Sai Andrea,

forse come te sono cresciuta con il mito di Steve Jobs. Di una buona idea portata avanti dentro un garage, che con una buona dose di coraggio, dedizione e passione ha buone speranze di diventare realtà. Ma poi non c’è stato qualcuno capace di fornirmi gli strumenti necessari per dare concretezza alle mie idee. Come Anna mi sono laureata. Ai neolaureati di oggi, mi pare, stanno tentando di insegnare un metodo, con troppi anni di ritardo probabilmente. Credo, e spero, che non si trovino completamente allo sbaraglio come è stato per noi.

Ne ho parlato con il mio giovanissimo collega, che grazie all’università ha ottenuto un tirocinio nella mia azienda, e che mi fa pensare all’ineluttabilità del tempo che passa quando mi dice il suo anno di nascita… eppure, penso, “non sembriamo così diversi io e te…” ma vedi Andrea, so di mentire, soprattutto a me stessa.

Lui mi fa “Non credo che avremo vita più facile per questo, ci siete voi a tenervi stretti tutti i posti interessanti.”.

“Noi?” gli ho risposto stizzita, “Ti sbagli. Ti stai confondendo con la generazione precedente. Forse i cinquantenni.  Forse loro hanno avuto una vita professionale un po’ più facile. Ma sono stati gli ultimi… Mentre noi ci siamo illusi. Credevano ancora di far parte di quella generazione che se studi astrofisica, e fai un buon percorso, alla fine diventi astronauta… altri tempi! A voi invece, almeno stanno dando gli strumenti, magari per fare qualcosa da soli, per diventare imprenditori, mal che vada, di voi stessi. Temo sia stata una generazione sfortunata la mia.” Tu cosa pensi? Lo è stata?

“Ogni generazione ha i suoi drammi. Io sono nato e cresciuto in un’epoca in cui la tecnologia pervade ogni istante delle nostre frenetiche vite.” Mi ha risposto il mio collega senza smettere di consultare lo smartphone, “voi almeno l’avete conosciuto il gusto che dava una serata intera a parlare occhi negli occhi. Il gusto delle relazioni umane.”

Non so te Andrea, ma io sono restata basita da quella risposta, e con un certo senso di esclusività ho iniziato a ripensare alla mia vita “prima dell’invasione”. Al valore delle relazioni insomma, quanto mi sarei persa se la tecnologia fosse stata presente come è oggi anche ai “miei tempi”? Che già a dire così mi viene un senso di capogiro… tutti i tempi, per chi li vive, sono i propri.

Ho ripensato alle scorribande per Roma con le mie amiche, e agli sguardi che ci lanciavano di sfuggita i ragazzi in metropolitana, quando ancora potevano al massimo essere distratti dalla lettura di un fumetto o di un libro. Quegli sguardi che ti portavi dietro insieme ad un mare di risate e che la sera ti facevano sognare lunghe corse sul bagnasciuga, mano nella mano, a rotolarsi su una spiaggia bianca e deserta quando il tramonto è di fuoco e l’anima è rarefatta. Ho ripensato alle mie persone del cuore. Quelle che c’erano già venti anni fa.

E che, come sai, ci sono ancora.

Intendo quelle che si contano sulle dita di una mano. Quelle che ancora oggi è sempre lo stesso. E sì, gli smartphone si ripongono, perché la nostra è una relazione nata in un’epoca analogica, anche se la tecnologia la supporta nella distanza.

Se sono qui oggi, Andrea, è perché ad occupare una delle mie cinque dita c’è proprio lei, Anna.

Mi viene difficile iniziare a parlare di lei senza parlare di “loro”.
Chiunque le avesse incontrate la prima volta avrebbe sgranato gli occhi sostenendo che fossero identiche. Gemelle. Due gocce d’acqua. E si sarebbe sbagliato.
Tanto che una somigliava al padre, l’altra alla madre. Tanto che una era devota al caos creativo, almeno quanto me, l’altra a quindici anni già era un genio dell’organizzazione e passava il tempo a porsi domande e cercare risposte per le quali era spesso impossibile trovarne con il fondamento scientifico necessario a renderle ammissibili, accettabili, ipotizzabili. Due miniature di donne meravigliose e diverse.

