Ci sono parole che feriscono, come lame di coltelli, urlate con rabbia da bocche che non sanno quanto affilate e taglienti esse sappiano essere.
Ci sono silenzi che infieriscono, consapevoli di colpevolezze mai ammesse o riconosciute, incatenate a vita al proprio vissuto, quello che come un marchio a fuoco segna i percorsi, e la pelle.
Ci sono rimorsi rimossi, e rimpianti senza lacrime, ci sono nostalgie e rimproveri taciuti a quel Sé non avvezzo alle carezze, cresciuto arido e avido di abbracci mai dati né ricevuti.
Ci sono i dubbi, i malintesi, le incomprensioni, le offese.
Il dolore.
Ma ci sono, ancora e sempre, le stelle di notte, i raggi di un sole ancora caldo, le brezze carezzevoli e i venti impetuosi.
Ci sono le speranze.
E c’è, impercettibile e nascosto ma presente e vivo, il sorriso.
Quello che troppo a lungo abbiamo nascosto occultandolo persino a se stessi.
Ed è da qui, da queste labbra ora serrate ma inconsapevolmente già dischiuse nell’accoglienza dell’ “altro”, che si può ripartire, riprovando a riannodare quel filo dipanato e disperso lungo sentieri di rabbie o solitudini.
E l’aquilone, vedrai, tornerà a volare.

[ph Vladimir Dunjić – Serbia]