L’uomo vagava da un paio di giorni per le strade anonime di quella cittadina di provincia. Non zoppicava, non proprio, ma trascinava un po’ il piede destro in una cadenza regolare che lo rendeva a tratti asimmetrico. Lo sguardo annacquato vagava assopito in qualcosa che poteva sembrare un letargo, anche se voluto, autoindotto. Un uomo votato all’oblio. Un uomo perso, o forse in cerca ancora di una qualche perdizione.
In quel tratto di terra aspra c’era arrivato con le scarpe bucate sul davanti, dalle quale si intravedevano calzini logori e sporchi, vecchi mocassini rimediati lungo il cammino, con la suola consunta fino al limite. Ma tutto faceva pensare che si sarebbe spinto ben oltre quel limite, che calpestava indifferente, senza cercare un qualsivoglia rimedio a quello che altri avrebbero considerato un disagio. Scarpe che raccontavano qualcosa della sua vita: troppi pochi elementi, che anche ad incastrarli insieme con certosina pazienza e dedizione, non avrebbero permesso agli abitanti di Providence di considerarlo più di un uomo senza storia. Nessuno lo aveva visto prima, ed era un evento ben raro da quelle parti non conoscersi.
Poteva avere qualsiasi età oltre i cinquanta l’uomo, che mentre un po’ si trascinava, si ritrovava spesso a sputare in terra. Puzzava molto, ma non lo sentiva, anche se è più probabile, che proprio non gli interessasse. Né quello, né altri condizionamenti sociali avrebbero modificato di una virgola il suo procedere. Nulla pareva interessarlo, oltre il vino sia chiaro. Eppure in quella cittadina qualcosa di insolito avvenne.
Madison Soulman stava per rimontare piena di buste della spesa sul suv nero e lucido che aveva sottratto a suo marito. In realtà aveva cercato di demolirlo quel suv, con un bel martello che aveva estratto, quasi per impulso incondizionato, dalla cassetta degli attrezzi rossa e fiammante come una Ferrari testa rossa, anche quella appartenuta al suo amato consorte. Proprio una mazza, che aveva salvato quando aveva destinato l’intera cassetta al mercatino di beneficenza che padre Josuè, il sacerdote della parrocchia di Providence, organizzava sempre intorno a Natale, per aiutare le famiglie meno fortunate della zona ad avere di che imbandire la tavola o regalare ai bambini.
Padre Josuè fu molto sorpreso di vedere arrivare Madison. La signora Soulman infatti era atea.
Per carità, non che non fosse generosa, spesso anzi aveva mandato vestiti e oggetti destinati ai poveri, anche in buono stato, per tramite di qualche sua buona amica, come Cindy. Ma Madison in persona nei pressi della parrocchia non si vedeva se non in occasione di battesimi, matrimoni e funerali.
Il fatto è che, di punto in bianco, dopo venti anni di matrimonio e cinque di convivenza, tre figli ormai tutti al college, proprio ora che avrebbero potuto tornare a viaggiare e godersi un po’ la vita di coppia, Arthur Soulman se n’era andato. No, non era morto, l’aveva mollata. Dopo venticinque anni, e senza neanche una vera spiegazione.
Madison vide apparire il numero del marito sullo smartphone che lui le aveva regalato un paio di mesi prima, per il suo compleanno.
“Ehi, ciao, che mi dici, farai tardi anche stasera?”
“Madison, ascolta.”
“Senti, pensavo, che ne dici se prendo il mex per cena?”
“Madison, non torno.”
“… scusa, in che senso non troni?”
“Nel senso che non torno. È finita. Voglio il divorzio.”
“… ah ah ah! Che bello scherzo! No. A dire il vero non è divertente.”
“Non sto scherzando. Passo nei prossimi giorni a riprendermi le mie cose.” E aveva attaccato.
