Casualmente ho trovato nel web queste parole e mi ci sono soffermata un attimo, anche se non sarebbe davvero stato necessario.
Più che altro, perché fin da subito, dalla prima lettura, ho avvertito che ‘qualcosa’ non andava, mi disturbava, in quel testo.
E l’ho capito subito, cosa fosse.
Era quel verbo, ‘volere’, coniugato alla terza persona singolare: vuole.
“Se ti vuole”.
Ammetto mi abbia subito colpito, questa espressione, in senso negativo. Per me.
Se ti VUOLE.
Riferito e usato, in questo caso, nei confronti di una persona.
Una persona a cui si tiene, a cui magari si vuole bene, alla quale ci lega un sentimento o comunque un desiderio di condivisione, forse anche solo un sogno.
Lo so, per (de)formazione professionale e, soprattutto, per amore della nostra bella lingua, sono sempre stata molto attenta e precisa nello scegliere e nell’assegnare ad ogni parola il suo corretto significato a seconda delle possibili variabili di utilizzo, ma quel “vuole” non mi ha convinto, non mi è piaciuto.
Avrei preferito lo avessero sostituito, piuttosto, con “Se ti desidera, Se ti ama, Se ti vuole – anche, sì, ma aggiungendoci… – bene: Se ti vuole bene!
Invece, messa giù così, quell’espressione mi disturba, mi invita a desiderare di correggerla (mia antica abitudine, lo so; ne ho corretti a migliaia di elaborati scolastici in decenni di insegnamento…), mi suona quasi sgradita, come se in qualche modo sottintendesse una qualsivoglia forma di prevaricazione, di sconfinamento, di invasione arbitraria verso l’altro, quella ‘persona’ verso la quale, così pare, si sarebbe disposti ad andare “in qualunque posto, a qualunque ora, in qualsiasi modo”.
Ti sembra esagerato?
Ti sorprende questa mia riflessione, o presa di posizione se vogliamo, sul senso vero di una parola così spesso adottata per esprimersi come il verbo volere?
Lo capisco, sai.
Non mi sorprende.
Come non mi sorprende affatto, aggiungo, che molti magari nemmeno ipotizzerebbero di scriverci un post, su questo. Avrebbe dell’incredibile, vero?
Ma io sono così, e così mi sta bene.
Amare la lingua, amare le parole.
Scritte, soprattutto.
E approfondirle, e condirle, con il sale della curiosità, della ricerca, della conoscenza; e con il pepe della vivacità, della naturale evoluzione semantica, della sete di apprendimento, rielaborazione e riutilizzo che abitudine, tempo e sviluppo possono darne.
Post troppo lungo su un argomento “inesistente”, questo mio?
Insomma, è davvero e solo “fuffa”, tutto questo?
Per più d’uno sicuramente sì, certo.
Lo so. E ci sta pure questo, ci mancherebbe.
Ma non per me, in ogni caso.
Gabriella, con le parole, ci è sempre andata cauta. O forse, ci è sempre andata a nozze.
Il banchetto conviviale, però, non sempre fu allegro e gioioso, sai.
A volte, le parole – scritte o pronunciate – sanno anche far molto male…
Ecco, allora, l’importanza di usarle correttamente:

“Se ti vuole bene, viene da te.”