Lo incontrai per strada e non lo riconobbi. Era cambiato, ingrassato, invecchiato: i folti capelli scuri avevano perso lo splendore di un tempo e si erano ingrigiti, diradati. Solo il sorriso era rimasto intatto.
«Sono invecchiata anch’io ma molto meglio di te», mi sorpresi a pensare involontariamente sarcastica mentre sorridevo appena.
Non volevo intuisse che non l’avevo dimenticato, soprattutto, non volevo che sapesse quanto avevo sofferto per lui.
Si era ricordato di me leggendo una delle lettere che aveva conservato – mi disse – e così realizzai che non era stato un incontro casuale.
Perché aveva custodito le mie lettere? Perché era venuto a cercarmi dopo quasi vent’anni?
Nostalgia? Ripensamento?
Avevo sofferto, era ovvio, all’epoca avevo sedici anni. Fu il mio primo amore e la prima delusione.
Ci scrutammo mentre parlavamo del più e del meno, leggermente imbarazzati.
Mi chiese di me, se ero sposata e se ero felice; mi parlò di lui e della sua famiglia.
Lo osservavo senza provare alcuna emozione, con distacco, anzi, mi domandai che cosa mai avessi trovato in lui di affascinante, ma non seppi rispondermi.
Il mio cervello si fece attento ed espresse la sua innata diffidenza.
«Che cosa vuole costui da te, perché viene a cercarti dopo tanto tempo?»
«Che cos’è tutto questo interesse?»
«Hai sposato l’uomo giusto per te, sei felice e hai vissuto la tua vita, lui ha fatto altrettanto e adesso, ripeto, che vuole da te?».
«È lui che se n’è andato, ricordi?», puntualizzò infine.
Spesso il mio cervello è un critico severo, un giudice rigido e intransigente ma, soprattutto, non accetta bugie e compromessi.
Lui è fatto così: spietato e un po’ tiranno. Credo sia il suo modo di preoccuparsi per me.
Il mio cuore invece…, lui è fatto di puro sentimento, è fragile e a volte si ribella alla ragionevolezza: vuole fuggire lontano per volare libero in alto verso orizzonti infiniti.
Cuore e ragione non vanno mai d’accordo, non è forse una solenne verità?
E la memoria? Oh, la memoria è traditrice, porta in superficie cose che credevi superate, sepolte e dimenticate, ti tende dei tranelli per poi burlarsi di te.

Fu così che un’ondata di ricordi mi travolse come l’acqua di un fiume in piena.
Emozioni intense e baci rubati emersero all’improvviso inondando la mia mente.
Furono i primi turbamenti che provai e non potevo averli cancellati, erano rimasti impressi nella parte più nascosta del mio cuore, pronti a tornare in superficie.
Ricordai quando mi disse: «È finita, non provo più niente per te», ricordai la sorpresa e quanto rimasi annichilita.
Il dolore che provai, il gelo che m’invase.
Eravamo ai giardini, alla fermata dell’autobus, era primavera, l’aria era dolce e intorno a noi i profumi erano intensi.
“Non ti amo più”. Rimbombò nella mente, come l’eco di un colpo di fucile. Secco. Improvviso. Mortale. E rimase a tormentarmi per lungo tempo.
Il mio piccolo mondo fragile, fatto di sogni, speranze, illusioni andò in frantumi in pochi attimi.
Non furono tante le parole a farmi male: fu l’indifferenza gelida che lessi nel suo sguardo, che mi colpì al cuore come la lama affilata di un pugnale.
Ci perdemmo di vista.
Considerai però che le casualità della vita sono infinite: era arrivata l’occasione di prendermi una piccola rivincita. Anche se non cambiava nulla, per me era meglio di niente.
Oramai ero diventata una donna forte, con le idee chiare, con responsabilità di moglie e di madre, non ero più una ragazzina nutrita di sogni.
Lo guardai con la stessa indifferenza che mi aveva guardata allora, gli strinsi appena la mano che mi tendeva, lo fissai qualche secondo e me ne andai mormorando: «È stato un piacere rivederti. Sei cambiato sai, non ti avrei riconosciuto! Felice? Sì, abbastanza da non aver più pensato al passato.».
Mi allontanai provando sollievo, in una passeggiata serena, gioiosa, priva di rimpianti.
Il mio cervello esultò, era orgoglioso di me.