E così Madison aveva iniziato a girare dentro casa, persa nel suo pigiama a righe, incurante del suo odore, del suo sudore, della ricrescita sale e pepe che riaffiorava sotto i capelli tinti di rosso mogano, delle sue generiche condizioni pietose: si ritrovò a percorrere lunghi peregrinaggi nella memoria, senza una meta precisa. Ogni tanto si fermava, metteva a fuoco il contenuto di una nuova cornice e la lanciava. Quelle foto che la ritraevano giovane e innamorata, abbracciata ad Arthur nelle vesti di uomo perfetto. Spesso provava a richiamarlo, quel suo marito, senz’altro preda di una qualche sbandata, alla quale ci sarebbe stata di certo rimedio… Ci riprovò decine e decine di volte. Ma lui aveva staccato il telefono.
Poi un giorno finalmente si fece una doccia ed uscì di casa. Lui forse… lui no, non sarebbe tornato, tanto valeva ricominciare a fare quello che Arthur non sopportava, ma che lei invece adorava. Arrivò al drugstore all’angolo e comprò una stecca di sigarette, uscì, poi rientrò e comprò un accendino, fece due passi e poi entrò di nuovo per comprare una bottiglia di whiskey.
Paul la guardava dal bancone.
“Maddy, tutto ok? Che cosa è successo, è un po’ che non vi si vede in giro, ma non avevi smesso?”
“No… Scusami, devo scappare.”
“Ehi Maddy, il resto!”
Non si era voltata, era invece tornata a casa e aveva fumato due sigarette di fila sul dondolo nel patio esterno, che dava purtroppo sulla strada, dove il viavai la metteva a disagio.
Poi era entrata, girando di stanza in stanza, aprendo cassetti e sportelli, percorrendo le scale scricchiolanti a piedi nudi in salita e in discesa non si sa quante volte.
Infine si versò il Whiskey in un bicchiere grande da acqua, lo bevve tutto d’un fiato e poi, non soddisfatta si attaccò con due bei sorsi lunghi alla bottiglia.
Il telefono di Arthur continuava ad essere irraggiungibile.
E allora decise di scendere in garage. Il luogo dove più Arthur amava passare il tempo libero, tra bricolage e faidate.
Prese la cassetta degli attrezzi, la riempì quanto poté delle adorate ferraglie di suo marito e si diresse spedita alla parrocchia.
“Salve Don Josuè, questa è per i poveri.”
“Madison, che piacere vederla…”
“Mi scusi, ma non è il momento.”
“O forse lo è particolarmente?”
“No, non credo. Mi scusi.”
Poi tornò indietro.
“Mi scusi, se non le dispiace questa me la terrei.”
Con la mazzetta da cinque chili in mano Madison percorse i 5 isolati salutando a mezza bocca quelli che incontrava. Ad un isolato di distanza Cindy la chiamò con la sua solita voce squillante.
“Maddy!! Yohoo Maddy! Ricordatevi che io e Steve vi aspettiamo per cena, alle 20 in punto, mi raccomando, fallo per il mio arrosto!”
Già la cena… Madison l’aveva completamente rimossa. All’improvviso la mazza da 5 kg sembrò pesarne 50.
“Sono desolata Cindy, ma Arthur ha avuto un imprevisto sul lavoro, e quindi…”
“oh… ok… Tutto ok cara?”
“Sì, davvero, scusami tantissimo, facciamo prestissimo da noi ok, per farci perdonare…”
“Va bene, ma solo se Arthur ci prepara il suo famigerato pollo al curry!”
“Certo. Ne sarà felice.” Rispose Madison con voce atona.
Quando Madison incontrò l’uomo che vagava da qualche giorno per le strade di Providence, il suv riportava ancora le ammaccature sul cofano e sugli sportelli. Aveva risparmiato i finestrini perché non le andava più di ripulire vetri in frantumi. Ne aveva avuto abbastanza con le cornici in casa.
L’uomo si avvicinò.
“Non ha mica un po’ di spicci signora?” disse lui, che aveva una voce roca e calda. La voce fu la prima cosa che le piacque di lui, finché non si specchiò nei suoi occhi tristi e profondi come un mare nero che tutto inghiottisce.
“No, non ne ho, ma se vuole ho una mazza da cinque chili”
“ok… mi scusi…”
“No! Oddio sono costernata! Mi scusi lei, le giuro che non voleva essere una minaccia, pensavo che magari potrebbe che so, venderla…”
“Venderla?”
