Bene… visto che ormai ho confessato il mio amore per le storie poliziesche, tanto vale che affronti quello che è, letterariamente parlando, senza dubbio un “mostro sacro” del genere. Writer Monkey ha già pubblicato diversi articoli e persino una intervista con il figlio dello scrittore di cui mi accingo a parlare, per merito dell’acuta ed agile penna di Marilda Nicolini. Dal momento che l’ultima cosa al mondo che desidero è quella di entrare in “competizione” con chicchessia, rimando al citato intervento le notizie biografiche su Georges Simenon limitandomi a raccontare chi è stato lo scrittore francese per me.

Rituali di un autore molto prolifico

Nella solita ed indispensabile incursione su Wikipedia, trovo che si dice fosse capace di ben ottanta pagine giornaliere di scrittura! Se penso che un simile obiettivo il sottoscritto, nelle sue peraltro modeste ambizioni di “scrivano”, non lo raggiunge manco in un anno non posso che schiumare tanta rabbia… ma scherzo, ovviamente (più o meno) e, soprattutto, non posso evitarmi di immaginarlo, Georges, alla sua scrivania, con la sua batteria di matite meticolosamente appuntite e schierate come un’armata sul campo di battaglia, pronto a gettarsi nell’avventura di un nuovo romanzo. Dicono che ritemperasse le matite sino al mozzicone inservibile che buttava via con qualche nostalgia e rammarico.

Si favoleggia poi (ma è tutto vero) sui suoi ritmi, delle fasi della scrittura d’un romanzo. Che a percorrerle hanno il sapore di abitudini da “travet” e, a quanto pare, per lui lo erano (non per nulla diceva di soffrire tantissimo durante la scrittura).
Iniziava con la fase ideativa: due o tre giorni a pensare alla trama ed ai personaggi, facendo lunghe e solitarie passeggiate, sovente molto irritabile e scontroso.

Poi veniva la fase della “busta gialla”, quella in cui, in un paio di giorni, buttava giù i tratti principali della storia scrivendoli su una busta gialla e grande, appunto. La busta, che raccontava avere un sapore scaramantico, era stata casuale le prime volte: non aveva trovato altro quel giorno (il che ha un po’ dell’incredibile, ma con gli scrittori mai dire mai) per prendere appunti e decidere i nomi dei protagonisti. E poi era diventata un rito.

Compilata la busta, seguiva immediata la fase della stesura: si isolava e lavorava ininterrottamente, un capitolo al giorno. Nessuno doveva disturbarlo per gli otto-dieci giorni che durava questo stadio. Seguiva poi la revisione, non necessariamente immediata. A volte passavano settimane prima che ci si dedicasse e serviva unicamente a limare il lavoro. Nulla della trama veniva cambiato, solo semplificazioni, tagli e aggiustamenti.

Un assieme di gesti, insomma, quasi ieratico e senza dubbio efficace: ci sono i risultati a dirlo senza tema di smentita. Di certo bisognava essere un po’ speciali perché funzionasse. E lui lo era. Per inciso – diamoci al gossip – Wikipedia riporta che lui sostenesse di aver avuto nella sua vita circa 10.000 donne! Quasi tutte prostitute (circa l’80%) e le altre in genere domestiche, ballerine, spogliarelliste e cameriere. Non si riteneva affatto un maniaco ma diceva di avere un bisogno assoluto di sesso.

Maigret e Parigi

Al di là di questi aspetti “di colore” che un uomo indubbiamente particolare finisce per trascinarsi appresso, il personaggio con cui identifico lo scrittore francese è senza dubbio l’ispettore Maigret, figura molto presente nelle sue storie e che, nel corso degli anni molti attori famosi (di altri tempi, è ovvio) hanno impersonato sullo schermo grande e piccolo. Personalmente, quello cui sono più legato è senza dubbio il Maigret cui diede vita un grandissimo Gino Cervi, affiancato da una insuperabile Andreina Pagnani nelle vesti della enigmatica ed umanissima signora Maigret (cosi il protagonista stesso la chiamava e non so se mai Simenon le abbia dato altro nome).

