La porta si richiude alle mie spalle.
Lasciandomi sull’uscio buio della notte.
Notte nera. Compatta.
Notte da naufragio.
In una terra priva di contorni.
E senza sciabordio di onde.
E così mi sento squilibrata. E transitoria.
Come Morgana, che privata dei suoi poteri, immemore vaga nelle terre di Avalon.
Con passi accorti m’incammino.
Perché il terreno è ostile.
Ed i miei piedi intuiscono nodi di radici.
E trappole di terra.
E mi spaventa l’ipotesi di un dirupo nascosto.
O di un sentiero che confini col nulla.
Nessun luccichio di stella all’interno di questo buio insondabile.
Notte ermetica.
In cui trascino la pesantezza della mia anima.
E quella della mia treccia.
Perché anche i capelli possono essere zavorra durante il tragitto.
Seppur non spiri alito di vento.
E la mia treccia ballonzola docile, come coda di cane.
Senza gioia. Né tristezza.
Rassegnata al pettine, che l’ha prima dipanata.
E alle dita, che l’hanno poi serrata.
Sciolti, i miei capelli avrebbero assecondato i respiri dell’aria.
Sottili, come di quelli di una bimba.
O di una donna che si avvia ad invecchiare.
Perché gli anni passano.
Come le lune nel cielo.
Con le albe sempre più brevi.
Ed i tramonti sempre più lunghi.
Con le ore della veglia che si mangiano quelle del sonno.
Sonno che non ristora.
Ma piuttosto è un cedere alla quiete del buio.
Alla notte ermetica che così tanto somiglia alla morte.
Ma che ha ancora traccia di respiro.
Quindi è ancora vita.
O forse solo entratura di coma.
O chissà quale imbroglio.
Quale magia.
Che mi fa sembrare viva.
E se è questo, oppur altro ancora, allora è giusto che io tenti questo cammino.
Ma con prudenza.
Attenta a non cadere nelle trappole predatorie della notte ermetica.