondine risalì nel cielo per pensare indisturbata. Cosa era successo? Su tutto regnava un’aria di abbandono, una muta tristezza che era il contrario di quella pazza, assurda frenesia che aveva sempre caratterizzato le attività umane e a cui si era abituata. Gli umani erano pazzi, strani, però tutto quel caos gli metteva sempre allegria. Adesso, invece…
Tutto questo però non spiegava cosa fosse successo, e le sue compagne ne sapevano quanto lei.

Vincendo una innata ritrosia, si avvicinò ad un gabbiano che veleggiava pigramente nell’aria, arrivando a sfiorargli le ali. Il gabbiano lanciò un’occhiata alla rondine, e con quell’occhiata valutò che  era troppo veloce per essere una possibile preda, quindi proseguì la sua lenta planata.
La rondine però non si diede per vinta, e intrecciò una serie di acrobazie tra le sue grandi ali, finché questi non fu costretto ad ascoltarla.
«Cosa vuoi?» chiese il gabbiano, infastidito.
«Scusami se ti ho disturbato» garrì la rondine «ma sono appena arrivata insieme alle mie compagne e ho visto che ci sono solo pochissimi uomini in giro che si muovono come fantasmi. Sai cosa è successo?».
Il gabbiano sospirò, restringendo le ali, così da aumentare un poco la velocità.
«Questo inverno» disse «una malattia si è diffusa tra gli umani…».
«Ohhh» esclamò la rondine «e li ha uccisi tutti?».
«In verità no» rispose il gabbiano «più o meno due o tre su cento, e soprattutto quelli più vecchi e malati».
La rondine rimase interdetta.
«E allora? Cosa c’è di strano?».
«Questo non lo so, dovresti chiederlo a loro, sai come sono: non credono in niente, corrono per tutta la vita per avere un qualcosa che non li soddisfa mai e cercano in tutti i modi di sfuggire l’unica certezza che hanno, quella di morire».
«Quella l’abbiamo tutti».
«Già» disse il gabbiano «ma tu ci pensi mai?».
«No» rispose la rondine, stupita «perché dovrei pensarci?».
«Infatti. Neanche io, così per noi la morte non esiste, come infatti è, e viviamo la nostra vita istante per istante, come è naturale che sia».
«Loro invece…».
«Già. E adesso si sono tutti chiusi in casa».
«Ma servirà a qualcosa?».
«Chi lo sa? Qualcuno che forse potrebbe morire adesso morirà qualche mese più in là, e tutti vivranno malissimo nel frattempo» concluse il gabbiano. Poi, con un colpo d’ala, riprese improvvisamente quota, facendo intendere che il colloquio era terminato.

La rondine restò sola con i suoi pensieri. La città sembrava così triste adesso, che neanche l’aria pulita la rendeva felice. Ripensò alle parole del gabbiano: certamente la malattia sarebbe passata e gli uomini avrebbero ripreso a sciamare fuori dalle case come formiche, e ogni cosa sarebbe tornata normale, ma tutto questo perché?
A dire il vero, c’era una ragione in tutto quello che gli uomini facevano?
Scosse il capo, impotente a trovare risposte che non esistevano o che forse erano troppo lontane dalla sua mentalità per essere considerate, e riprese a sfrecciare tra gli alberi nel silenzio più assoluto, sfiorando le chiome dei pini e le compatte fronde degli austeri cipressi sopra ai parchi deserti, alla passeggiate a mare disabitate, al cimitero chiuso dove su un bianco frontespizio di marmo era incisa l’iscrizione “Sic transit gloria mundi”, una frase che lei non sapeva leggere ma che non avrebbe comunque mai potuto comprendere.