“Sì, ha ragione, è una idea stupida. Senta, perché non va alla parrocchia? Don Josuè la aiuterà, ne sono certa.”
“Io voglio solo da bere.”
“Lei ha bisogno di un bel bagno.”
“Mi scuso, signora.”
“Ma da dove viene?”
“Preferirei non parlare del mio passato.”
“Ma un mestiere? Ce l’ha avuto?”
“Ero un fabbro.”
“Perfetto, allora deve venire assolutamente con me in parrocchia, Don Josuè ha qualcosa per lei. Se non vuole dirmi il suo nome però dovremmo trovarne uno. Che ne dice di Oscar?”
L’uomo restò interdetto, era una situazione insolita che una donna, tra l’altro benestante, anche se stranamente trasandata, almeno in occasione di quel casuale incontro, gli offrisse il suo aiuto. Questa circostanza singolare lo risvegliò dal torpore. Stabilì di leggere quella stranezza come un segno del destino e così lascio cadere, almeno in parte, gli strati di indifferenza che nel tempo si era cucito addosso, come essenziale corazza per affrontare quella parte della sua vita.
“Vorrei chiamarmi Harrison. Sono stato un grande fan di Indiana Jones… ”
“Ok Harrison. Entri pure, l’accompagno.”
“Ma le… impuzzolirò tutto l’abitacolo…c
“Oh, mi creda Harrison, sono altre le cose spiacevoli che dovrei cercare di far sparire da questo abitacolo.”
Don Josuè fu felice di accogliere Harrison, tanto più perché era stata proprio Madison, l’unica pecorella smarrita di Providence – o meglio c’erano lei, suo marito e i suoi figli – a portarglielo.
E così Harrison, dopo una doccia ed essersi tagliato capelli e barba, aveva già iniziato ad aggirarsi con la cassetta degli attrezzi rossa, che un tempo era stata di Arthur, per le strade di Providence.
Dopo un paio di giorni, quando tornò a casa dall’ufficio Madison trovò Arthur in camera da letto, che stava svuotando l’armadio.
“Ho visto l’auto…”
“Bè cosa ti aspettavi, è il minimo no?”
“Sì. Se vuoi metterla così per me va bene.”
“Metterla così come? Mi hai lasciata al telefono, senza una spiegazione. Come vuoi che la prenda?”
“Pensala come vuoi, non ha importanza.”
Arthur restava impassibile, calmissimo. Le provocazioni di Madison non suscitavano più alcun effetto. Sembrava non provare alcun sentimento, né amore, né odio. Solo una coltre di disinteresse, nella quale Madison si sentiva asfissiata e impotente.
“Ma cosa ho fatto? Cosa ti ho fatto!?” gli urlò contro.
“Siamo diventati due estranei. Sono anni che lo siamo. E non ti amo più.”
“C’è un’altra.”
“No, non è così.”
“Sì, deve essere questo.”
“Pensala come vuoi.”
Madison provò allora ad aggrapparsi a suo marito, a stringerlo a sé, a baciarlo. Ma era come baciare una statua di marmo. Allora lo distanziò un po’ per guardare meglio in quel vuoto sentimentale che la stava terrorizzando, che la rendeva incredula. Possibile che non trovasse la chiave per riavviare il sistema? Possibile non ci fosse alcun modo per ripristinare lo stato di marito, non dico perfetto, ma almeno encomiabile che aveva caratterizzato Arthur fino a una settimana prima?
No, nessuna leva, nessuna uscita di sicurezza, nessun vetro da frantumare in caso di pericolo. Arthur semplicemente prese le sue valigie e uscì.
E Madison gli corse dietro… Lei che di solito era così riservata, lei che tutelava gelosamente la privacy della sua famiglia, anzi, gli urlò dietro.
“Io ho cresciuto i nostri tre figli! Quella che tu chiami distanza… La distanza di cui mi hai accusata, ha un altro nome. Si chiama fatica, si chiama affanno, si chiama esaurimento.”
“Ciao Madison. Tornerò nel weekend, quando verranno i ragazzi, così potremo dirglielo insieme.”
“Già, proprio come una bella famiglia unita, vero?”