I più giovani (o i meno vecchi fate voi) di chi mi legge ovviamente si staranno chiedendo di cosa diamine vada io cianciando… lo so, non avete torto se pensate ai dinosauri o a Matusalemme. Ma non posso farci nulla se dentro di me le avventure del poliziotto francese si legano irrimediabilmente a quelle lontane immagini. Che per di più, va detto, lo stesso Simenon ebbe a dire fossero quelle che meglio rappresentavano la sua creatura. Il che, se solo per un attimo vi fermate a riflettere, detto da un francese – e i nostri cugini son famosi per il loro inossidabile sciovinismo – è un complimento niente male.

Ma forse la cosa che ancor più mi affascina di quelle storie è la Parigi che fa da sfondo (quasi sempre; c’è anche qualche puntata in provincia, ma è poca cosa) alle indagini. Ricordo che circa 40 anni fa, la prima volta in cui mi recai in quella affascinante città, comprai un paio di storie di Maigret pubblicate in loco e che ebbi poi modo di leggere, in francese ovviamente. Perché la seduzione di quella magica città era per la mia psicologia di lettore ed amante dell’arte, unica. Roma è senza dubbio la città al mondo che più e meglio interpreta la grandezza del passato e l’Italia in genere ha poco o nulla da invidiare, in fatto di bellezze naturali e storiche, al resto del mondo. Ma Parigi ha un fascino tutto speciale. O forse dovrei dire “aveva” visto che mi dicono ch’è molto cambiata, inevitabilmente in peggio.

A Parigi son tornato molte volte, per lavoro e non; ora però son molti anni che non ci vado. E forse, al di là di altri possibili impedimenti, esito a farlo perché temo quasi di distruggere una immagine dolce, tenera, pastosa e ricca di odori e sapori ch’è poi quella umana e profonda delle storie di Maigret, che con lui m’ero figurato e che poi ho trovato nelle vie di Montmartre, sulla riva della Senna e nei cafè degli spettacolari boulevard parigini. Quella mia prima volta di 40 anni fa m’accadde di “beccare” una “grève” dell’amministrazione pubblica alla francese, ovvero un vero sciopero come lo fanno loro: totale e senza eccezioni. Così mi fu impossibile vedere un museo che fosse uno: il Louvre e gli altri bellissimi musei li conobbi in viaggi successivi. Una sola cosa, ricordo, mi fu possibile visitare delle favolose raccolte artistiche parigine: alla Galleria nazionale dello Jeu de Paume era esposta la raccolta delle Ninfee di Monet riaperta al pubblico dopo anni di chiusura.

Al di là delle disavventure “sindacali”, era sempre la Parigi di Maigret e Simenon ancora vivo. All’epoca non lo sapevo più di tanto, ma di sicuro stava scrivendo metodico e cadenzato. Il suo editore, giudicava negativo “inflazionare” il mercato di successo dello scrittore e così, ancora oggi si pubblica qualcosa di inedito di lui, tanti romanzi rimasti chiusi nel cassetto.

In un cassetto dove, peraltro, in qualche modo immagino sia conservata anche la colonna sonora della serie televisiva di Maigret. L’aveva scritta, nel 1962, un certo Luigi Tenco, uno dei più grandi cantautori italiani dell’epoca, un poeta tormentato che, prima di “andarsene” ci ha lasciato bellissime e poetiche canzoni che molto legavano con gli chansonnier francesi dell’epoca. Si intitolava Un Giorno Dopo L’Altro e diceva:

Un giorno dopo l’altro

il tempo se ne va

le strade sempre uguali,

le stesse case.

Un giorno dopo l’altro

e tutto è come prima

un passo dopo l’altro,

la stessa vita.

E gli occhi intorno cercano

quell’avvenire che avevano sognato

ma i sogni sono ancora sogni

e l’avvenire è ormai quasi passato.

Un giorno dopo l’altro

la vita se ne va

domani sarà un giorno uguale a ieri.

La nave ha già lasciato il porto

e dalla riva sembra un punto lontano

qualcuno anche questa sera

torna deluso a casa piano piano.

Un giorno dopo l’altro

la vita se ne va

e la speranza ormai è un’abitudine.

 

Per me Simenon, Maigret e Parigi son legati in modo indissolubile a questi struggenti e magnifici versi di un ragazzo strano e scontroso che scriveva versi tristi perché quando era allegro – diceva – usciva a passeggiare al sole.