Lo vedo. Lui non lo sa ma lo osservo sempre, da quassù, nascosta tra gli alberi che fanno cornice al lago. Guardo le sue evoluzioni con la barca che era stata mia, ogni giorno sempre più sicure, ogni giorno sempre più lupo di… lago.

Sapevo che mi guardava, l’ho sempre saputo, da quando ha restaurato quel vecchio molo vicino alla sua casa. Per me era un riferimento, un gioco, un invito: se non per questo, perché avrebbe dovuto farlo?

In realtà all’inizio avevo soltanto un dubbio, poi, un giorno, ho visto lampeggiare la lente di un binocolo al sole e mi sono venuti in mente i fumetti di Tex Willer che rubavo a mio fratello: c’era sempre un riflesso che salvava l’eroe e i suoi pards dall’agguato dei banditi.

Quando l’ho visto ho sorriso, e ho immaginato che pensasse che il sorriso fosse rivolto a lui. In parte lo era, e sicuramente lo è diventato con il passare del tempo.

Ma il lago non è il mare, ha i suoi momenti di burrasca ma rimane sempre lì: dovevo andarmene, cambiare qualcosa, dare sfogo alla mia irrequietezza. Non potevo continuare a giocare quell’idillio a distanza con il mio misterioso amico, e non volevo conoscerlo, incontrarlo, non volevo che quel nostro segreto diventasse una storia banale, come tante.

Così ho architettato il mio coup de théâtre: ho deciso  lasciargli in affido la mia barca, come regalo ed impegno, e di sparire nel nulla come una vera fata del lago.

Mi venivano in mente i miti di Avalon, le eteree signore delle nebbie, le ninfe silvane che popolavano i boschi delle fantasie norrene. Già sognavo di esprimermi attraverso fantastici kenningar: ero la nebbia del tramonto che solcava lo specchio del sole con il mio legno del mare (anche se in questo caso avrei dovuto dire del lago). Fantastico Snorri Sturluson! Forse il mio sconosciuto amico era anche lui un lögsögumadur, un antico poeta nato in Islanda mille anni fa per cantare le leggi e le regole della vita  nei gelidi, silenziosi thing!

Il passo era fatto. Mi divertivo ad immaginare il suo stupore nel vedersi oggetto di un simile regalo, anche se in fondo al cuore avevo il timore che lo rifiutasse, che lasciasse la mia piccola barca a marcire nel porticciolo. Allora tutto il mio fantasticare sarebbe crollato: soltanto un sogno di bambina fatta da una donna adulta e forse segretamente innamorata.

Ma no! Quando ho visto che la barchetta veniva portata fino al suo molo ho capito che la sfida era stata raccolta, che il legame tra noi due era reale, vivo, e quando ho saputo che stava prendendo lezioni di vela quasi battevo le mani per la gioia: anche lui sarebbe diventato un aratore del lago.

Così, sbrigati i miei pochi affari, vengo sempre più spesso qui, tra i monti che incombono sull’acqua, a spiare il mio amico e le sue evoluzioni, e penso che i suoi frequenti sorrisi, che vedo attraverso i miei potenti binocoli, siano per me e che forse mi immagina a spiarlo come faceva lui un tempo, anche se di questo non può avere certezze.

Sono stata più previdente di lui: i miei binocoli hanno lenti antiriflesso.