I vicini che avevano assistito alla scena rimasero fermi, in attesa di non si sa bene cosa. Non sapevano se intervenire o meno. Conoscevano Madison, sapevano che era una donna sempre controllata, molto attenta a non disturbare, gelosa della sua privacy, una che manteneva un po’ le distanze… Ed ora lei era lì, che piangeva alla luce del sole, con il trucco che le rigava il volto di nero.
Si sedette sul dondolo, esausta, e poi lo vide.
“Harrison, non l’avrei riconosciuta se non fosse stato per la cassetta degli attrezzi.”
Disse singhiozzando ancora un poco.
“Le serve qualche riparazione signora Soulman?”
“Madison, per favore, non sono neanche più la signora Soulman a dire il vero…”
“Oh, mi spiace.”
“Quindi sì, puoi riparare quel che vuole Harrison. Quello che è irreparabile è dentro di me.”
Da quel giorno Harrison iniziò ad occuparsi della casa di Madison. Manutenzione ordinaria e straordinaria. Almeno sotto questo aspetto lei non sentì la mancanza di Arthur, che insisteva nella sua glaciale distanza.
Lo avevano detto ai ragazzi, un week end in cui erano rientrati dal College, e a dire il vero Madison non fu in grado di cogliere un segno di stupore in nessuno dei volti presenti in quel salotto che aveva ospitato pranzi e cene di famiglia a migliaia, come se quel matrimonio fosse in realtà finito da secoli, e lei l’unica a non essersene resa conto.
La vita scorreva piuttosto uguale, ma la presenza di Harrison, che ogni giorno passava e trovava qualcosa da aggiustare, le era di conforto.
Ormai tutta la comunità di Providence si era abituata a quest’uomo senza storia, che sembrava essere apparso con l’unico obiettivo di occuparsi di quella comunità e offrirle i suoi servigi. Ma non sembrava farlo con lo scopo di essere accettato. Sembrava più voler espiare una qualche colpa.
Don Josuè e Madison erano diventati quanto di più vicino lui avesse a qualcosa che si sarebbe potuta chiamare amicizia.
“Stavo pensando, Harry, perché non ti fermi a cena? Ho preparato addirittura una torta di mele oggi, e mi sento un po’ sciocca a mangiarla da sola.”
“D’accordo, se non disturbo.”
Da quel giorno Harrison si fermò spesso a cena da Madison. Lei non faceva domande, si godeva solo la sua quieta compagnia.
Una sera, dopo cena, Madison porse la giacca al suo ospite che stava tornando nella stanza limitrofa alla canonica che Don Josuè gli aveva offerto sin dal primo giorno, in cambio di piccole ristrutturazioni nella Chiesa o a beneficio di famiglie poco abbienti della zona.
Dalla tasca uscì la foto di una piccola bimba bionda e sorridente.
“Oh ma è adorabile Harry, chi è?”
Il volto dell’uomo si trasfigurò per un breve attimo in una smorfia di dolore, simile ad una fitta.
Sembrò pensare a lungo su quale risposta dare, si sforzò di distanziare il ricordo, che pareva sempre fresco, delle ferite, ed era evidente per Madison che ce ne fossero.
“In un certo senso l’unico motivo per cui sono ancora in vita.” Disse.
E mesto si congedò, con lo sguardo più triste che Madison avesse mai visto.
Cosa gli era capitato? Capiva bene che non poteva domandarglielo, o lo avrebbe rinchiuso per sempre nel suo silenzio. Decise allora di chiamare Don Josuè.
“Pronto”
“Mi scusi l’orario.”
“Oh, buonasera…”
“Lei sa cosa è capitato ad Harry, le ha mai raccontato…”
“Non lo ha fatto, e sa bene che comunque, anche volendo, non potrei parlargliene…”
“Lo capisco, sono solo preoccupata per lui.”
“Lo siamo tutti Madison, ma dobbiamo rispettare il suo volere.”
Madison si sedette sul suo dondolo a sorseggiare Whiskey e fumare una Marlboro rossa.
La respirò come fosse un elisir per la sopravvivenza.
