Fuori dal Blues Serenade, l’annebbiamento etilico era evaporato nell’aria fredda della sera, lasciando   Paddy  interamente consapevole di sé, nonostante i troppi bicchieri di whisky bevuti per lenire la collera per la sua esclusione dalla delegazione incaricata di portare le istanze degli operai della Ford al sindaco.
Ma era stata la dura reazione di Jack Randazzo alle sue considerazioni sulla tempistica degli avvenimenti, a suo avviso niente affatto casuali e che avevano determinato il mortale incidente nella fabbrica di automobili, a fortificarlo nella convinzione che non ci fosse l’intento di far luce sull’accaduto.
Era questo il motivo della sua esclusione.
Ed era sempre questo il motivo per cui ne era stato posto a capo Jimmy Hoffa.

«Quell’Hoffa… non mi piace. Ha una buona parlantina, sa essere convincente e sa infervorare gli animi, ma pure c’è qualcosa in lui di sfuggente, che non mi convince. A cominciare dal criterio con cui ha scelto gli uomini della delegazione che sarà ricevuta dal sindaco» aveva confidato a Tina.
«E tu non sei tra quelli. E’ questo che ti rode? L’esserne stato escluso?» aveva ribadito lei sferzante, per non far trasparire l’angoscia che l’andava invece divorando. Aveva promesso di vigilare su di lui, ed era quello che stava facendo.

«Ha estromesso i più politicizzati a favore di quelli che si sono fatti da parte per lasciargli la scena e poi campo libero nella contrattazione col sindaco. E l’idea che sia lui a decidere per tutti…bè non mi piace».
«Ma pure sta ottenendo dei risultati, se ha convinto il sindaco a portare le istanze del sindacato sul tavolo del consiglio comunale. Non è questo che alla fine conta?».
«Solo se quei risultati faranno luce sulle dinamiche dell’incidente mortale alla catena di montaggio. Quella disgrazia non è stata niente affatto casuale,  ma un sabotaggio, anche se al momento mi sfugge il movente che ha determinato l’omicidio di quattro operai. Omicidio, Tina, e non disgrazia. Dietro deve esserci qualcosa di veramente grosso e che va ben oltre il loro ruolo all’interno della fabbrica. Una mostruosa macchinazione: a favore di chi e per cosa?».
Paddy aveva esposto le sue supposizioni senza enfasi, soppesando ogni parola, che quel ragionamento alla fine era più per se stesso che per convincere Tina della validità della sua tesi.
E quell’ennesima analisi lo aveva ancora una volta fortificato nella fondatezza delle sue congetture.

«Cosa intendi fare?» gli aveva domandato lei cercando di non far trasparire la propria ansia.
«Al momento non posso fare nulla, anche se un qualsiasi tecnico, non corruttibile, potrebbe facilmente verificare che l’incidente alla catena di montaggio è stato un sabotaggio. Non mi piace l’idea che Ford se la cavi con un semplice indennizzo, voglio che sia fatta giustizia per i quattro operai morti, e la verità per cui tutto questo è stato orchestrato» aveva sottolineato Paddy con voce ferma e stringendo i pugni.  Tina, allora, aveva preso tra le sue mani quelle di lui ancora serrate in pugno, e le aveva sfiorate con le labbra.

«Con la verità non li riporti in vita i morti, Paddy, e alle loro famiglie di certo fa più comodo un congruo assegno che la tua crociata sindacale, perché tra qualche giorno, puoi scommetterci, nessuno ricorderà più neppure i loro nomi. Sei sicuro che sia quella la cosa più giusta da fare?».

Quell’interrogativo, col quale  Tina s’era congedata, continuava ora ad arrovellargli la mente. Un punto di vista che non aveva preso in considerazione. Una visuale sbagliata, certo, ma non priva di un qualche fondamento, legittimato dallo stato di bisogno in cui versava la maggior parte degli operai. Una sciagura quella da cui ricavare un qualche, sostanzioso vantaggio personale:  il prezzo del sangue.  Argomento valido per il numero esiguo dei beneficiari (le famiglie delle vittime) ma non per tutti gli altri lavoratori che, a quella catena di montaggio, erano sottoposti a ritmi infernali  e senza le adeguate garanzie di sicurezza. Quest’ultima considerazione aveva sciolto il dubbio suscitato dall’interrogativo di Tina.
Rinfrancato, s’era fermato al riparo di un muretto per accendersi una sigaretta, e solo allora s’era reso conto di aver percorso l’intero tragitto con i pugni serrati.

Nel buio del portone, ad attendere Tina, c’era Micky, che strattonandola per un braccio l’aveva trascinata nell’angolo più nascosto, nel frattempo imponendole il silenzio.

