Momenti d’estate, tra strade bianche e luci dorate, odore di pesce e frittura, e pane, e vino. Tante volte è stato così. Mi riferisco alle luci, alle strade bianche, all’odore che accende l’acquolina. Eppure ogni volta è diverso, ogni volta un nuovo senso. Per le strade di Polignano ho osservato la nostra vita che continua, che corre sulla pietra lucida.
Con la scusa che ho due bambine io mi porto sempre dietro fogli da riciclare, matite, trattopen, colori. Poi capita che sono l’ultima a stancarsi… l’ultima a lasciare il tavolo da disegno. Così il mio sketchbook accoglierà nuovi tasselli, che sono il ricordo di momenti solo in parte condivisi, di certo miei, e miei per sempre, a svelare che sono esistita e non in una sola dimensione.
Capita a volte che ti dimentichi i fogli, ma hai le penne. E allora mandi fua figlia, quella più piccola e più sfacciata, a prendere tre tovaglioli di carta al bar. Uno per te e gli altri per loro due. No, non è vero, ce le mandi entrambe, anche la più grande, che comunque è una bambina, pure se si crede adulta, che deve imparare a chiedere senza vergognarsi. Tu hai imparato praticamente oggi, puoi fare in modo che a lei succeda prima… E loro, le tue bambine, arrivano con quelli lì, quei foglietti rigidi e secchi, che chiamarli tovaglioli è fuori luogo: oggi hai provato ad usarne uno per ripulire la pizza che Cecilia ha fatto cadere in terra… E ti sei chiesta ma perché? A che servono? Te lo chiedi da quando mangiavi i supplì da bambina, dopo gli allenamenti di nuoto, con nonna pronta a nutrirti e asciugarti nello spogliatoio afoso. Sono loro! Sono gli stessi: tovaglioli talmente fini che non assorbono niente e che tu ti chiedi sempre come mai l’evoluzione li abbia risparmiati dall’estinzione.
Ci disegno sopra, ecco a cosa servono! Peccato che se si bagnano si disintegrano, e visto che c’era vento lì al bar, Antonio per evitare che volasse via la mia opera d’arte ha pensato bene di fermare un angolo con lo spritz ghiacciato, il mio, che ha evitato il volo, ok, ma ha pure trasudato condensa. Risultato: un angolo del foglio asportato. Ma il disegno è comunque sopravvissuto e se sarà fortunato, atterrerà anche lui nel mio sketchbook alla fine di questa vacanza marina.
Poi spesso guardo il mare. Anche sola ci vado a guardare il mare, magari quando c’è vento e il bagno è sconsigliato. Capita che ogni onda mi sveli una mancanza. No, non è la parola corretta, una mancanza comporta una nostalgia così forte che stai male, e non ti godi nulla del presente, non ce la fai. Ci sono nostalgie che non ti fanno accettare, ad esempio, che so, ogni nuova piccola ruga. Finisce che vivi come lutto qualsiasi cambiamento, che tutto sembra privo di senso, che nulla più ti emoziona se non il dolore di quella nostalgia, e non riesci a riconcilarti con il ciclo della vita. Stai male. No, no, non è così, il mio presente invece di quel lascito fa tesoro, ma esiste e consiste senza sentirsi privato di nulla. Forse è più corretto dire che queste onde, nel loro andirivieni, riportano a galla qualcosa che non c’è più, che è andato perso. No, no, aspetta, neanche “perdere” svela il giusto senso. Si perde qualcosa quando non resta, quando non lascia niente. E invece questi ricordi sono spruzzi salini sulla pelle dei ricordi, sono aneliti di vita rinnovati ad ogni tramonto, sono tinte di azzurro mare che trasudano dagli occhi di una madre e si riversano negli occhi di una figlia, sono incanto di profumi, primo tra tutti le buganville e la cucina di casa. La cucina delle mie nonne e anche quella di zia. Oggi le onde mi portano loro. Queste onde sono tutte le prime volte, e sono anche ogni addio.