Il giorno dopo Harry suonò alla porta di Madison che era davvero prestissimo. Saranno state le sei di mattina quando Madison ancora in pigiama aprì la porta. Notò subito che aveva uno sguardo diverso, come determinato…
“Buongiorno Maddy. Stavo pensando di portarti a correre. ”
“…Ma… sei impazzito… cosa?”
“Maddy, è ora di iniziare la tua seconda vita. E inizieremo rimettendoti in forma.”
Le lo guardò incredula e svogliata allo stesso tempo. Era un osso duro, ma Harry se lo aspettava, e non si diede per vinto.
“Madison, devi smetterla di bere. Ora devi fare come il bruco, che diventa farfalla. Io lo so bene di cosa sono capaci le donne. Ho visto donne rifiorire cento volte più forti, belle e affascinanti dalle rovine di una storia finita. Ed ora tocca a te.”
“Non mi entra più nulla, però forse hai ragione: è arrivato il momento di occuparmi un po’ di me stessa… Non ne ho voglia, ma ho come l’impressione che non mollerai la presa… quindi è inutile dirti di no, vero?”
Harryson non sorrideva mai, e non lo fece neanche in quel caso, ma il suo sguardo sì illuminò per un beve istante, fu una scintilla, che rese il suo volto bellissimo, come fosse dimentico, per un solo prezioso istante, della sua vita precedente, quella che si aggrovigliava a macigni insormontabili che gli impedivano di godere del normale fluire delle cose.
“Vedo se trovo una tuta di Arthur e un paio di scarpe da ginnastica, dovrebbero starti.” Disse lei, che aveva fotografato l’avvenenza di quel volto senza dolore, e già lo posizionava come una immagine a sovrimpressione, su quello che era solita osservare.
“Ma no, posso venire anche così!”
“Insisto. A me certo non servono più, e se lui non le ha reclamate fino ad ora, suppongo che non gli interessino.”
“ok…”
Quell’impegno mattutino divenne un benefico momento di condivisione per entrambi.
Madison grazie alle cure di Harry sembrò ringiovanire.
Tutti si accorsero di quanto fosse positivo il suo influsso su di lei. Lo sguardo buono e sofferto dell’uomo senza storia aveva un effetto catartico su tutta la comunità, che finì per adottarlo.
Harry riceveva inviti a cena praticamente ogni sera, e Maddy era sempre con lui.
Una domenica tornarono da una corsa nel parco e Madison ce la mise tutta per superare il suo compagno in un rush finale. Ce la fece ed esultò. Era radiosa. Entrambi ormai erano in perfetta forma, e apparivano decisamente complici.
Ad attenderli trovarono Arthur sul dondolo. Quando li vide li accolse con uno sguardo cupo.
“Arthur, cosa ci fai qui?” Fece Madison incredula.
“Vedo che non hai perso tempo.” Rispose lui, con un tono che le fece venire voglia di prenderlo a schiaffi. Ma si trattenne.
“Non è come credi, e comunque la cosa non ti riguarda.”
“Ma quella è la mia tuta, e quelle sono le mie scarpe.”
“No, non abiti più qui. Quello che si trova dentro questa casa è roba mia, e ne faccio quello che desidero.”
Imbarazzato Harrison si intromise.
“Lascia perdere Madison, non serve. Signore, sarà mia cura farle riavere questi beni non appena puliti.”
“Ma come parla? Farle avere questi beni…? Maddy Maddy, però ti trovo in splendida forma, a quanto pare io non ero all’altezza della tua attenzione, della tua devozione, della tua cura, almeno non quanto questo signore.”
Avrebbe voluto urlargli che era un idiota, che lei per lui aveva rinunciato ad ogni prospettiva di carriera, aveva cresciuto i suoi figli, si era presa cura della sua casa, delle sue cose per oltre un decennio… e invece si limitò a dire.
“Esatto.”
“Sei una putt…”
Lo schiaffo arrivò così forte che Arthur fu costretto ad indietreggiare e finì seduto sul dondolo.
Ma poi si rialzò, e si sarebbe gettato a capofitto su Maddy se non fosse intervenuto Harry che con una presa rapidissima lo mandò a terra, lasciando tutti increduli.