L’artista e la scienziata sono state il principale modello cui mi sono rifatta quando ho messo in cantiere la mia famiglia.
Volevo due bambine. Due piccoli individui, simili nell’aspetto ad un’occhiata superficiale, ma diverse per tutto il resto – che così è più divertente – fatta eccezione dei valori fondanti, quelli che vengono tramandati di generazione in generazione in sostituzione dei comandamenti che guidavano e immagino continuino a guidare le famiglie religiose, come quelle cattoliche ad esempio.

Volevo due figlie come Anna ed Elisa, e in effetti ho avuto la Principessa e la Selvaggia.
Io che provengo da una famiglia allargata, molto allargata… beh, più sta e più si allarga a ben guardare – forse proprio per questo – ,  sono molto conservativa nelle mie espressioni affettive.

Nessuno mi ha mai detto che il matrimonio “finché morte non ci separi” è un obiettivo irrinunciabile. Il fatto è che sono diciassette anni che sto con la stessa persona. Dodici di matrimonio e i primi cinque di convivenza per l’esattezza.

Ti stai chiedendo se è sempre andata alla perfezione? No, non posso dirlo, la perfezione è un obiettivo inarrivabile e sopravvalutato, ed ha poco senso nella ricerca della propria unicità, ma lui è la mia persona, è il mio progetto più importante, ed è accanto a lui che la mia vita ha un senso.

Perché ti racconto questo? Perché è soprattutto se mi considero da questo punto di vista che mi rendo conto di una cosa sconvolgente: potrei essere figlia della famiglia in cui Anna ed Elisa sono nate e cresciute, “di più!”, sento da sempre una spontanea tendenza a somigliargli. E dicendo così mi autocelebro con un grandissimo complimento.

Quello che mi piacerebbe raccontarti è che spesso mi capitava di gettare un materasso trai letti delle due sorelle Rosati. Passare la notte da loro per me è sempre stato sentirmi a casa. A mio agio. E ti assicuro che non sono una facile, ad esempio sono timida, tendo a restarmene defilata. Ma Anna ha sempre amato scavare là dove il terreno è più ostico. Ama le profondità. Per questo la nostra amicizia è stata inevitabile. L’esplorazione è reciproca, e sta continuando ancora adesso, anche a distanza.

Magari quando ci incontriamo siamo costrette a passare la prima manciata di minuti a recuperare lunghi intervalli di vita, eppure ogni volta non manchiamo di stupirci del sottile filo che ci lega in qualità di affini esseri umani, pur nelle nostre grandi diversità.

Oggi Anna è qui, con il suo progetto di vita. Con te la vedo rendere speciale ogni piccola impresa, come quella di costruire un luogo in cui stare, come quello di diventare per Caterina un punto di riferimento speciale e unico, di quelli inossidabili, che nulla hanno a che vedere con il legame di sangue.

Sai Andrea, Pino, il marito di mia madre, ha scritto di me nella presentazione della sua raccolta di poesie

… ho incontrato la persona giusta con cui dividere tutto dei miei giorni con inclusa nel pacchetto persino una fantastica figlia che non era mia e, forse per questo, m’è stata figlia ancor di più che se lo fosse stata.”

Quello che voglio dirti, Andrea, è che sono stata davvero fortunata, che quelle parole che Pino ha dedicato a me, mi riempiono il cuore e lo stomaco di gioia, mi fanno sentire speciale, e che Anna per la tua piccola Caterina sarà questo, ed io lo so.

Ai nostri tempi, Andrea, non c’erano i social network. Leggevamo i libri e guardavamo i cartoni e i telefilm nella tv generalista, proprio quando lo faceva il resto d’Italia. Io avevo un cellulare che tenevo nascosto e spento, che al massimo assurgeva all’uso di cabina telefonica in caso di emergenza (mia madre non è stata molto felice della cosa).

E oggi sono felice perché ripenso a una di quelle serate, mi pare fosse proprio una di quelle che abbiamo condiviso durante una gita fuori casa di qualche giorno, non so se hai presente, una di quelle in cui a modo nostro ci raccontavamo e sognavamo il nostro futuro.

E quello di Anna lo ricordo come questo. Questo che vi vedo realizzare insieme.