«Si può sapere cosa diavolo ti prende? E lasciami che mi stai facendo male!».
S’era divincolata dalla stretta del fratello che la fissava ansante di collera.
«Cos’è questa storia che te la fai con O’Reilly? E’ vero?».
C’era disprezzo nella sua voce. E inquietudine.
«Anche fosse? Non credo di dover dare spiegazioni a nessuno. Neppure a te o alle tue spie».
Tina, a sua volta furente, apertamente lo sfidava senza dargli la soddisfazione di una conferma. O di una smentita.
«Allora è vero!».
Micky aveva scosso la testa deluso. Istintivamente s’era discostato da lei limitandosi a guardarla in silenzio, sprezzante e al contempo smarrito. A stento trattenendo le lacrime.
«Mi fai schifo».
Quell’insulto, solo mormorato, era risuonato nel buio col fragore di una scudisciata. Una frustata in pieno viso. Di riflesso, Tina, per attenuarne l’impatto, s’era coperta il volto con le mani.
Quando le aveva distolte, lui non c’era più.

 

Dopo la sfuriata di Micky  Tina non era riuscita a chiudere occhio. Aveva trascorso la notte insonne interrogandosi sui sentimenti reali che la legavano a Paddy, decisa a chiarirli definitivamente a se stessa ora che la storia era di dominio pubblico, e prima delle immaginabili conseguenze, che di sicuro per Micky la faccenda era tutt’altro che chiusa. Doveva capire quanto davvero fosse coinvolta in quella relazione che le sarebbe costata, comunque, un prezzo altissimo. Un prezzo che non avrebbe pagato lei sola, ma anche Paddy. Con Chet, invece, questo problema non se l’era posto. Per lui aveva provato un’attrazione fisica così forte da scambiarla per passione, e che il gusto del proibito aveva reso ancora più eccitante. Animali in calore, per loro erano sufficienti i sensi del tatto e dell’odorato per trovarsi, graffiarsi, mordersi e leccarsi.
Con Paddy, invece, era tutto diverso. E non per la differenza d’età, ma perché lui era realmente differente da tutti gli altri uomini che aveva conosciuto e con cui era stata. Tutte quelle cose che in altri le sarebbero parse stonate, poco virili , come la timidezza e la goffaggine, in lui diventavano attraenti, e senza che facesse nulla per farle sembrare tali. A differenza di quando stava con Chet, con Paddy non c’era l’urgenza del sesso (era accaduto di star nudi sotto le coperte e limitarsi a rimanere abbracciati, senz’altra esigenza che quella delle loro reciproche presenze) eppure si sentiva pienamente appagata da quel legame che prescindeva il sesso, e che proprio in virtù di questo, s’imponeva potente e indissolubile.
Era quello l’amore?
Non lo sapeva e alla fine neppure le importava darsi una risposta. Con Paddy stava bene. Era l’unica cosa di cui fosse davvero certa, e così non avrebbe permesso a nessuno, neppure a Micky, di metterci bocca.
Con questa risoluzione s’era alla fine addormentata.

L’indomani, di buon’ora, aveva messo al corrente padre Murray sugli intenti di Paddy e sui pericoli a cui stava andando incontro. Chiedendogli anche consiglio su  quali di quelle sue confidenze sarebbe stato opportuno riferire a Lo Cascio.

«Io credo che Lo Cascio sia già al corrente degli intenti di Paddy, aspetta solo che tu glieli confermi. Cosa che tu puntualmente farai, perfino esagerando la sua ansia di giustizia, imposto facendogli intendere che dei suoi sospetti, circa le cause dell’incidente alla Ford, ne abbia messo al corrente  un bel po’ di gente. Paradossalmente questo farà scattare ulteriori meccanismi di protezione nei suoi riguardi, che la morte di un altro sindacalista potrebbe forse smuovere coscienze fino ad ora silenti, ed è l’ultima cosa che vogliono Lo Cascio e soci. Per questo vigileranno che non gli accada nulla di male».
A questa tranquillizzante constatazione, che aveva fatto tirare un sospiro di sollievo a Tina, ne era subito dopo, però, sopraggiunta un’altra di tutt’altro tenore.

«Non sono loro la minaccia da cui Paddy deve guardarsi, quanto piuttosto da quelli della sua stessa parte,  se la sua tesi del sabotaggio fosse vera e venisse, invece, col beneplacito del sindacato, spacciata come un fatale incidente.  Mi pare di capire, da quello che tu mi hai detto, che Paddy diffida di  quel giovane sindacalista, Jimmy Hoffa, eletto a capo della commissione che affiancherà i tecnici nelle verifiche sulle cause dell’incidente, la stessa che porterà sul tavolo del sindaco il pacchetto di richieste degli operai».
«Proprio così! Non si fida di lui e né degli uomini che fanno parte della delegazione» Aveva confermato Tina.

«Credo che abbia ragione, ma è dannatamente solo dal momento che neppure i famigliari delle vittime, tacitati dalla promessa di un generosissimo indennizzo, hanno fatto richiesta di un perito di parte per accertare le dinamiche dell’incidente. Paddy, a quanto pare, è il solo a volere la verità. Sono convinto che alla Ford non ci saranno altri incidenti, e l’unico in pericolo, nonostante la protezione di Lo Cascio, sia solo il nostro amico. Suggerisci a don Vito di tenere d’occhio Jimmy Hoffa, perché chi è pronto a tradire i propri compagni non tiene in conto alcun codice d’onore: neppure quello di Cosa Nostra».