Arthur se ne andò via umiliato, senza tralasciare di minacciare denunce a destra e a manca.
“Oh, non lo farà, stai tranquillo, non è il tipo da ammettere di averle prese.”
“Sarà…”
“Cos’era quello, Judo?”
“Reminiscenze da un’altra vita. Di cui però, come sai, non ti parlerò.”
“Ma, Harry… cosa eri, nei servizi segreti?! Ok, ok, lascio stare. Ma tu proprio non sorridi mai?”
Non rispose.
“Ci vediamo domattina?”
“Certo.”
Ma Madison ormai iniziava a pensare a lui in un modo diverso. Quella cura e quella costanza la lusingavano, quello sguardo triste, che penetrava di mistero ogni istante invece la intrigava.
E lo trovava bello, si chiedeva come doveva essere stato dieci, venti anni prima, quando era giovane, e la vita ancora non lo aveva reso disperato.
Ci pensava sempre più spesso e iniziò a mandargli i suoi inequivocabili segnali di via libera.
Più volte aveva sfiorato le sue mani, o gli aveva amichevolmente toccato un braccio, o la schiena.
Aveva tentato di accendere un qualche gioco di sguardi, o indossato vestiti più seducenti.
Tentativi che però restavano sempre disattesi. E lei non lo avrebbe immaginato. Anzi, aveva sempre forse creduto che quella particolare attenzione che gli aveva riservata, fosse in parte anche motivata dall’attrazione che Harrison provava nei suoi confronti.
Si era sbagliata? Possibile?
Un giorno Madison decise di cedere ancora al richiamo dell’alcol, e grazie a quello, o a causa sua, quando Harry passò a salutarla, dopo aver finito di passare il mordente su una nuova libreria in pino grezzo che Madison aveva acquistato da poco, proprio lì, sulla porta, lei gli si spinse addosso, lo trattenne a sé, stretto, lo baciò.
Harrison un po’ all’inizio si ritrasse… ma poi l’istinto fece la sua parte. Il tempo di sbattere la porta e già l’aveva spinta sul divano, le aveva sfilato via i pantaloni e gli slip bianchi che guardò per un attimo con stupore, perché gli ricordavano più quelli di una ragazzina.
L’aveva posseduta senza troppi complimenti, anzi con foga… quasi con cattiveria, avrebbe detto Madison, che però lo capiva, chissà da quanto tempo… chissà cosa aveva passato quell’uomo interrotto, quell’uomo senza storia.
Non aspettò neanche che la sua partner consumasse il suo piacere.
Finito il suo amplesso sembrò ridestarsi da quello stato ipnotico, per poi implodere in una nuova cupa consapevolezza. Il suo sguardo raccontava una sola emozione, un profondo senso di fallimento.
“Harry, cosa è quell’espressione? L’ho voluto io. Non devi…”
“Non doveva succedere. Non doveva. Non doveva!” La interruppe rabbioso.
Si rivestì di corsa e se ne andò senza salutare, né guardarla.
Madison si contorse in silenzio nella sua vergogna, e per quella sera fece un’eccezione, fumò in casa, che ne aveva bisogno, ma non sopportava l’idea di incrociare lo sguardo di nessuno che fosse di passaggio davanti al suo portico.
Non si videro più per giorni… né lui, né lei cercarono di sciogliere lo strato consistente di delusione e dolore che si era frapposto a separare di netto il crocevia che pure li aveva messi sullo stesso percorso, e per una ragione. Avrebbero potuto confermarlo entrambi che una funzione importante c’era stata, fin dal loro primo incontro, nella loro prossimità.
Madison non sopportava l’idea di non poter chiedere neanche una spiegazione, perché Harry non aveva mai spiegato o raccontato nulla che lo riguardasse.
Perché quel rifiuto, quell’allontanamento improvviso avrebbe dovuto sottostare a regole differenti?
Stava pensando proprio questo quando camminava per strada e lo vide. Sembrava sovrappensiero, e Madison non riuscì a decidersi sul da farsi. Andargli incontro? Passare oltre, senza neanche un saluto? Si sentì soggiogata da una fortissima sensazione di imbarazzo, e proprio allora fu intercettata da Cindy che si sbracciò come al solito per attrarre la sua attenzione.
