Oggi m’è sembrato giusto ringraziare la signora ch’era alla cassa del supermercato. Dopo la fila all’entrata ed il clima di tregenda che regnava tra gli scaffali, le distanze minime, le modalità di imbustamento e le regole da rispettare, m’è sembrato doveroso darle un segno di solidarietà e comprensione per il ruolo di “controllore” cui suo malgrado la situazione la costringe.

Lavorare in queste condizioni, con questa sorta di spada di Damocle del virus subdolo ed inafferrabile non deve essere cosa piacevole e pone tutta una serie di quesiti che neanche provo ad affrontare.

La cosa in un certo senso buffa è che, non avendo una mascherina (ed anche convinto della sua scarsa utilità), per non incorrere in qualche ira insensata ho usato una sciarpa per coprire bocca e naso, col bel risultato di sembrare più un “rapinatore” che un cliente a far la spesa.

Meno male che i guanti bianchi in lattice portati da casa servivano a sdrammatizzare un po’ la situazione con il loro apparire ridicoli e fuori contesto, più adatti ad un pronto soccorso che allo shopping. Sempre meglio però che trovarsi a pagare il conto con le mani rese quasi impotenti dai guanti usa e getta che fino a ieri servivano nei reparti ortofrutta per scegliere mele e rape e che, in tutta sincerità sono davvero una tortura!

Consolante vedere che, nella complicata e penso tormentata giornata della cassiera, forse il mio grazie ha rappresentato un breve ma vitale bagliore.

Facciamo uno sforzo per ricordarcene quando tutta questa storia sarà finita. Almeno i sopravvissuti faranno bene a farne tesoro: che forse la vita, quella vera, ha bisogno solo di poche cose, ma essenziali. E che tutto il resto di quanto pubblicità, televisione e media in genere ci spingono ad inseguire nevrotici, forse alla resa dei conti, è solo “fuffa”, maledetta e stupida “fuffa”.