“Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.”

Ludwig ripose il fascio di fogli e guardò il suo compagno per vedere che effetto gli avesse fatto la lettura, ma il soldato stava ancora boccheggiando dopo che i mortai avevano scosso a fondo la trincea, facendo crollare sugli uomini gran parte dei sacchetti di sabbia.

«Allora?» chiese.

L’altro spalancò gli occhi, incapace di parlare. Un rivolo di sudore sporco di terra gli colava dai capelli schiacciati dall’elmetto.

«Mi hai sentito?» ripeté Ludwig «Ma l’eterno che…».
«Ho capito, ho capito» lo interruppe il soldato, per farlo tacere.
«Allora dimmi cosa ne pensi, se hai sentito».

Il fante trasse un lungo respiro e sembrò recuperare un poco di vita.

«È… strano» biascicò, poi si passò una mano sulla bocca, ritraendola sporca di sangue.
«Quella che ti ho appena letta è la chiave dell’immortalità!» si infervorò Ludig, riprendendo in mano le carte e mostrandogliele, come se l’altro potesse leggerle tutte insieme «è la consapevolezza del Tempo, l’autocoscienza, il nostro ostinarsi a vivere in una corrente temporale a renderci schiavi della paura e della morte!».

Dopo quegli attimi d’inferno, il martellare delle granate si era spostato sul lato est del campo. I soldati sentivano i proiettili fischiare e la terra tremare, ma le esplosioni si erano fatte più lontane, segno che l’attacco non era previsto da quella parte. Nella trincea si cominciava a respirare di sollievo e gli uomini si apprestavano a riprendere la loro attività, dal riparare i danni a soccorrere i feriti e apprestarsi a consumare un pasto prima che calasse la notte.

Con uno sforzo immane anche Karl si tirò su dal fango, scansando l’amico che ancora incombeva su di lui e che aveva trascorso i tremendi minuti del bombardamento declamando poesie invece di nascondere la testa sottoterra.

«Te ne vai?» chiese Ludwig, con una punta di delusione.
«Vado alla latrina» rispose «anche se credo che ormai sia troppo tardi».

Ludwig non capì la battuta e lo guardò con occhi stupiti.
«La paura non ti aiuterà a vivere di più» disse.
Karl si girò, infastidito.
«Neanche le tue poesie!» rispose.
«Non sono miei, sono di un certo Gibran, un giorno le pubblicherà».
«Allora un giorno le leggerò, se riuscirò ad uscire vivo da questo merdaio!» concluse Karl, allontanandosi.

Ludwig rimase da solo nella trincea che si era svuotata dopo che gli uomini erano via via sciamati verso la casamatta dove erano le cucine. Alte nel cielo splendevano le stelle, fredde e lontane. Il fumo delle bombe si era diradato e adesso un silenzio che sembrava innaturale dopo il frastuono delle esplosioni si era steso sul campo di battaglia come un sudario. Gli unici rumori che si udivano erano i lamenti dei feriti, ma anche quelli si andavano smorzando man mano che morivano o venivano soccorsi.

Ludwig Wittgenstein arrotolò con cura i fogli manoscritti e li ripose nella custodia di pelle del cannocchiale che aveva gettato. Le parole del poeta continuavano a girare nella sua mente, e nonostante fosse cosciente che con il suo approccio razionale non sarebbe mai riuscito a comprenderne il vero, intrinseco, significato, non poteva rinnegare ciò che era.

«Questa» disse a se stesso, al cielo, alla guerra e al vento che aveva cominciato ad alzarsi «questa è la mia maledizione personale: come la rappresentazione della cacciata dal Paradiso Terrestre è una metafora del raggiungimento da parte dell’Uomo dell’autocoscienza – e quindi della consapevolezza della Morte – così io percorrendo la via della Logica vengo cacciato anche da quel barlume di paradiso che può essere l’intuizione poetica!».

Si alzò in piedi e si spazzolò la giacca, che non essendosi gettato per terra era soltanto sporca di polvere, e il suo sguardo finì sulla perfetta geometria del reticolato di filo spinato che correva tutto oltre la trincea e che lui aveva contribuito a disegnare.

«D’altra parte» si disse ancora «non posso essere diverso da come sono. Il paradiso si può solo perdere, non guadagnare», e scuotendo la testa si avviò anche lui verso la cucina da campo.