Fu allora che Caroline, la figlia di quattro anni della donna, le sfuggì di mano e corse incontro a Madison gridando “Zia Maddy, zia Maddy!”, incurante della strada e del furgone che stava passando ad un’andatura eccessiva per quel centro abitato.
Madison urlò il nome della piccola con tutto il fiato che aveva in gola, seguita dal grido straziante di Cindy, che sembrò oscurare il sole già pallido di quel pomeriggio di fine inverno.
L’impatto fu terribile. Ma la piccola se la cavò con qualche escoriazione.
Harry si era gettato e l’aveva spinta via, ed ora giaceva in terra, sanguinante e immobile, con entrambe le gambe fuori asse.
Mentre Cindy accoglieva la sua piccola tra le braccia, incredula, quasi fosse tornata da un viaggio nell’aldilà, Madison si avvicinò con il volto rosso e sconvolto, rigato di lacrime copiose, all’uomo che forse si era predisposta ad amare, e che aveva accolto in casa sua come una salvezza nel momento più buio della sua intera esistenza.
“Harry…”
In un ultimo sussurro Harry, con una specie di sorriso, lui che mai aveva sorriso, almeno non in quella vita e in quella cittadina, riuscì a dirle “è proprio così che doveva finire.”
Dopo due giorni Don Josuè organizzò il funerale, cui partecipò tutta la comunità di Providence.
Harry in realtà, si era scoperto, si chiamava Kane Blackeagle, e al funerale si presentò sua moglie Susan, una donna non più giovane, ma davvero bella, dall’eleganza innata e dal volto troppo stanco.
Madison non poté evitare il paragone. E sentiva di uscirne perdente. Non aveva quella grazia, quel passo che poteva essere di una ballerina di danza classica, come il suo profilo, corredato dallo chignon di capelli scuri leggermente striati di bianco.
Alla fine della cerimonia questa Susan le si avvicinò, e le chiese se potevano parlare.
“E così Harry… Kane, aveva una moglie.”
“Non lo vedevo più da anni.”
“Vi eravate lasciati?”
“Se ne era andato, insieme era ancora più dura sopportare il dolore. Non mi stupisce che abbia scelto lei… Lei era proprio il suo tipo.”
“Non c’è stato nulla tra noi. Quale dolore, per cosa?”
“Eravamo una bella famiglia, avevamo una figlia, Kelly, ed eravamo nonni di una bellissima bambina… Sophie.”
“E poi, cosa è successo? Si tratta della bambina vero? Lei è…”
“Kane lavorava molto, lavorava sempre, era un architetto molto noto, e aveva una sua società di costruzioni, non si fermava mai, anche in casa era sempre al telefono con i clienti e con i fornitori… Solo Sophie riusciva a trattenerlo con sé. Lui la adorava.”
“Un costruttore, un architetto… Questo spiega come riuscisse a riparare tutta Providence.”
“Avevamo una bellissima casa che si affacciava sull’Oceano, lui l’aveva ideata e costruita pezzo per pezzo. Il terrazzo era splendido, e quel giorno era pieno delle mie rose. Passavo lì molto tempo, e con me Sophie. Era il nucleo della casa, il viavai era costante.
Quel giorno io ero rientrata, stavo preparando la cena, e si stava così bene lì fuori che mi venne voglia di suggellare il momento con un aperitivo. Quindi avevo lasciato Sophie con kane.
Lui ricevette una breve telefonata. Ma quella breve lontananza bastò perché Sophie decidesse di arrampicarsi alla ringhiera, e sporgersi…”
“O no…”, Madison era scioccata. Finalmente capiva.
“Fu la fine di tutto. Mia figlia… è come impazzita, e Kane, di lui era rimasto solo il dolore. Un uomo finito, e senza speranza di redenzione. “
“Ma non la fece finita, perché doveva vivere in penitenza. Morire e basta sarebbe stato troppo facile… Per questo andava in giro come un mendicante, e desiderava dare, ma non sopportava l’idea di ricevere.”
“Non avrebbe potuto amarti.”
“Era proprio così che doveva finire.”